Artemisia Gentileschi

Tra i maggiori interpreti della pittura barocca, Artemisia Gentileschi ha elaborato uno stile di grande forza espressiva, carico di pathos e sensualità.

 

Artemisia Gentileschi, Artemisia Gentileschi. Giuditta con la sua ancella. 1618-1619. Olio su tela.  Palazzo Pitti, Firenze
Artemisia Gentileschi. Giuditta con la sua ancella. 1618-1619. Olio su tela.  Palazzo Pitti, Firenze

La pittrice Artemisia

 

La pittura di Artemisia Gentileschi nella tradizione della storia dell'arte è stata vista più come una curiosità che come opera artistica di rilievo, sorvolando o addirittura ignorando l'innegabile qualità dei suoi lavori.  Nei manuali di storia dell'arte, come avviene per molte altre artiste, il suo nome e le sue opere non compaiono se non raramente, talvolta  le è riservato solo qualche accenno.
Artemisia è una delle poche donne artiste operante nell'ambito solitamente maschile della pittura del '600. Quasi una femminista ante-litteram, Artemisia non si volle concentrare esclusivamente su generi considerati più adatti alle donne come la natura morta e il ritratto. Si è affermata con successo affrontando temi complessi come la "pittura di storia", i generi sacri e mitologici, considerati di competenza degli artisti maschi. Ha preferito soprattutto dedicarsi a temi di contenuto erotico o violento, concentrati su protagoniste femminili che compaiono come eroine o come vittime.
La Gentileschi è vissuta in un'epoca e in una società in cui per le donne potevano aprirsi solo due possibilità di vita: il matrimonio o il monastero. Ma lei scelse di dedicare la sua vita all'arte. Il sostegno e l'insegnamento del padre Orazio Gentileschi è stato senza dubbio fondamentale per il formarsi della sua carriera, ma considerando il contesto e la mentalità di allora, Artemisia doveva anche essere anche una donna dotata di un coraggio e una forza di volontà non comuni.

 

La formazione

 

Artemisia Gentileschi nacque a Roma l'otto luglio del 1593.
E' la primogenita del pittore Orazio Gentileschi e di Prudentia Montone. Fin dall'infanzia fu istruita per diventare un'artista dimostrando subito una certa abilità verso la pittura, a cui incominciò a dedicarsi attorno al 1605.
Vivendo a Roma, fin dall'infanzia poté guardare da vicino molte opere che si stavano sviluppando in quel momento: dalla Galleria Farnese affrescata da Annibale Carracci, alla Chiesa di S.Luigi dei Francesi dove stava lavorando Caravaggio, alla chiesa di S.Maria del Popolo, dove si stavano elaborando gli affreschi di Guido Reni e del Domenichino.
Ma a quei tempi per una ragazza il sogno di una carriera artistica era fortemente ostacolata. Tuttavia Artemisia Gentileschi non si arrese. Seguendo e lavorando insieme al padre ebbe modo di conoscere diversi pittori, tra cui Caravaggio e il nipote di Michelangelo. Due punti di riferimento per determinare il carattere della sua pittura, insieme all'idealismo toscano, al realismo romano e al naturalismo chiaroscurale dello stesso Caravaggio.
La sua prima tela, Susanna e i Vecchioni del 1610, fu dipinta con uno stile molto naturale. Le gesta dei personaggi sono forti, le espressioni sono realistiche. Un dipinto che mostra la conoscenza dell'anatomia umana, dei colori, del pennello, e della struttura compositiva del quadro.

 

I lavori del periodo giovanile

 

Nell'estate del 1611 Artemisia Gentileschi visitò nella sua stessa città di Roma alcune opere finalmente completate: Santa Maria Maggiore ed i suoi soffitti dipinti dal Cigoli e da Guido Reni, che furono incominciati nel 1605; San Pietro, e l'estensione della facciata voluta da Carlo Maderno; il Palazzo del Quirinale, dove il padre, Orazio Gentileschi, insieme a Giovanni Lanfranco, Carlo Saraceni e Agostino Tassi stava decorando la Sala Regia. Orazio e Tassi lavorarono insieme anche al Casino delle Muse (Palazzo Pallavicini-Rospigliosi, 1611-12), per l' affresco sulla volta del palazzo. E si suppone che Artemisia partecipò alla decorazione. Agostino Tassi era un pittore di paesaggi e di vedute marine, al quale Orazio affidò la figlia per insegnarle come costruire la prospettiva in pittura. Ma Tassi oltre alla prospettiva provò a iniziarla e alla fine riusci per approfittare della giovane Artemisia, che in seguito dovette subire l'umiliazione di dover testimoniare al processo e di dimostrare la sua precedente verginità. E per l'epoca non essere sposata e non essere vergine corrispondeva in qualche modo ad una condanna sociale. Agostino Tassi all'inizio promise di riparare con un matrimonio ma in seguito dichiarò che la ragazza era inaffidabile sostenendo che era già stata con altri uomini.
Dopo il processo Artemisia continuò a dipingere e incominciò a sviluppare uno stile più propriamente personale.
Ed è in questo periodo, nel 1612,  che dipinge Giuditta che decapita Oloferne, oggi conservata al Museo di Capodimonte a Napoli, che rappresenta una delle scene più violente della Bibbia e che probabilmente rispecchiò lo stato d'animo che la sconvolse durante il processo. Il realismo e il drammatico chiaroscuro richiama le opere precedenti di Rubens e di Caravaggio.

 

Firenze, 1612-20

 

Il 29 novembre del 1612 Artemisia Gentileschi sposò un artista fiorentino, Pietro Antonio di Vincenzo Stiattesi. Un matrimonio che si celebrò un mese dopo la fine del processo. Entrambi frequentarono l'Accademia del Disegno, dove Artemisia divenne socio ufficiale nel 1616.

Durante il soggiorno fiorentino ebbe il sostegno di diversi benefattori della città, tra cui la famiglia Medici e la famiglia Buonarroti, dalla quale ricevette la commissione di completare un affresco all'interno della loro residenza. Le opere del periodo fiorentino le firmò con il soprannome di Lomi.

All'Accademia intanto diventa amica di Galileo Galilei con il quale incomincia una fitta corrispondenza.  
Durante il soggiorno in Toscana realizzerà un'altra versione di Giuditta, dal titolo Giuditta e la sua governante [Palazzo Pitti, 1612-13 immagine 3], mentre in seguito dipingerà l'Allegoria dell'inclinazione [Casa Buonarroti - 1615-16 - immagine 4].

L'ultima tela completata a Firenze è Giuditta che decapita Oloferne [Uffizi, 1618/1620 - immagine 5]. E nel 1618 dette alla luce una bambina.

 

Genova, Venezia e Roma: 1620-30

 

Nel 1620, il padre di Artemisia Gentileschi,  Orazio Gentileschi partì per Genova per eseguire una nuova commissione e probabilmente Artemisia lo accompagnò.
Qui la ragazza compone la Lucrezia, del 1621, conservata al Palazzo Cattaneo Adorno, e la Cleopatra, ora a Milano, presso la Collezione Amedeo Morandotti, dello stesso anno.

A quel tempo Genova era una città mercantile di ricchi banchieri e così Artemisia non ebbe difficoltà a trovare degli acquirenti per le sue opere. E sarà durante il soggiorno genovese che incontrerà Anthony Van Dick; i due artisti si conobbero artisticamente ed è abbastanza probabile che si influenzeranno a vicenda. Artemisia ritorna a Roma nel 1622: lo testimonia il Ritratto del Condottiere, eseguito nel 1622. La donna rimarrà in città per diversi anni: il suo nome è menzionato nel censimento del 1624-26. In questo periodo visse a Via del Corso, in prossimità di Piazza del Popolo, insieme a due domestici e alla figlia, che in base ad alcuni documenti dovrebbe chiamarsi Prudentia o Palmira. Non ci sono più tracce del marito: probabilmente si è separata, ed intanto sta nascendo una nuova figlia, concepita con un Cavaliere dell'Ordine di Malta, come ci attesta la lettera a lui indirizzata nel 1649.

Il secondo periodo artistico romano di Artemisia coincide con il pontificato di Urbano VIII [1623-1644] e con un nuovo orientamento di stile e di gusti. E' il periodo che Gianlorenzo Bernini sta trasformando il volto della città e gli interni di San Pietro.
Artemisia lavora su un'altra rappresentazione di Giuditta. La sua Giuditta e la domestica con la testa di Oloferne [Detroit, Institute of Art, 1625, Immagine 6], è un esempio raffinato dello stile barocco caravaggesco sul quale Artemisia sta lavorando. Mentre Giuseppe e la moglie di Potiphar  [Fogg Art Museum, Cambridge, Usa, 1622] fu dipinto sempre durante questo periodo che fu particolarmente produttivo e gratificante.

 

Napoli, 1630-38

 

Dalle documentazioni del tempo sappiamo che Artemisia Gentileschi soggiornò a Napoli tra l'agosto del 1630 e il novembre del 1637. Una città che in quei tempi abbondava di lavoro e di committenti in cerca di artisti. Anche Caravaggio aveva soggiornato a Napoli, aprendo la strada per gli altri pittori che avrebbero voluto completare le opere della città.
Qui Artemisia nel 1630 incontra Velazquez ed entrambi lavoreranno per la regina Maria d'Austria. Lo stesso anno Artemisia completa una grande tela d'altare che ha come tema l'Annunciazione; ed è la prima opera realizzata all'interno di una chiesa che conosciamo. Fu dipinta per la chiesa genovese della città, S.Giorgio de' Genovesi mentre la tela successiva che compose è Clio  del 1632.

 

 

Inghilterra:1638-41

 

Nel 1638 Artemisia Gentileschi soggiornò a corte del Re Carlo I e della regina Henrietta Maria.
Carlo I era un collezionista d'arte e allo stesso tempo committente, ed aveva già raccolto una sorprendente galleria di capolavori che comprendeva opere di Tiziano, Raffaello, Mantegna, Correggio, Caravaggio e di altri artisti del Rinascimento.
Artemisia rimase a corte per quasi tre anni ed in questa circostanza lavorò per la prima volta insieme al padre, Orazio Gentileschi, che era arrivato in Inghilterra nel 1626 ed in seguito raggiunto dalla figlia per aiutarlo a dipingere il soffitto della Queen's House a Greenwich (ora a Marlborough House, London) che ha come tema l'Allegoria della Pace e delle Arti sotto la Corona Inglese [1638-39]. Orazio Gentileschi morirà il 7 febbraio del 1639.

Una delle opere più conosciute e raffinate fu realizzata in questi anni: l'Autoritratto come allegoria della pittura [Collection of Her Majesty the Queen, Kensington Palace, London, 1630,], nel quale dimostrò la padronanza con la tempera ad olio disegnando lei stessa mentre sta dipingendo, circondata dagli strumenti della pittura; un autoritratto abbastanza insolito per i suoi tempi. L'opera fu acquistata da Re Carlo I d'Inghilterra tra il 1639 e il 1649.

 Nel 1642 in Inghilterra scoppiò quel conflitto tra le forze parlamentari e l'esercito del Re che avrebbe portato alla prima guerra civile inglese. Artemisia così tra il 1640 e il 1641 tornò in Italia e si stabilì a Napoli, dove rimase per il resto della sua vita.

 

Napoli, 1642-52

 

 

Quest'ultimo periodo dell'attività artistica di Artemisia Gentileschi fu caratterizzato dal lavoro per conto di Don Antonio Rufo di Sicilia. Artemisia completò David e Bathsheba [Museum of Art, Columbus, Ohio, 1640]. Anche il quadro che le fu stato attribuito Lot le sue figlie (Museum of Art, Toledo, Ohio, 1640) risale sempre a questa fase. Una delle sue ultime opere famose fu la sua prima eroina femminile, Lucrezia [Museo di Capodimonte, Napoli, 1642], che fu sempre un'opera attribuita; il soggetto dimostra la passione di Artemisia per l'eroina al femminile, forte, abile e donna indipendente.
La sua presenza a Napoli è stata fondamentale, poiché la Gentileschi ha influenzato in modo determinante la pittura napoletana, avviando una nuova fase evolutiva.

Artemisia Gentileschi morì nel 1653. Nonostante le sue capacità, la sua reputazione e la sua importanza, su di lei non è stato scritto molto. Ciò che rimane della sua vita e della sua esperienza artistica sono 34 dipinti e 28 lettere.

A. Cocchi

 

 

 

 

 

Video

 

La vita di Artemisia Gentileschi raccontata dalla scrittrice Elisabetta Rasy

Artemisia Gentileschi. Rai Cultura-Arte

 

 La pittura di Artemisia Gentileschi in rapporto alle vicende storiche e artistiche del suo tempo.

 

 Le Pittrici del XVII secolo. Artemisia Gentileschi. Rai Uno

 

 


Bibliografia

 

A. Lapierre Artemisia Mondadori 1999
AA.VV. Caravaggisti Dossier Art n. 109, Giunti,  Firenze 1996
J. W. Mann, Artemisia e Orazio Gentileschi in: Orazio e Artemisia Gentileschi, Skira editore, Milano, 2001
B. R. Benjamin, P. De Montebello, C. Strinati. Premessa in: Orazio e Artemisia Gentileschi, Skira editore, Milano, 2001
La Nuova Enciclopedia dell'arte, Garzanti, 1986
 

 

 

 
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