Scena di banchetto. Dipinto murale dalla tomba di Nebamun. 1350 a.C. ca. Londra, British Museum.
La pittura egizia offre spettacolari capolavori: è la testimonianza di una cultura raffinata e preziosa, legata profondamente a valori religiosi. Generalmente risponde a precise regole codificate, ma non manca di raccontare vivaci scene di vita quotidiana o della natura accanto al misterioso mondo degli dei e dell'oltretomba.
La pittura dell'antico Egitto è caratterizzata da grande vivacità e ricchezza e segue un tipo di espressività astratta e concettuale.
Lo spazio è riportato su due dimensioni, le composizioni seguono criteri simbolici, le forme si sviluppano con grande eleganza ed essenzialità. I colori sono puri e brillanti, si dispongono armonicamente e con accostamenti a contrasto.
Come tutte le arti praticate in questa civiltà, anche la pittura è una pratica religiosa, dedicata agli dei.
Gli artisti venivano educati fin da piccoli a seguire le regole della pittura perché ogni elemento (colore, forme, composizione, ecc.) era collegato a precisi significati sacri. Per diventare un artista era quindi necessario possedere una solida cultura religiosa oltre alle necessarie conoscenze tecniche riferite alla pratica artistica.
Tutto era sottoposto a precise regole da rispettare, ad esempio nella rappresentazione della figure umane i corpi erano sempre perfettamente proporzionati, grazie al rispetto dei canoni egizi. Anche le azioni rappresentate dovevano seguire determinate convenzioni rappresentative.
Pertanto, la stilizzazione e la sintesi tipica della pittura egiziana sono conseguenze di queste regole.
Nell'antico Egitto, la tecnica usata dagli egizi per dipingere era la campitura cioè veniva steso in maniera uniforme il colore dentro una forma delimitata da un contorno.
Le fasi di esecuzione erano affidate ad equipe di artisti, ognuno dei quali era specializzato in un lavoro diverso: Il progetto era affidato al maestro, le altre operazioni come la preparazione delle pareti, il disegno dei contorni, il riempimento con il colore, veniva eseguito da altri gruppi di artisti. Il risultato era quindi un'opera collettiva.
I colori venivano riprodotti con una miscelazione di pigmenti ottenuti dalla macinazione di terre colorate con agglutinante sostanza collosa formata da acqua, lattice di gomma e albume d'uovo. Il colore veniva steso con dei pennelli ricavati dalle fibre di palma.
Questo tipo di pittura si chiamava tempera (dal latino temperare, mescolare)e veniva fatta su superfici perfettamente asciutte e al riparo di piogge poiché si utilizzava l'acqua.
Uno dei cicli pittorici più belli e completi è quello che caratterizza la Tomba di Nefertari , una delle mogli più famose di Ramses II. In questa tomba sono contenute pitture ad altissimo livello tecnico al quale l’arte egizia era già giunta nel XIII secolo a.C.
Nelle pareti della tomba vengono rappresentati diversi dei come Khepri, dio del sole mattutino che si trova nel vestibolo orientale,Hathor padrona della montagna dei Morti, i quattro figli di Horus accompagnati da Horus stesso nella parete destra,Anubi il dio dell'imbalsamazione. Osiride e Iside rappresentati in un pilastro di nome Djad situato nel lato nord, il dio Ptah onorato con un santuario, la dea Nut rappresentata con il soffitto e infine il dio più significativo Ra che viene rappresentato con la testa di falco.
I dipinti vennero realizzati a tempera su un intonaco fine formato da argilla e limo.
I colori utilizzati erano il marrone usato per la pelle degli uomini, il verde per le vesti, l'ocra per la pelle femminile, nero per le linee e capigliature e il blu usato per il soffitto a stelle.
V. Lo Nigro
A partire dal III millennio avanti Cristo nell'Antico Egitto è stato elaborato un canone rappresentativo da applicare nelle raffigurazioni ufficiali della pittura e della scultura. Ogni scena rappresentata doveva infatti seguire regole precise, riferite a significati religiosi e collegati al potere e alla dignità dei faraoni. Soprattutto nelle rappresentazioni delle figure umane, ma anche per rappresentare molti animali sacri, gli artisti egiziani disegnavano ogni forma secondo precisi rapporti proporzionali e modelli fissi. Il risultato era quello di avere una figura ideale, generica. In linea di massima, qualsiasi caratterizzazione individuale era assente e la distinzione tra i personaggi avveniva soprattutto attraverso l'abbigliamento, i colori e gli attributi riferibili al ceto sociale o a particolari elementi di riconoscimento se si trattava di divinità. Ad esempio i faraoni hanno spesso uno scettro in mano, la dea Hathor di solito è rappresentata come una donna vestita con una lunga tunica e un copricapo con le corna e il disco solare, il dio Anubi ha spesso la testa di sciacallo e i semplici operai vengono rappresentati a torso nudo e un panneggio bianco intorno ai fianchi.
Una prima regola che si deduce osservando i dipinti egizi è che tutto segue un criterio di rappresentazione bidimensionale. Inoltre per ogni forma si sceglie sempre il punto di vista che rende meglio riconoscibile ogni oggetto rappresentato. Anche per il corpo umano viene scelto un punto di vista per ogni parte del corpo. La testa è vista di profilo, con l'occhio di fronte. Il busto risulta frontale, il bacino, le gambe e le braccia sono di profilo.
I rapporti proporzionali erano identici per ogni figura e venivano stabiliti a partire da un modulo quadrato, unità di misura corrispondente al pugno chiuso. Per eseguire il disegno gli artisti egizi si servivano di una griglia quadrettata che permetteva di ottenere figure di proporzioni identiche in qualsiasi dimensione. La griglia venne trasformata nel corso del tempo: nell'epoca più antica la figura intera eretta doveva essere compresa in un'altezza di 18 moduli, mentre in età tarda venne utilizzata una griglia suddivisa in 22 moduli.
A. Cocchi
La trasformazione delle materie prime per ottenere i pigmenti per la pittura era una tecnica molto complessa che richiedeva una specifica conoscenza e una abilità pratica raffinatissima. L'importanza sociale che era attribuita all'arte nella società egizia spiega l'esistenza di una vera attività industriale per la produzione di pigmenti di alta qualità che venivano utilizzati dagli artisti.
Diversi documenti rinvenuti dagli archeologi hanno permesso di ricavare interessanti e dettagliate informazioni sulle tecniche di produzione dei pigmenti da parte degli antichi Egizi. I più precisi sono il Papiro X dell'Università di Leida e il Papiro dell'Accademia Svedese dell'Antichità di Stoccolma. Entrambi i testi sono attribuiti ad uno stesso autore egizio del III secolo dopo Cristo, che raccolse conoscenze e ricette per fabbricare i colori tramandate da tempi più antichi. Secondo gli esperti i due papiri facevano parte di un manuale per un laboratorio artigiano e rivelano una impressionante ricchezza di conoscenze chimiche.
Nefertari. XIX dinastia. Affresco.
Tomba di Nefertari. Valle delle Regine, Luxor
Nella pittura egiziana venivano usati sia colori naturali, cioè pigmenti derivati direttamente dai minerali presenti in Egitto, sia colori sintetici, ottenuti mediante particolari procedimenti chimici.
Venivano ricavati direttamente dai minerali il rosso, il bianco e il nero. Al gruppo dei colori sintetici appartengono il blu e il verde. Il pigmento giallo poteva essere prodotto in due modi: sia tratto ad minerali sia creato sinteticamente.
Alla produzione dei colori si legano anche le applicazioni in diversi campi oltre a quello pittorico, ad esempio la manifattura del vetro, la tintura dei tessuti e l'impiego nella ceramica, ma anche la formazione di gemme artificiali e un particolare tipo di smalti, la cui conoscenza deriva dai popoli della Mesopotamia. I processi di creazione dei colori rappresentano quindi solo un settore di un'industria chimica molto articolata e fiorente operante nella trasformazione delle materie prime per ottenere sostanze utili per la vita di tutti i giorni.
Gli Egizi usavano questi sei colori e ad essi attribuivano particolari valori e significati sacri che venivano regolarmente rispettati nelle rappresentazioni pittoriche.
Huntite allo stato naturale.
L'Alto Egitto era indicato dal bianco, colore associato all'argento e indice di gioia e trionfo.
Le vesti degli dei erano spesso dipinte dipinte di bianco come pure le vesti dei faraoni e delle regine rappresentate nel loro cammino verso l'aldilà. Dello stesso colore erano i i lenzuoli funerari, i pregiati tessuti di lino e i capi di abbigliamento più raffinati della popolazione.
Osiri che presiede all'Occidente. Affresco. XIX dinastia.
Tomba di Nefertari, Valle delle Regine. Luxor.
Fonte: C. Le Blanc, A. Siliotti e prefazione di M. I. Bakr.
Nefertari e la Valle delle Regine. Giunti, Firenze, 2002
Nella XIX dinastia il pigmento bianco si otteneva macinando la calcite del gesso (carbonato di calcio) e l'anidrite [solfato di calcio, formula chimica: CaSO ], che è la stessa forma del gesso priva di acqua.
In seguito, tra la XIX e la XX dinastia, viene invece ottenuto un bianco più puro e intenso dal più raro minerale dell'huntite [formula chimica: MgCa(CO) ] un carbonato di magnesio.
Cuprorivaite come si presenta in natura
Il blu egiziano era il colore simbolo del cielo e delle divinità celesti. Ad esempio a volte veniva colorato di blu il volto di Amon. L'azzurro o le varianti di blu chiaro sono invece utilizzate per rappresentare l'acqua.
Il pigmento blu veniva ottenuto dalla cuprorivaite [formula chimica: CaCuSiO ] un minerale a base di rame a cui spesso si uniscono altri minerali, come la wallostonite di rame [formula chimica: (Cacu)SiO ], che è il quarzo contenuto nella sabbia del deserto, e la calcite [formula chimica:CaCO ].
Ushabti. Ceramica blu. Epoca tarda, 712-332 a. C. Parigi, Museo del Louvre
La sintesi chimica per ottenere il blu egiziano era un procedimento conosciuto almeno fin dalla V dinastia, poiché i più antichi manufatti finora scoperti risalgono al 2500 avanti Cristo, durante l'Antico Regno. L'ottenimento del pigmento azzurro da parte della civiltà egiziana non è stato un fatto accidentale, ma è il risultato di un lavoro intenzionale, ponendo una miscela composta da una parte di calce (ossido di calcio), una parte di ossido di rame e quattro parti di quarzo (la silice ricavata dalla sabbia del deserto) in condizioni chimiche riduttive, cioè senza apporto di ossigeno.
I minerali venivano cotti in una fornace con temperature comprese tra gli 800 e i 900 gradi centigradi. Poichè le condizioni di temperatura sono fondamentali in questo processo, gli Egiziani sapevano controllarle con molta precisione.
Il prodotto di fusione era un composto fragile, di colore blu opaco che veniva frantumato e macinato fino a ridurlo in polvere, ottenendo il pigmento blu, il più antico colore sintetico finora conosciuto.
Poichè il procedimento si va via via perfezionato nel tempo, dall'analisi di un frammento colorato si può risalire ad una datazione approssimativa.
L'uso del pigmento blu era anche molto diffuso nella lavorazione dei vetri e delle ceramiche egizie.
Orpimento giallo allo stato minerale
Anche per gli antichi Egizi come in diverse civiltà, il giallo è un colore indice di preziosità e associato al divino. Rappresentava l'oro e la carne degli dei. Solitamente venivano dipinte in giallo le divinità femminili.
La preziosità del giallo dipendeva anche da motivazioni economiche, perché uno dei componenti che ne costituivano il pigmento, l'orpimento, era un minerale molto raro, importato in Egitto dai paesi asiatici.
Il pigmento veniva ottenuto mescolando le ocre gialle derivate dagli idrossidi di ferro con il trisolfuro di arsenico [formula chimica: AsS ] o orpimento.
Attività agricole dell'aldilà, presiedute dal dio Anubi. 1500-1050 a. C.
Affresco. Tomba di Sennedjem, Deir-el-Medina, Luxor
Il giallo era molto utilizzato come fondo nelle pitture murali tebane della XIX dinastia.
Durante il regno di Tutmosi III, nelle tombe reali venne utilizzato una qualità di giallo molto intenso, ricavato dall'orpimento puro.
Ma nella civiltà egizia il giallo poteva essere anche ottenuto per sintesi chimica. L'antimoniato di piombo giallo, chiamato anche "fritta egizia", si otteneva dalla trasformazione dei carbonati come il gesso o la malachite in ossidi. I minerali, con un procedimento simile a quello per l'ottenimento del blu e del verde, venivano portati ad alte temperature per liberare biossidi di carbonio (sotto forma di anidride carbonica), e ottenere il pigmento giallo sintetico.
Carbone
Il significato simbolico del nero presso gli antichi Egiziani aveva diverse valenze. Era riferito al Regno dei Morti, governato dal dio Anubi, si ricollegava al bitume usato nel rito dell'imbalsamazione e all'idea dell'Aldilà e della vita eterna.
Anubi. XIII sec. a. C.Affresco. Tomba di Sennedjem, Deir-el-Medina, Luxor
Un altro importante valore a cui veniva ricondotto il colore nero era invece quello del kheper, lo scarabeo sacro simbolo di Ra, il dio sole, nel suo primo apparire all'alba.
Il nero si otteneva dal carbone di legna che veniva macinato fino a ridurlo in polvere molto fine e mescolato a grasso.
Realgar allo stato naturale.
Il colore del Basso Egitto era il rosso, simbolo del fuoco e del sangue. Veniva associato al disco solare e le figure degli uomini nella pittura venivano dipinte in rosso.
Stele di Tanetperet (da Tebe)XXII dinastia. Parigi Museo del Louvre
Il pigmento rosso poteva essere prodotto sia dalla macinazione delle ocre rosse, [ossido di ferro anidro formula chimica: FeO ], sia dal realgar [formula chimica: AsS], un minerale composto da solfuro di arsenico.
Crisocolla allo stato naturale.
Colore della vegetazione e soprattutto del papiro, il verde nella civiltà egiziana era simbolo di rigenerazione, spesso associato al dio Ptah, il Grande Creatore, colui che aveva portato l'ordine nel caos primordiale di un mondo acquatico.
Ramesse III presenta il figlio al dio Ptah. XX dinastia. Affresco.
Tomba di Amon-er-khephesef. Valle delle Regne. Luxor.
Fonte: C. Le Blanc, A. Siliotti e prefazione di M. I. Bakr.
Nefertari e la Valle delle Regine. Giunti, Firenze, 2002
L'altra divinità a cui veniva riferito il verde era Osiri, il dio che rinasce dopo la morte.
Il verde veniva ottenuto con due diversi procedimenti: per sintesi o derivato direttamente dai minerali contenenti rame, quali la malachite del Sinai [formula chimica: CuCO(OH) ] o la crisocolla [formula chimica: CuSiO•2HO ] da cui si otteneva un colore verde-azzurro. Nel procedimento per derivazione diretta i minerali venivano finemente macinati fino ad essere ridotti in polvere.
Il procedimento di sintesi invece è simile a quello usato per il blu, ma cambia il composto iniziale, che per il verde consisteva in sali di rame e silicati.
A. Cocchi
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Autore: A. Cocchi
P. Ball. Colore. Una biografia. Tra arte storie e chimica, la bellezza e i misteri del mondo del colore. Biblioteca Universale Rizzoli, Milano 2004
C. Le Blanc, A. Siliotti e prefazione di M. I. Bakr. Nefertari e la Valle delle Regine. Giunti, Firenze, 2002
A. Gabucci (a cura di), A. Fassone, E. Ferraris. Storia dell'architettura. Egitto. Gruppo Editoriale l'Espresso. Bergamo, 2009
AA.VV. La Storia dell'Arte. Le prime civiltà. Electa editore. Milano, 2006
AA.VV. Egitto. Archeologia e storia. Vol. I Folio editrice
G. Cricco, F.P. Di Teodoro Itinerari nell'arte. Vol. I. Zanichelli editore, Bologna 2003
E. Bernini, R. Rota Eikon. Guida alla storia dell'arte. Vol.I. Editori Laterza, Bari, 2005
M. D. Appia Egitto. L'avventura dei Faraoni fra storia e archeologia. Fabbri Editori, I fasc.
F. Negri Arnoldi Storia dell'arte vol I. Gruppo editoriale Fabbri, Milano 1985
P. Adorno, A. Mastrangelo Arte. Correnti e artisti. Vol. I. Casa editrice G. D'Anna, Firenze 1994
N. Frapiccini, N. Giustozzi. La geografia dell'arte. Vol.1 Hoepli editore, Milano 2004
S. Pernigotti Gli artisti nell'antico Egitto Dossier in Archeo. Attualità del passato. anno XVII n.1 (191) gennaio 2001