Pittura in Romagna dal XIII al XVsecolo

Dall'alto Medioevo al XIII secolo

La pittura romagnola dal XIII al XIV secolo

La prima metà del '300: la pittura riminese

La seconda metà del '300: gli scambi culturali

La pittura in Romagna nel '400

 

Bibliografia

 

Dall'alto Medioevo al XIII secolo



In Emilia Romagna la pittura scarseggia almeno fino alla fine del XIII secolo. Tutta la regione ha conosciuto numerosissime distruzioni che hanno portato alla scomparsa delle testimonianze pittoriche dei primi secoli del Medioevo. La civiltà romanica ha privilegiato l'espressione scultorea e architettonica e la pittura, anche quando presente, è stata spesso cancellata da rifacimenti e modifiche o da altre pitture di periodi successivi.
In territorio romagnolo, dai rari frammenti pittorici ritrovati nel territorio faentino e soprattutto dalle testimonianze storiche, si deduce che la pittura era diffusa nel territorio come naturale complemento delle antiche pievi esarcali disseeminate tutta la Romagna. L'utilizzo dei cicli pittorici nelle pievi e nelle chiese rurali romagnole è un processo iniziato con la stessa costruzione dei luoghi di culto bizantini sul finire del V secolo e risponde ad una precisa azione di indottrinamento del popolo da parte degli ordini religiosi. La pittura, in virtù della sua immediatezza espressiva, si trovava a svolgere una funzione comunicativo-didattica e poteva portare il messaggio visivo dei più importanti esempi ravennati in tutti i borghi fino ai confini dell'Esarcato. Anche se nelle pievi e nelle chiesine rurali il linguaggio aulico e raffinato dei mosaici di Ravenna si era già stemperaro in una forma popolare più semplice, il legame con lo stile bizantino-ravennate della pittura romagnmola rimane solidissimo per secoli. Anche con gli influssi carolingi e barbarici e nonostante le assimilazioni e gli scambi con l'Emilia e con lo stile Romanico, ancora nel XIII secolo la pittura in Romagna denota una forte accezione bizantina.
Per la Valle del Savio l'esempio che più chiaramente denota uno spicca5to gusto orientale è la Madonna col Bambino nella chiesa di Santa Maria del Lago a Bertinoro. Un gusto che avrà lunga fortuna, se si pensa che un'altra Madonna col Bambino, bizantineggiante, conservata nella chiesa di Santa Maria della Natività di Calisese, è della fine del XIV secolo.
In queste opere sono evidenti i contorni marcati, le forme abbreviate, le tipiche linee geometriche e ripetute dei panneggi, i reticolati e i filamenti delle lumeggiature, come pure la piattezza degli sfondi e le stesse iconografie, tutti elementi derivati dai mosaici bizantini.

 

La pittura romagnola tra XIII e XIV secolo.

 

La pittura in Romagna del Duecento e Trecento è ben documentata e consiste sia in affreschi sia in tavole dipinte. Mentre gli affreschi sono più rari e si concentrano soprattutto nei centri maggiori, la pittura su tavola offre esempi più numerosi, distribuiti un po' ovunque nel territorio. Appartengono a questa categoria le tavolette devozionali con immagini della Madonna col Bambino, le pale d'altare e le croci dipinte.
 
La diffusione dei crocifissi dipinti che si registra dalla seconda metà del XIII secolo fino al '300 in Romagna mostra una nuova apertura culturale e un aggiornamento sui fenomeni artistici delle vicine regioni  dell'Umbria, delle Marche, della Toscana e dell'Emilia. Si va dagli esempi più antichi e bizantineggianti del Christus Pathiens del convento francescano di Villa  Verucchio, di San Vittore e di Longiano a quelli trecenteschi di Santarcangelo e di Talamello, al Crocifisso della Collegiata di Verucchio del 1404.
Si tratta di opere che mostrano stili diversi, con influenze bizantine, romaniche e gotiche. I modelli di riferimento sono infatti differenti, se il gusto di matrice bizantina, molto radicato in Romagna, si avvicina ancora alle croci umbre più antiche, come il Crocifisso di San Damiano presso Assisi e il Crocifisso di Alberto Sozio a Spoleto, una componente più moderna assimila anche l'insegnamento fondamentale di Giunta Pisano, mentre nel '300 lo stile pittorico si evolve nelle correnti giottesche.

Il Crocifisso in San Domenico a Bologna, opera di Giunta pisano, influisce fortemente sul processo di sviluppo della pittura romagnola del Duecento.
 Il tentativo di Giunta di volgere in chiave più drammatica un'immagine che nasce da una radice ancora sostanzialmente  bizantina deve aver suscitato una forte impressione. Nella sua elaborazione il maestro ricerca il pathos attraverso una serie di variazioni, di scarti dallo stilema tradizionale. Innanzi tutto viene superata la visione perfettamente frontale, diritta che guarda lo spettatore tipica del Christus Triumphans. Viene presentato un Cristo morente (Christhus Pathiens), visto leggermente di tre quarti, con il corpo inarcato sulla croce, i muscoli tesi e la testa già abbandonata sulla spalla. L'esasperazione dei tratti anatomici, l'espressione di sofferenza sul viso e il colorito lividoaumentano l'impatto drammatico. Il chiaroscuro contrastato modula la luce e permette lo stacco del corpo, con un certo risalto plastico del corpo rispetto al piano della croce.

Anche se non tutte le novità introdotte da Giunta sono state assimilate, hanno trovato comunque una forte risonanza nell'ambiente artistico romagnolo.
Il Crocifisso bolognese appartiene all'ultima attività del maestro, docunmentata tra il 1229 e 1254. Da Bologna la corrente giuntesca arriva in Romagna passando prima da Faenza, si affaccia nella Valle del Savio spingendosi poi nel riminese e verso le Marche.
Ma la cultura artistica  dell'area romagnola non si limita all'assimilazione della sola corrente giuntesca. In quello stesso volgere d'anni un'altra vivificante fonte d'influenza è rappresentata dai centri dell'Umbria. Accanto ai già citati Alberto Sozio e il Maestro della Croce di san Damiano che rappresentano la corrente più orientaleggiante, ad Assisi operano artisti molto innovativi come il Maestro di santa Chiara e il Maestro di san Francesco. Attraverso questi esempi, anche l'influsso della cultura figurativa assisiate, più incline all'espressione patetica delle figure, alla vivacità cromatica e alla libertà narrativa, penetra in Romagna. In alcune croci dipinte della Valle sel savio, come ad esempio nel duecentesco Crocifisso di Longiano, si può cogliere il riflesso della sensibilità umbra.
In questo periodo la Romagna si configura artisticamente come una zona molto ricettiva. E' aperta a tutte le novità, raccoglie stimoli anche provenienti da culture diverse. E' un momento di attenzione, di sguardi rivolti all'esterno che rivelano un desiderio di arricchimento culturale ed estetico dopo un periodo di relativa chiusura e radicamento nella tradizione.


 

La prima metà del '300: la pittura riminese




Un fenomeno di spicco dell'arte del XIV secolo in Romagna è senz'altro la pittura riminese che per la particolare compattezza stilistica, intensità espressiva e autonomia rispetto ad altre correnti pittoriche va considerata una vera e propria scuola, con forti riscontri sui successivi svuiluppi pittorici anche nelle Marche e in Emilia.

La particolarità della pittura riminese trecentesca deriva dall'originale sintesi tra un sostrato tradizionale di stampo classico e orientale ancora legato all'estetica ravennate-bizantina e le nuove componenti stilistiche provenienti da più parti: l'insegnamento di Giotto, quello dei maestri delle aree umbre e romane e quello della pittura bolognese e veneta.

Le radici vanno ricercate nella visione romanico-bizantina che caratterizza la pittura del Duecento Romagnolo. Le prime personalità artistiche appartenenti alla scuola riminese sono infatti pittori che hanno avuto la loro formazione già nell'ultimo decennio del Duecento e cominciano la loro attività autonoma all'aprirsi del nuovo secolo. Giovanni è documentato a partire dal 1292, Giuliano dal 1307 e il Miniatore Neri dal 1300.
Gli elementi stilistici che si colgono nelle opere dei pittori riminesi rivelano una complessa radice culturale e figurativa. Si tratta di un linguaggio ricco e coerente composto su una raffinata e colta sintassi. ma oltre a questi aspetti comuni si nota anche una forte autonomia, sia del gruppo rispetto ad altre scuole coeve, sia dei singoli artisti all'interno del gruppo poichè si distinguono per sensibilità e temperamenti molto diversi tra loro.

La scuola riminese influenza la pittura in Romagna almeno per tutta la prima metà del XIV secolo. Tra gli esempi appartenenti al territorio romagnolo che appartengono o risentono di questo stile si possono indicare i Crocifissi di Santarcangelo e di Verucchio e la Madonna dell'Umiltà di Galeata.



La seconda metà del '300: gli scambi culturali.




La seconda metà del secolo la Romagna e in particolare la Valle del Savio attraversa un difficile momento storico. dDicersi centrio sonol pesantemente provati da conflitti disastrosi e gravi episodi di devastazione delle citt. Emblematici sono stati episodi come il sacco di Forlimpopoli, compiuto dal cardinale Albornoz nel 1360 che rase al suolo la città; il saccheggio di Faenza del 1376  e il successivo eccidio di Cesena, avvenuto nel 1377, entrambi per opera di Giovanni Acuto che a Cesena provocò circa 5.000 morti spopolando praticamente la città (allora contava 8.000 abitanti, i superstiti fuggirono verso i centri costieri) e distruggendo tutto.
Nonostante ciò la situazione artistica e culturale romagnola, almeno nelle aree non interessate a quei disastri continuò a mantenersi vivace. Nella seconda metà del secolo sono documentate anche opere che testimoniano la presenza in Romagna di artisti provenienti da altre aree culturali, soprattutto dal Veneto.
I rapporti tra la pittura della Romagna e quella veneta si impostano su una trete di scambi reciproci che continueranno anche successivamente. Alla base di questo legame esiste un'analogia di gusto e una sinergia culturale: la pittura della scuola veneziana condivise con quella Romagnola il riferimento alla tradizione bizantina. Il cromatismo vivace dai colori intensi e brillanti e il largo uso dell'oro nei dipinti veneti del '300 sono molto vicini alle tinte piene e contrastanti della pittura romagnola del '200 e soprattutto ai mosaici ravennati e sempre all'estetica orientale rinvia l'interesse per la ricca impaginazione decorativa tipica di questa scuola. Con gli aggiornamenti dovuti all'insegnamento di Giotto e gli influssi della scuola riminese, la pittura veneta si è avvicinata nuovamente all'espressività romagnola. Infine con uno scarto nuovo, verso la fine del secolo si è avviata in direzione del 'gotico fiorito', corrente di cui Venezia diverrà uno dei maggiori centri di diffusione.
A sua volta la Romagna, già legata artisticamente al Veneto, negli ultimi decenni del '300, è il primo terreno che viene raggiunto da quella nuova corrente. Tra gi artisti veneziani che hanno soggiornato in Romagna alla fine del '330 va ricordato Iacobello Bonomo, autore dello splendido Polittico ora nella Biblioteca di Santarcangelo.

Un'altro esempio di opere realizzate da artisti provenienti da culture esterne  è la Madonna col Bambino di Bagno di Romagna. Si tratta di un dipinto assegnato al maestro della Madonna n.17 di Oxford, esponente della scuola fiorentina.

 

 

La pittura in Romagna nel '400

 

 

Rispetto al boom artistico di Firenze e della Toscana, il '400 sorprende le località romagnole in un momento di lenta transizione e di ripresa e ricostruzione ripetto ai momenti di conflitto e devastazione attraversati negli ultimi decenni del '300. L'arte in Romagna all'inizio del secolo vive un moderato adeguamento alle nuove correnti, inizialmente riferito soprattutto all'Italia settentriuonale. La cultura umanistica fiorentina raggiunge infatti i maggiori centri rimagnoli solo verso la metà del secolo, mentre nella prima parte del XV secolo il gusto che prevalse fu quello tardogotico diffuso da artisti come i veneziani Jacobello di Bonomo e Niccolò di Pietro.
A Jacobello si deve il bellissimo Polittico con la Vergine in trono e Santi realizzato 1385 e conservato a Santarcangelo. Niccolò è invece l'autore dell'intenso Crocifisso dipinto nel 1404 e conservato alla Collegiata di Verucchio.
Le componenti del gusto cortese e raffinato caratteristiche dello stile tardogotico veneto vennero però assimilate dagli artisti romagnoli attraverso un'interpretazione meno aulica e idealizzata, per avvicinarsi ad una visione più semplice e concreta ma molto intensa e profonda soprattutto negli aspetti umani. Ciò si può vedere soprattutto nell'opera di Bittino da Faenza, una figura molto importante per la diffusione dello stile tardogotico in Romagna. Questo artista, attivo soprattutto nel territorio riminese, ha lasciato notevoli testimonianze della sua pittura, come la Crocifissione del Museo di Rimini, l'Adorazione dei Magi, oggi della Pinacoteca di Bologna e un affresco staccato con l'Adorazione dei Magi conservato al Museo di San Francesco di San Marino.
Il maggiore interesse alla quotidianità e alla dimensione umana si rivela in una più semplice e sincera espressività legata alla civiltà contadina della Romagna e spiega anche il protrarsi e volgarizzarsi del tardogotico in questo territorio oltre la metà del '400 anche nelle località minori. Alcuni esempi significativi sono l'affresco nel Santuario di Corzano con le Nozze di santa Caterina e gli affreschi della chiesa di Tipano presso Cesena.

Con la seconda metà del secolo si vede affacciarsi in Romagna anche l'influenza della cultura umanistica. In questo momento accanto ai contatti con il Veneto e con L'Emilia diventano più importanti i rapporti con le Marche e la Toscana. I primi avamposti dello stile rinascimentale fiorentino sono soprattutto i centri dell'Alta Val di Savio e del Bidente. Esempi interessanti si trovano a Bagno di Romagna e a Meldola.

 

A. Cocchi

 

 

Bibliografia

 

AA. VV. Arte in Emilia Romagna. Electa editrice, Milano 1985


A. Corbara, Livello e confini dell'unità artistica dell'antica Romagna in: Rubiconia Accademia dei Filopatridi - Quaderno X, Savignano sul Rubicone 1970.

A. Tambini. Pittura dall'alto medioevo al tardogotico nel territorio di Faenza e Forlì. Comune di Faenza, 1982

C. Volpe. La pittura dall'Alto Medioevo al Tardogotico nel territorio di Faenza e Forlì. Comune di Faenza, 1982

C. Volpe. La pittura riminese del Trecento. I Maestri del colore n. 228, Fratelli Fabbri Editori, Milano 1966

C. Volpe. La pittura nell'Emilia e nella Romagna. raccolta di scritti sul trecento e Quattrocento. Banca Popolare dell'Emilia Romagna, Modena 1993.

 
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