Jean Baptiste Corot. Il ponte romano di Narni. Olio su tela. cm. 36X47. Parigi, Louvre
Nell'opera di Corot ogni traccia di eclettismo si perde nell’unità profonda e misteriosa del suo stile spontaneo, nella stesura a macchie di colore con cui coglie l'atmosfera emozionale della natura.
“La semplicità é la sola strada che conduce al vero e al sublime”: con queste parole si delinea la personalità di un artista isolato, che non ebbe né maestri, né seguaci, ma dipinse con sobrietà e naturalezza, guidato dal solo sentimento.
Jean Baptiste Corot nacque a Parigi nel 1796 in una famiglia borghese di origine svizzera; suo padre era un mercante di stoffe e sua madre una rinomata modista.
Studiò nei collegi di Rouen e Poissy, dove manifestò una particolare predilezione per il disegno, intuendo di non essere portato per una vita dedita al commercio e ai suoi “trucchi d’affari”.
Nel 1817 apre nella casa a Ville d’Avray il suo primo laboratorio; nel 1822 i genitori appoggiano la sua scelta artistica, fornendogli uno stipendio; Corot, infatti, non ebbe mai problemi finanziari ed egli dipinse sempre per proprio diletto.
Nel 1822-1825 approfondì i suoi studi a fianco di Achille Michallon, giovane promessa del paesaggismo francese; in seguito si iscrisse al laboratorio di Jean Bertin, troppo accademico per Corot, perché di stampo prettamente neoclassico. Corot quindi sviluppò lo studio dal vero e una maggior consapevolezza del proprio spirito, che anelava alla libertà di espressione, riscontrata soprattutto nell’osservazione dei paesaggi.
Cominciò, così, a dipingere en plain air (all’aria aperta) elaborando un particolare dualismo: da un lato produceva i dipinti "ufficiali", solitamente paesaggi, che sottoponeva ai giudizi dei contemporanei, dall’altro amava dipingere vedute più "spontanee" e quelle che lui chiamava "figure", che non espose mai, riservandosi di mantenere un filone intimo e segreto.
Esposti nei Salon i suoi solenni paesaggi destavano grande ammirazione per il rigore stilistico e per il senso di assorta contemplazione della natura.
Ma proprio i suoi paesaggi intimi e le sue "figure", rivelate al pubblico all’inizio del XX secolo, risvegliarono l’entusiasmo dei cubisti e degli artisti delle altre correnti d'avanguardia. In queste opere ogni traccia di eclettismo si perdeva nell’unità profonda e misteriosa del suo stile spontaneo; nelle sue "figure" emergono gli studi compiuti sui valori psicologici ed emotivi. Tra queste: ritratti di famiglia e figure di giovani pensose, come La dama in blu, del 1874.
Nel 1825-1828 Corot compì il primo viaggio in Italia, fondamentale per la sua maturazione stilistica. Ammirò città come Roma, Narni, Tivoli, ove rimase estasiato non tanto dalle opere che si potevano contemplare, quanto dalla differente luminosità , che le attorniava.
In Italia, infatti, approfondì uno studio sulla luce e sulle armonie cromatiche, come base di elaborazioni future. In seguito a questo viaggio, Corot portò nel cuore un senso di nomadismo pittorico e un’instancabile ricerca dell’attimo di eternità , contenuto in un paesaggio.
Nel 1830 dipinse la Cattedrale di Chartres, come richiamo a queste sue nuove sensazioni.
Nel 1834 soggiornò nuovamente in Italia, in particolare in Toscana e a Venezia, dove si immerse nello studio dell’aspetto più selvatico della natura. Appartengono a questo momento le Tele di Volterra (1834). Al ritorno dalla Toscana, si spostò in Lombardia, dove, venne ammaliato dalle misteriose suggestioni dei paesaggi avvolti nella nebbia del Lago di Como.
Tra il 1834 e il 1850 l’artista si dedicò ad opere più elaborate, grazie agli aspetti percepiti e sviluppati in Italia e ad opere pervase da un tranquillo realismo, frutto dell’eredità elvetica, ricevuta dalla madre.
Nel 1850 Corot venne attratto dalle regioni in cui, a causa dell’umidità e dell’incerta luminosità , i paesaggi erano circondati da aloni di poesia; questa nuova sensibilità lo pervase a tal punto, che rivisitò i propri quadri precedenti e li propose al pubblico, un esempio é Souvenir de Riva.
Corot colse spunti anche dal Romanticismo nelle sue forme elegiache e misteriose e si applicò coscienziosamente a rendere la realtà trasposta e ricreata dalla sua sensibilità , come in Un mattino, noto anche come La danza delle ninfe.
Nel 1852 l’amicizia con Daubigny, pittore francese della Scuola di Barbizon, lo confermò nella scelta di paesaggi placidi e tranquilli, come soggetti delle sue opere, focalizzandosi sui minimi particolari della natura, per esempio uno specchio d’acqua che riflette un angolo cielo, che lo porta a opere come La chiesa di Marissel, del 1866.
Corot portò nell'arte una visione personalissima, in cui classicismo, romanticismo, realismo sembrano ricomporsi, in una sintesi nuova. La sua pittura, alle soglie della ribelle modernità , offre un atto di adorazione e di umiltà verso la natura e di devota partecipazione alla vita del creato.
Corot, con le sue visioni liriche della natura, fu il più spirituale dei precursori dell’Impressionismo.
B. Pacchioni
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Giovanni Treccani, Dizionario italiano enciclopedico, 1970
Storia dell'Arte, Istituto geografico De Agostini, 1987
AA. VV. Corot in: La biblioteca di Repubblica, Istituto geografico De Agostini, 2003