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I contadini di Millet

Jean-François Millet. Pastorella con il suo gregge. 1863. Olio su tela. Parigi Museo D'Orsay
Jean-François Millet. Pastorella con il suo gregge. 1863. Olio su tela. Parigi Museo D'Orsay

 

I contadini di Millet, con i loro tratti rozzi, i corpi sgraziati, le mani nodose, acquistarono una dignità  e visibilità  nuove e vennero presentate come figure eroiche, simboli di una nuova etica e coscienza sociale che scandalizzarono il pubblico dei Salons.

Il pittore contadino

 

Millet, "pittore-contadino" dipinse numerose opere di soggetto rurale in cui sono protagonisti contadini che lavorano. Il vagliatore, il Seminatore, il Contadino che innesta un albero, l'Angelus, le Spigolatrici, sono alcuni dei dipinti più noti di questo artista che viene incluso nel gruppo dei realisti, capeggiati da Courbet.

Rispetto all'atteggiamento più provocatorio di Courbet però il realismo di Millet ha un tono differente. Lontane dalle implicazioni più direttamente politiche di Courbet, o di Daumier, le scene di lavoro di Millet riescono a trasporre in una dimensione universale  situazioni quotidiane riprese dalla sua realtà  contemporanea. La condizione umana, fotografata dalla sua esperienza diretta, filtrata dal suo vissuto personale, si carica di una componente di dignità  e solennità  molto particolari, che non si trovano nei dipinti degli altri artisti.
Per questi motivi la pittura di Millet ha conosciuto equivoci e critiche molto contrastanti tra loro che vanno da rifiuto e dal disprezzo fino all'ammirazione. Il pubblico di idee più conservatrici vedeva nei suoi dipinti immagini brutte, rozze, sovversive, sgradevoli e coglieva nei dipinti la pericolosa denuncia di una classe sociale che aveva appena raggiunto il diritto di voto. I progressisti ammiravano invece nell'opera di Millet la capacità  di mostrare i contadini come nuovi eroi che lottavano per i loro diritti.

Inserendosi nel contesto storico della Francia di metà  '800 quindi, i contadini dipinti da Millet risentono di una serie di implicazioni politiche ed anche economiche.

 

 

I contadini nella tradizione pittorica

 

 

La rappresentazione pittorica della vita di campagna rientrava in una tradizione ben consolidata. Nella pittura francese Louis Le Nain, già  nel '600 si era soffermato su immagini malinconiche e di povertà  della vita agreste, mentre in Olanda Pieter Brueghel ne offrì una visione più folcloristica e vitale. Nel corso dell'800, comunque, i quadri di soggetto bucolico erano di moda e intorno a questi temi si era sviluppato un vivace mercato d'arte.

Già  prima della rivoluzione del 1848 la vita contadina, con i suoi ritmi e i suoi rituali immutabili, sembrava in pericolo di estinzione in un'epoca che registrava una migrazione sempre più massiccia di popolazione dalla campagna alla città , richiamata dall'industrializzazione crescente. La nostalgia verso un mondo che stava scomparendo era piuttosto sentita dalla classe borghese e venne colta da alcuni abili mercanti d'arte che cercarono di accontentare ricchi collezionisti alla ricerca di quadri di soggetto agreste.  Questo genere di successo proponeva la rappresentazione di un mondo semplice e innocente, scene idilliache e arcadiche, con figure gradevoli e idealizzate di contadini belli e giovani in coloratissimi costumi tradizionali e pose studiate. Si trattava di immagini in cui si evitava di rappresentare la fatica, le schiene curve, le mani con i calli, i panni logori e simili immagini di miseria, perchè non erano gradite. Anche nelle correnti artistiche nuove, come quella rappresentata dalla pittura di Corot e dalla Scuola di Barbizon, le immagini di campagna erano ancora fedeli alla tradizione classica.

Negli anni tra il '50 e il '60 dell'800 il mercato dell'arte puntò molto su quei quadri con scene di campagna, oltre ai ritratti, ai paesaggi e agli altri temi tradizionali. Questo lo sapevano bene gli stessi artisti, tra i quali Millet e i realisti, ma anche ad esempio Van Gogh, che, forte anche della sua precedente esperienza lavorativa presso una casa d'arte, nelle opere del suo primo periodo si concentrò proprio su questi temi, sperando di venderli con più facilità . Ma quello che tutti questi artisti vollero superare è proprio l'accezione "decorativa", artificiale e nostalgica che determinava il successo economico di quei soggetti. Invece di assecondare il gusto del momento questi artisti si dedicarono al genere agreste cercando in maniere differenti di rappresentare un'immagine vera, concreta e legata ad un vissuto personale. Paradossalmente, la verità  che questi maestri seppero raggiungere nei loro capolavori e che ne determina l'alto valore artistico non corrispose al successo economico, poichè non rispondeva alla richiesta del "mercato".
La frattura provocata da Millet e soprattutto da Courbet e dagli altri artisti è dovuta alla loro stessa sincerità  espressiva, sta nel modo in cui il tema della vita agreste veniva affrontato: la fatica, i continui sacrifici, le condizioni di miseria, in altre parole la "realtà " della vita del contadino erano contenuti  considerati "eversivi" che facevano risultare sgradevoli i loro dipinti.

 

 

Le implicazioni politiche del tema agreste

 

L'esperienza diretta dei ritmi e della vita agreste insieme alla situazione storica e al clima ideologico-politico che si era creato in Francia in quegli anni provocarono quasi naturalmente la scelta di Millet di dipingere il lavoro nei campi. Il contadino al lavoro, come anche l'operaio, e scene di fatica quotidiana, con protagonisti senza "decoro", divennero gli scandalosi e molto criticati soggetti caratteristici di tutta la pittura del Realismo.  Nei dipinti di Millet i contadini assumono un valore simbolico e vengono  interpretati come emblemi della rivolta sociale. Ciò è avvenuto anche sfuggendo alle intenzioni dello stesso artista, che non ha mai dichiarato  idee socialiste, come avviene invece per Courbet. Millet dimostra però una grande sensibilità  verso l'attualità  dei suoi tempi e la sua realtà  sociale, è attento al dibattito culturale e influenzato dall'opera dei nuovi protagonisti della letteratura ottocentesca come George Sand.
Le basi sulle quali Millet, Daumier, Courbet e gli altri artisti del gruppo creavano la loro pittura si fondavano su alcuni aspetti sostanziali del contesto storico e culturale degli anni centrali del XIX secolo. La filosofia positivista, la letteratura contemporanea, le gravi condizioni sociali dei ceti più bassi e soprattutto gli eventi del 1848 rappresentano  gli stimoli essenziali su cui si andava sviluppando quella retorica del lavoratore-eroe che divenne una costante del pensiero socialista e alla quale contribuì anche il realismo pittorico.
Millet appartenne a tale contesto, prese le distanze dalla visione romantica di un mondo contadino semplice e innocente per concentrarsi sulla complessità  di una realtà  storica in via di trasformazione.
 Dopo la rivoluzione del 1848 la scelta di soggetti pittorici come lavoratori o contadini veniva immediatamente connotata di una precisa valenza politica. Di fronte ai quadri di Courbet e di Millet esposti al Salon di Parigi del 1861, il critico d'arte Thoré, di idee antisocialiste,  scrisse: "certo, i loro dipinti sono i migliori di tutto il Salon, ma il signor Courbet è un realista! Il signor Millet è un realista! Maledizione!"

I contadini di Millet, con i loro tratti rozzi, i corpi sgraziati, le mani nodose, acquistarono una dignità  e visibilità  nuove e vennero presentate come figure eroiche, simboli di una nuova etica e coscienza sociale che scandalizzarono il pubblico dei Salons.  Però Millet (a differenza di Daumier o di Courbet, che svilupparono un linguaggio espressivo più provocatorio) manifestò una sensibilità  diversa, priva di "carica eversiva", ma sempre, indubbiamente, realistica.
Le opere di Millet anzichè ripiegarsi sul contenuto ideologico o politico, offrono una visione religiosa, morale e sentimentale del soggetto e con un accento intimamente autobiografico. Le situazioni contingenti e i momenti della vita quotidiana dei suoi contadini si caricano di una solennità  che portano il tema stesso del lavoro ad assumere un'accezione universale. Mantenendo sempre un atteggiamento scettico e fatalista, egli infatti non espresse mai idee socialiste mentre riprese spesso spunti dalla letteratura classica, soprattutto da Virgilio.
L'opera di Millet provocò sia ammirazione che reazioni scandalizzate, conobbe critiche contrastanti in cui le accuse di simpatie socialiste si affiancano agli apprezzamenti degli ambienti di opposizione. Rispondendo ad un critico l'artista diceva:" A rischio di passare ancor più per socialista, è il lato umano, francamente umano, che mi tocca di più in arte".

A. Cocchi

 

 

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Bibliografia

 

N. Frapiccini, N. Giustozzi, La geografia dell'arte. Vol. 3 Età  moderna e contemporanea. Hoepli editore, Milano 2010
G. Dorfles A. Vettese. Arte. Artisti Opere e Temi. Vol 3 Dal Realismo ad oggi. Atlas Editore, Bergamo 2013
D. Bianco, a cura di A. Mazzanti . La Grande Storia dell'arte. L'Ottocento. Prima parte. Scala Group, Gruppo Editoriale L'Espresso, Roma, 2003
V. Terraroli. Arte 3 Dal Romanticismo all'arte contemporanea. Skira Bompiani 2012

Evert van Uitert. L'arte di Van Gogh: modernizzare la tradizione. in: Vincent Van Gogh Arnoldo Mondadori Editore-De luca Editore. Milano-Roma 1988
La Nuova Enciclopedia dell'Arte Garzanti, 1986

 

 
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