Famiglie di artisti

I Carracci

I Della Robbia

I Gentileschi

I fratelli Campi

 

I Carracci

 

L'accademia degli incamminati
Il classicismo naturalistico dei Carracci
La polemica carraccesca
Annibale e Ludovico
Bologna al tempo dei Carracci
Bologna nel '600

 

Fra i vari tentativi di riforma, durante gli ultimi decenni del secolo XVI, Bologna comincia ad assumere una posizione dominante nella pittura e ciò è dovuto soprattutto all'attività dei tre Carracci: i fratelli Agostino (1557-1602) e Annibale ((1560-1609) insieme al cugino Ludovico (1555-1619), maggiore di loro di qualche anno.
Fu proprio Ludovico ad indicareper primo la strada per superare la complessità, la sofisticazione e l'artificiosità dello stile tardo manierista.
Inizialmente i tre artisti ebbero uno studio in comune e la loro collaborazione fu talmente stretta che non è sempre facile distinguere le loro opere. Ad esempio, in alcuni cicli di Affreschi condotti nalle città di Bologna, come quelli di Palazzo Fava degli anni 1583-84 con scene dell'Eneide di Virgilio e quelli di Palazzo Magnani-Salem che illustrano la storia di Roma secondo Livio, mostrano molti punti di reciproca influenza.
Dopo il 1582 essi aprirono una scuola privata di pittura, l'Accademia degli incamminati, oriebtata verso una "formazione attiva" dei giovani pittori e in cui si dava particolare importanza al disegno dal vero. L'Accademia dei Carracci divenne presto il luogo di raccolta di tutte le tendenze progressiste a Bologna.
Nello stesso periodo, negli anni intorno al 1580, gli stili personali dei tre Carracci vanno definendosi più chiaramente e dal 1585 in avanti è possibile seguire gli sviluppi delle singople personalità. Contemporaneamente, anche sulla scia del successo ottenuto con gli Afrreschi di Palazzo Fava, cominciarono ad essere sommersi da commissioni sia per grandi pale d'altare a Bologna e in Emilia, sia per cicli pittorici monumentali per residenze private. Nascono così la splendida serie di Affreschi di Palazzo Magnani, del 1589-90, gli affreschi al Palazzo dei Diamanti a Ferrara e gli Affreschi di Palazzo Sampieri.
Fino a questo momento la fortuna dei Carracci era legata ad una partecipazione collettiva ai lavori, ma questa loro collaborazione non duò a lungo. Entro i primi dieci anni dalla fondazione dell'Accademia la fama dei Carracci era enormemente cresciuta e nel 1594 furono invitati dal cardinale Odoardo Farnese (fratello del duca di Parma e di Piacenza) a recarsi a Roma e ad entrare al suo servizio.
Ludovico non era mai stato a Roma e si vantava di ciò poichè aveva indirizzato i suoi studi e quelli di Annibale verso l'Italia settentrionale. Fu soprattutto per questo e per la situazione interna all'Accademia, che non sarebbe sopravvissuta alla partenza dei suoi fondatori, che egli declinò l'invito. Annibale invece andò a Roma e là fu raggiunto da Agostino nel 1597. La sua decisione causò fra i tre ferite mai più risanate e si trattò di una svolta fatale.
Da una parte l'Accademia ricadde tutta sulle spalle di Ludovico. Fu lui il responsabile della formazione delle successive generazioni di giovani artisti bolognesi, tra cui Guido Reni, Domenichino e Albani. Fu sempre Ludovico che poco tempo dopo assicurò la continuità della riforma pittorica, trasformando l'Accademia in un organo ufficiale e statale, associandola alla Compagnia dei Pittori di Bologna.
Dall'altra parte Annibale portò il nuovo stile che essi avevano formato a Roma, centrodella scena artistica mondiale, dove lo assimilò ai principi romani di Raffaello e all'arte dell'antichità e fu lui a renderlo di portata nazionale ed internazionale.

 

 

L'Accademia degli Incamminati

 

In un momento di crisi profonda della cultura bolognese dominata dagli ultimi epigoni del manierismo torco-romano, tre pittori: Ludovico, Agostino e Annibale tutti appartenenti alla famiglia Carracci, segnano un importante rinnovamento. I Carracci già condividevano la stessa bottega, ma tra il 1585 e il 1588 fondarono l'Accademia bolognese degli Incamminati.
Uno degli aspetti più innovativi è che essa non fu una scuola di pittura in senso tradizionale, dove gli allievi potevano imparare procedimenti e tecniche artistiche secondo vecchie formule da copiare, ma venne adottato un programma didattico moltoinnovativo. L'accademia dei Carracci era una sorta di moderno atelier, una specie di università dell'arte, un'ambiente vivo ed aperto dove accanto alla tecnica pittorica si apprendevano anche contenuti della scienza e della letteratura. L'organizzazione dell'accademia bolognese, almeno fino alla partenza di Annibale per Roma, nel 1595 e di Agostino, due anni dopo, funzionava secondo un criterio di chiara divisione dei compiti:
Ludovico, l'artista più anziano e più esperto (cugino di Annibale e di Agostino) aveva funzioni direttive. Come pittore aveva uno stile nettamente contrapposto a quello del manierismo e molto attento agli effetti della luce e del colore.
Agostino (fratello più grande di Annibale), anche se artisticamentemeno dotato era un uomo di grande cultura, inclinato soprattutto agli studi scientifici. Si occupava dell'insegnamento dell'anatomia e della prospettiva. Fu anche un abile incisore e come pittore si avvicinava più allo stile di Annibale che a qello di Ludovico.
Annibale, il più giovane dei tre, era l'uomo di punta, ricchissimo di fantasia e di talento, dotato di spirito aperto e vivace.

Sia per la sua impostazione, sia per i contenuti l'accademia carraccesca si poneva in contrasto polemico rispetto al manierismo tosco-romano che rappresentava il gusto dominante fino ai primi del '600.
Gli artifici e le ricercatezze del manierismo vennero infatti respinti dai Carracci che si accostarono invece alla tradizione veneziana, al Correggio e alla cultura dell'Italia settentrionale.
Venne accolta, anche se con un atteggiamento intimamente romantico, la grande tradizione classica e rinascimentale, ma senza intenti dottrinali, retrospettivi o archeologici. Michelangelo e Raffaello vennero sempre considerati dei modelli importanti ma ogni aspetto monumentale o eroico venne superato in favore di un atteggiamento più quotidiano.

Le figure divennero più concrete, meno divinizzate e più cordiali, i ritratti persero l'aspetto aristocratico per acquisire un tono più vero e quotidiano, divennero acuti studi introspettivi dove emerge piuttosto l'interesse psicologico, avvicinandosi alla corrente lottesca-lombarda. Un esempio in questo senso è l'Autoritratto con due figure di Annibale Carracci.

Un cambiamento importante si riscontra anche nei dipinti sacri, dove non venne più mostrata una divinità lontana, irraggiungibile, ma un'umanità umile e dimessa. Ler scene rappresentate, più vicine alla vita di tutti i giorni, rispecchiano una religiosità popolare, quasi ingenua. La splendida Annunciazione di Ludovico Carracci è tutta impostata su un'atmosfera calda, intima, domestica. Lo spazio è ridotto all'essenza nella sua ordinata e armonica semplicità. Le figure sono cariche di una dolcezza umanissima.

I dipinti di genere vennero riqualificati dai Carracci proprio come "quadri", mentre la cultura ufficiale li considerava come sottoprodotti artistici, all'ultimo posto di una scala gerarchica del gusto primeggiata dalla pittura di storia (sacra e profana). A questo proposito si può indicare Il Mangiafagioli e La macelleria di Annibale. soggetti simili erano stati gi à affrontati in Lombardia ed in Emilia, ma più come "capricci" che come opere in quanto tali e con forzature grottesche e toni popolari. Un riflesso di questa tendenza si può ancora cogliere nei personaggi un po' caricaturali di Annibale, ma la novità più importante sta nella tecnica pittorica.
Non si tratta più di "scherzi" realizzati con una pittura compendiaria, l'impasto del colore e il tocco del pennello sono molto curati e preludono già ad alcuni tratti del naturalismo spagnolo.

 

 

Annibale e Ludovico

 

Alla base della riforma carraccesca la relazione tra l'arte di Ludovico e quella di Annibale rappresenta un nodo essenziale.
Nella fase iniziale, rappresentata negli affreschi della Stanza di Giasone in Palazzo Fava, gli stili dei due artisti sono molto vicini sia per spirito che per concezione visiva. Osservando le mani ed i volti delle figure si notano la dolcezza delle espressioni e gli effetti di morbidezza dovute alle decise sfumature e al corposo cromatismo. Sono caratteristiche che rivelano l'influsso di Correggio e Barocci.

Per Annibale gli esempi di questo momento stilistico sono l’Allegoria di Hampton Court e la Macelleria. L’allegoria presenta una gamma di colori sviluppata su una dominante dorata che siricollega al “colore suave” di Correggio, mentre la Macelleria ha un cromatismo più acceso.

Riguardo all’opera di Ludovico, gli esempi che mostrano più chiaramente questo passaggio sono la sua giovanile Madonna del Rosario a Bologna, insieme alla Visione di San Francesco di Amsterdam, oltre al San Gerolamo della Neil Gallery di Londra attribuito all’uno o all’altro maestro.

Nel decennio tra gli anni ‘80 e ‘90 del ‘500, l’evoluzione dei due artisti si manifesta con differenze via via più evidenti delle singole personalità e gli insegnamenti che i due traggono dalla pittura veneziana vengono assorbiti e rielaborati in maniera diversa. Annibale aumenta il contrasto chiaroscurale e si concentra su composizioni più razionali. La Madonna di San Ludovico di Annibale, ad esempio, presenta una disposizione più ordinata
delle figure, relazioni con lo spazio ed effetti di luce più convincenti.
Nelle opere che negli stessi anni realizza Ludovico, come la Madonna di Cento invece, lo spazio appare compresso, le formazioni più ammassate e le figure sono orientate a una maggiore spiritualità ed intensità emozionale. Nell’arte di Ludovico prevale una forte componente mistica che si esprime con un’atmosfera soprannaturale, ottenuta non solo attraverso il colore e la luce e ma anche con panneggi che si muovono e ondeggiano in modo
irrazionale, le espressioni intense e le torsioni dei corpi dei personaggi.
Si crea quindi un divario tra i due artisti: Ludovico accentua la visione soprannaturale, Annibale tende a fondere l’esperienza naturale con la componente metafisica.

Mentre fino a tutto il 1594 le opere diLudovico e Annibale mostrano reciproche influenze, il 1595, segnato dalla partenza di Annibale per Roma, è il momento in cui i due stili iniziano a cambiare e ad allontanarsi tra loro, seguendo strade diverse. Prima di partire per Roma, in opere come Cristo e la Samaritana di Brera e L’elemosinare San Rocco del museo di Dresda, Annibale si avvicina allo stile di Ludovico soprattutto con l’uso delle
deformazioni, come l’allungamento delle figure o l’esagerazione dei volumi: una caratteristica appartenente alla pittura del Parmigianino, molto ammirata da Ludovico. Nello stesso tempo però Annibale, affascinato dalla maniera di Raffaello, studia composizioni costruite su raggruppamenti distribuiti attentamente, con effetto coreografico che fa risaltare gesti e movimenti. Nel dipinto di Dresda,ad esempio sono ben distinti i due gruppi di personaggi: quelli che hanno ricevuto l’elemosina hanno atteggiamenti diversi da quelli che si avvicinano per riceverla. Dopo il sul arrivo a Roma, Annibale assorbe immediatamente l’insegnamento della pittura di Raffaello e delle antichità romane.


A Bologna Ludovico accentua la tendenza espressionista, continuando a guardare alla cultura figurativa settentrionale, senza mai avvicinarsi alla maniera romana. Ma soprattutto la pittura di Ludovico si evolve con grande originalità, portando avanti una linea personalissima. Sviluppa composizioni del tutto inedite, basate su un disegno innovativo, sperimenta accostamenti e viraggi cromatici fantastici, creando dissonanze visive ed effetti psicologici di particolare intensità emotiva.
Anche se lontani tra loro e diversissimi nelle rispettive sensibilità, i risultati dell’opera di Annibale e del cugino Ludovico discendono dalla loro comune formazione e dagli stessi principi visivi e convenzioni ottiche apprese All’Accademia carraccesca.

  

Il classicismo naturalistico dei Carracci

 

L'arte dei Carracci è stata innovativa perchè ha rappresentato una sintesi tra due correnti artistiche importanti e per molti aspetti antitetiche tra loro. La prima di queste è rappresentata dalla tradizione rinascimentale fiorentina e romana, vicina agli agli ideali diffusi dall'Accademia del Disegno di Firenze, di stampo più classico e riferita agli esempi di Michelangelo, Raffaello e Andrea del Sarto. Da questi maestri i Carracci ripresero solo alcuni elementi fondamentali, come ad esempio lo studio della figura dal punto di vista anatomico, dei movimenti e dell'interazione con lo spazio.
La seconda corrente verso cui si indirizzano i Carracci è la linea naturalistica, offerta da un lato dalla pittura veneziana di Tiziano e dall'altro dalle esperienze emiliane di Correggio. Ne consegue che anche il naturalismo dei Carracci non è una componente inedita dovuta semplicemente allo studio diretto della natura, ma si richiama ad una precisa tradizione artistica.

Da queste precise scelte deriva probabilmente la decisione, nel 1582, dei tre giovani Carracci di fondare un'accademia piuttosto che una tradizionale bottega, nella quale riformulare nuovi principi artistici. Utili strumenti didattici erano offerti dalle stampe di Agostino che proponevano le opere dei principali maestri emiliani e veneti che affiancavano i modelli già ampiamente divulgati di Michelangelo e Raffaello, offrendo la possibilità di confronto e arricchimento culturale e stilistico.

 

La polemica carraccesca

 

Uno dei temi centrali nel periodo della Controriforma, dibattuto soprattutto nella sessione bolognese del Concilio di Trento è stato il problema della finalità delle immagini sacre e vennero stabiliti principi e regole  che  gli artisti avrebbero dovuto seguire. Secondo la Riforma dell'arte sacra, s dopo principali delle immagini religiose doveva essere quello di stimolare la devozione popolare, istruire gli ignoranti, prima ancora di rivolgersi ai più colti. Vennero quindi ricercati i mezzi più opportuni per stabilire una efficace illusione della realtàesterna, facendo leva sul coinvolgimento emozionale dello spettatore e per convincerlo della verità religiosa che si intendeva comunicare.

Dopo lo scorrimento del Giudizio Universale di Michelangelo nel 1542 si scatenarono aspre polemiche. Di fronte allo straordinario dispiegarsi di figure nude della cappella Sistina ci si chiedeva se Michelangelo avesse o meno dato troppa importanza alla sua arte piuttosto che a piegare la sua opera alle esigenze del tema e della veritàreligiosi. Secondo i critici controriformisti Michelangelo doveva mettere la sua arte al servizio dei contenuti religiosi e non esaltare  l'arte per se stessa mettendo in rilievo i valori estetici dell'ideazione, decorazione e virtuosismi tecnici.

La pittura dei Carracci, allontanandosi dalla maniera di Michelangelo, si fece interprete della Controriforma ponendo grande attenzione alle tecniche con cui ottenere maggiore  verosimiglianza ed effetti illusivi perché lo spettatore potesse convincersi, attraverso l'arte, della verità del tema rappresentato.

Per i Carracci il naturalismo era il mezzo più idoneo per esprimere realtà astratte, oltre i limiti dell' esperienza sensibile, perché divine e soprannaturali, tramite una convincente somiglianza pittorica. I Carracci hanno quindi sviluppato un'indagine sugli strumenti dell'artificio, affinati soprattutto nella tradizione pittorica nord-italiana, specie in Emilia ed a Venezia.

A. Cocchi

 

Bibliografia

 

R. Wittkover Arte e architettura in Italia (1600-1750). Einaudi, Torino, 1972.
AA. VV. Nell’età del Correggio e dei Carracci. Pittura in Emilia nei secoli XVI e XVII. 
Catalogo della mostra, Pinacoteca Nazionale e Accademia di Belle Arti, Museo Civico Archeologico, Bologna, 10 settembre-10 novembre 1986. Nuova Alfa Editoriale. Cittadella, Padova, 1986
AA. Caravaggio e il suo tempo. Electa, Napoli 1985.
G. C. Argan. L'arte italiana dal Rinascimento al Neoclassico, n° 9 RCS, Sansoni editore, 1991
F. Molinari Pradelli. Premessa a La raccolta Molinari Pradelli. Dipinti del Sei e Settecento. Catalogo della mostra. Bologna, Palazzo del Podestà, 26 maggio-29 agosto 1984. Stampato a Firenze, 1984.
La Nuova Enciclopedia dell’Arte. Garzanti 1986

 

 

 

I Della Robbia

 


Andrea della Robbia. La Vergine con il Bambino e santi. sec. XV
Terracotta invetriata. Camaldoli, Sacro Eremo

 

Tra le più famose famiglie di artisti i Della Robbia occupano una posto importante nel panorama della scultura e della ceramica del Rinascimento.
Operano tra i secoli XV e XVI con una delle botteghe più attive e fiorenti di Firenze, avviata da Luca, il capostipite e uomo di spicco del gruppo, inventore della raffinata tecnica della ceramica invetriata.
Luca Della Robbia nasce intorno al 1400, si forma presso Lorenzo Ghiberti e sviluppa uno stile classicheggiante e sintetico, squisitamente rinascimentale. Risentirà anche dell'influenza di Donatello, ma, lontano da una concezione drammatica, porta avanti una sua personale visione di eleganza e sereno equilibrio. Ha avuto una vita lunga ed è stato un artista molto produttivo, muore a Firenze nel 1482. A lui si debbono capolavori di scultura come la Cantoria del Duomo di Firenze, e le Formelle per il Campanile di Giotto, Il Monumento a Benozzo Federighi, in SantaTrinita a Firenze e i rilievi incompiuti con la Liberazione di San Pietro e il Martirio di San Pietro, ora nel Museo Nazionale di Firenze. Tra le opere in terracotta invetriata, la celebre Madonna del roseto, conservata al Bargello, il Tabernacolo della chiesa fiorentina di Santa Maria Nuova, la lunetta con l'Ascensione, ora al Duomo di Firenze, sono solo alcune tra i capolavori più noti.

Il nipote di Luca, Andrea della Robbia, nato nel 1435 a Firenze, entra in società con lui e continua l'attività della bottega, avviando una vastissima produzione. Pur vicino allo stile di Luca, suo principale maestro, risente anche dell'influenza di Andrea del Verrocchio. Il suo stile è caratterizzato dagli effetti pittorici e dal gioco degli accostamenti cromatici. Tra le opere più conosciute sono i Tondi con i Putti sul portico del brunelleschiano Ospedale degli Innocenti a Firenze, i Rilievi del Santuario della Verna, presso Arezzo, e la lunetta con l'Incontro dei santi Francesco e Domenico nel loggiato dell'Ospedale di San Paolo a Firenze. Muore a Firenze nel 1525.

I cinque figli di Andrea continuano l'attività di famiglia, e tra loro i più noti sono: Giovanni (Firenze 1469-1529) che lascia diverse opere nelle chiese fiorentine di Santa CroceSan Lorenzo e Santa Maria Novella; e Gerolamo di circa vent'anni più giovane (nato a Firenze 1488 ca.), che trasferitosi in Francia nel 1527, contribuì alla diffusione del gusto rinascimentale toscano fuori dai confini italiani e lavorò alla decorazione di Fontaineblaue. Gerolamo non tornò più in Italia, morì a Parigi nel 1566.
Gli altri figli di Andrea sono Marco (1468-1534), Luca il Giovane (1475-1550) e Pierfrancesco (1477-1528).

Le opere dei Della Robbia, note anche conme "robbiane" sono molto diffuse soprattutto nel territorio attorno ad Arezzo, nel Casentino, in Valdarno, nella Valtiberina e Valdichiana, spingendosi anche nella zona appenninica ai confini con la Romagna.

A. Cocchi


G. Cricco, F. Di Teodoro, Itinerario nell’arte, vol. 2, Zanichelli Bologna 2004
G. Dorfles, S. Buganza, J. Stoppa Storia dell'arte. Vol II Dal Quattrocento al Settecento. Istituto Italiano Edizioni Atlas, Bergamo 2008
E. Forssman. Dorico, ionico, corinzio nell'architettura del Rinascimento. Editori Laterza, Bari 1988
L. H. Heydenreich Il Primo Rinascimento. Arte italiana 1400-1460. Rizzoli Editore, Milano 1979
La Nuova Enciclopedia dell’arte Garzanti, Giunti, Firenze 1986
P. Adorno, A. Mastrangelo Arte. Correnti e artisti vol.II
F. Negri Arnoldi Storia dell'arte vol III
E. Bernini, R. Rota Eikon guida alla storia dell'arte. Vol. 2 Dal Quattrocento al Seicento. Editori Laterza, Bari 2006

 

 

 

I Gentileschi

 

I Gentileschi e Caravaggio

 

 


Orazio Gentileschi. Testa di donna. 1630-36 ca. Olio su tavola. cm. 42X37.
Martha McGeary Snider, Bryn Mawr, Pennsylvania

 

Orazio Artemisia Gentileschi, benchè siano padre e figlia, rivelano nelle loro opere individualità ben distinte, e insieme rappresentano due presenze essenziali per lo svilupparsi della pittura del naturalismo caravaggesco. Con i loro continui viaggi per lavoro, hanno potuto conoscere direttamente i luoghi in cui si è diffuso il linguaggio barocco, ma allo stesso tempo hanno anche lasciato importanti insegnamenti. Grazie ai loro spostamenti, richiamati da committenti anche stranieri, la loro influenza si avverte soprattutto a Roma, ma anche a Genova, a Napoli, a Parigi e a Londra.
Sia l'uno che l'altra, però sono stati spesso trascurati dalla storia dell'arte, e proprio la scarsa conoscenza della loro poduzione pittorica ha dato luogo ad alcuni stereotipi nei loro confronti.

 


Artemisia Gentileschi. Autoritratto come suonatrice di liuto. 1615-17 ca.
Olio su tela. cm. 77,5X71,8. Curtis Galleries, Minneapolis

 

Anche se i quadri di soggetto "violento" corrispondono solo ad una piccola parte della sua produzione artistica, si tende a ricordare l'opera di Artemisia come intrisa di un'espressività fortemente drammatica. Si considerano solo i quadri popolati da energiche figure femminili, e mettendoli in stretto rapporto con le vicende personali, vengono interpretati come una sorta di "vendette simboliche".  Ad esempio le diverse versioni della Giuditta, tendono a essere assunte come rappresentative dell'intera carriera di Artemisia. Un'altra grossolana semplificazione è quella che vede la stessa pittrice come una sorta di "femme fatale" d'altri tempi, sostenendo il pregiudizio che se una donna eccelle in una professione solitamente maschile, dev'essere una che sa usare bene l'arma della seduzione.
Infine, l'ultimo stereotipo è quello generato dall'interpretazione femmminista. Negli ultimi anni, studi più approfonditi e attenti restauri di numerose opere hanno permesso di costruire un'immagine più completa e interessante di questa artista, rimuovendo le vecchie e sbrigative definizioni.

 

 


Orazio Gentileschi o Artemisia Gentileschi. Cleopatra. 1610-12 ca.
Olio su tela. Coll. Amedeo Morandotti, Milano

 

 

Anche la figura artistica di Orazio è stata per molto tempo considerato solo da una cerchia ristretta di studiosi e genericamente collocato nell'ambito del "caravaggismo". Lo studio della sua produzione artistica è stata per lungo tempo trascurata, perchè considerata "minore". Ma alla luce di nuove ricerche e con il ritrovamento di opere di grande importanza, anche la figura di Orazio si è ridefinita. Anche su di lui è nata una forma di pregiudizio, poichè si pensava che dopo la sua partenza da Roma nel 1621 il suo stile svolgesse verso la decadenza.
Invece si è poi potuto verificare che l'influsso caravaggesco ha rappresentato solo un momento di preparazione per poi sviluppare uno stile personalissimo e altamente poetico in cui convergono ascendenze  diverse, comprese quelle più classicheggianti, della pittura bolognese. Orazio continuerà a sviluppare la sua ricerca poetica a Parigi e a Londra, rispondendo con grande sensibilità a quei nuovi ambienti culturali.

 


Orazio Gentileschi. Battesimo di Cristo. 1607-09 ca. Olio su tela. cm. 186X135.
National Gallery of Ireland, Dublino

 

Artemisia e Orazio rivelano due spiccate personalità individuali nella scena artistica del '600. Ma esiste anche, ovviamente, una componente di forte unità tra i due. 
Un momento di stretta collaborazione è quello che va dal 1609 al 1612-13, quandro padre e figlia lavorano insieme a Roma. La vicinanza tra i due e le forti influenze reciproche hanno comportato frequenti passaggi di attribuzione dei dipinti di questo periodo da Orazio ad Artemisia e viceversa.  Uno degli esempi più noti e la Cleopatra di Milano, ora ritenuta opera di Orazio, ma da molti considerata di Artemisia per la rappresentazione non idealizzata. Tutt'ora gli studiosi non concordano su parecchie opere, anche perchè non esiste una documentazione che possa offrire una certa sicurezza.
Una certa familiarità tra le due personalità artistiche si mantiene anche negli anni in cui le vite dei due seguono corsi separati. Dal confronto dei rispettivi lavori sembra che tra padre e figlia un certo dialogo artistico si sia sempre mantenuto.

 

I Gentileschi e Caravaggio

 

 


Orazio Gentileschi. Visione di Santa cecilia. 1606-07 ca.
Olio su tela (firmato sull'organo) Pinacoteca Brera, Milano

 

Artemisia e Orazio Gentileschientrano in rapporto con Caravaggio in modo differenti.

Orazio conosce Caravaggio nel 1600, al termine della sua formazione impostata sulla tradizione manierista. I due pittori diventano amici, lavorano insieme, forse condividono lo studio, poichè si scambiano persino gli attrezzi da lavoro. Nei dieci anni successivi si coglie il risultato di questo sodalizio, perchè Orazio adotta già una tecnica nuova (caravaggesca), basata sull'osservazione diretta e molto attenta del modello dal vero. Ma anche in questo momento, mantiene sempre una personale delicatezza di modellato e una particolare sensibilità di resa tattile, che saprà sviluppare successivamente.  Negli anni '20 del Seicento supera anche questa fase e raffina il suo stile, assorbendo componenti della pittura classicistica bolognese. Questo processo di raffinamento secondo uno stile più manierista si evolve e progredisce fino alle sue ultime opere.

 


Artemisia Gentileschi. Maddalena penitente.
Olio su tela. cm. 122X97. Cattedrale di Siviglia



Artemisia conosce Caravaggio indirettamente, nella sua giovinezza ha potuto vedere solo alcune delle sue opere: quelle accessibili dal pubblico. Ad esempio quelle presenti in Santa Maria del Popolo, La Conversione di San Paolo e il San Matteo della Cappella Contarelli. Ma è molto difficile che lei abbia potuto vedere le opere che Caravaggio ha eseguito per committenti privati. Lo stile di Caravaggio l'ha assimilato soprattutto attraverso il lavoro del padre Orazio. Altre occasionisi presentano con la conoscenza di altri artisti caravaggeschi incontrati a Roma e a Napoli nei suoi diversi soggiorni in quelle città. In particolare a Napoli conosce Giovanni CaraccioloGiuseppe Ribera, e altri come Francesco Guarino, Paolo Finoglia, Massimo Stanzione.
Ma anche per lei, come per Orazio la componente caravaggesca si intreccia con altri elementi espressivi nel corso della sua carriera, ad esempio durante la maturità sviluppa uno stile più retorico e concentrato sulla narrazione dell'azione rappresentata.

 

A. Cocchi



Bibliografia e sitografia

 

A. Lapierre Artemisia Mondadori 1999
AA.VV. Caravaggisti Dossier Art n. 109, Giunti,  Firenze 1996
J. W. Mann, Artemisia e Orazio Gentileschi in: Orazio e Artemisia Gentileschi, Skira editore, Milano, 2001
B. R. Benjamin, P. De Montebello, C. Strinati. Premessa in: Orazio e Artemisia Gentileschi, Skira editore, Milano, 2001
La Nuova Enciclopedia dell'arte, Garzanti, 1986
www.cronologia.it

 

 

I fratelli Campi

 

Giulio Campi
Antonio Campi
Vincenzo Campi

 


Giulio Campi, Partita a scacchi. Torino Museo civico d'Arte Antica e Palazzo Madama dell'Umbria

 

 

Nella Cremona del '500 opera la scuola pittorica dei tre fratelli Campi, GiulioAntonio e Vincenzo.
Durante il '500 Cremona è un vivace centro culturale e artistico, crocevia di influenze in cui si intreccia l'interessante sperimentazione pittorica lombarda con elementi della cultura emiliana e veneta.
I due fratelli maggiori, Antonio e Giulio, pittori e architetti, insieme al fratello minore Vincenzo, pittore, hanno avuto un importante ruolo in una ricerca artistica che segna il passaggio dal manierismo romano ed emiliano a una visione naturalistica moderna, basata sullo studio degli effetti della luce, sullo spazio prospettico e su una verità di visione che precede di poco i risultati espressivi poi sviluppati da Caravaggio.

 




Vincenzo Campi. La cucina. 1580 ca., Milano, Pinacoteca di Brera

 

Gli studi sula luce e sull'illusionismo prospettico si fondono inoltre con le suggestioni della pittura fiamminga, riscuotendo un notevole apprezzamento da parte della committenza lombarda.
L'arte dei Campi, in particolare quella di Vincenzo, apre la strada alla 'pittura del vero', soprattutto con l'introduzione dei soggetti di genere e della natura morta.

 

Giulio Campi

 


Giulio Campi. Ritratto di Alessandro Farnese, Piacenza, Museo Civico

 

Giulio Campi, pittore e architetto, nasce a Cremona verso il 1502. E' il capostipite di una dinastia di artisti che operano nella zona di Cremona e a Milano nel corso del XVI secolo.
Realizza pale d'altare e affreschi e nel suo stile fin dalla fase iniziale è presente una grande apertura verso le ricerche artistiche contemporanee, non solo lombarde, e una particolare vena decorativa.
Tra i lavori di maggiore impegno va considerata la ricostruzione e decorazione pittorica della chiesa di Santa Margherita a Cremona, intorno al 1547, gli affreschi di San Vittore a Meda, e la Pentecoste nella chiesa di San Sigismondo a Cremona, realizzati nel 1557.
Nelle sue opere la lezione dei maestri romani e di quelli emiliani del Manierismo si fonde con un luminismo tipicamente lombardo e con sapienti effetti di illusionismo prospettico.
Le sue soluzioni vennero interpretate e ulteriormente sviluppate dal fratello e collaboratore Antonio.
Giulio muore nella sua stessa città nel 1572.

 

Antonio Campi

 


Antonio Campi. Cena in casa del fariseo. Affresco. Chiesa di S. Sigismondo, Cremona

 

Antonio Campi, nato a Cremona nel 1524, collaborò spesso con il fratello Giulio ed è l'autore di numerose pale d'altare e cicli di affreschi.
Nel suo percorso artistico passa da un'iniziale visione più arcaizzante ad opere centrate sullo studio della luce e di accezione naturalistica che offriranno importanti spunti per lo sviluppo di una moderna ricerca  di 'pittura del vero'.
Ha lasciato numerose pale d'altare nelle chiese di San MarcoSan Paolo e Sant'Angelo Milano, e diversi cicli di affreschi con interessanti brani di naturalismo che influenzeranno la pittura di Caravaggio.
Antonio muore nel 1587 a Cremona.

 

Vincenzo Campi

 


Vincenzo Campi, Cristo nella casa di Maria e Marta, 1580 ca., Modena, Galleria Estense

 

Nato a Cremona nel 1536 e formato alla scuola pittorica cremonese dei suoi fratelli maggiori Giulio e AntonioVincenzo Campi si avvicina alle ricerche naturalistiche che si stavano conducendo in quegli anni a Brescia. Attratto anche dai maestri fiamminghi, si dedica anche a grandi composizioni di pittura di genere, molte delle quali sono oggi conservate al Museo di Brera a Milano.

 

 


Vincenzo Campi. La pescivendola, 1580 ca., Milano, Pinacoteca di Brera


Nel 1588 è impegnato alla decorazione della volta di San Paolo a Milano dove si ricollega alle ricerche sull'illusionismo prospettico già condotte dai fratelli, proponendo scene con figure inquadrate da elementi architettonici fortemente scorciati.
Vincenzo Campi muore a Cremona nel 1591.

 

 

A. Cocchi


 

Bibliografia

F. Sricchia Santoro. Classicismo e manierismo nel Nord. in: I maestri del colore n.261 Fratelli Fabbri Editori, Milano 1963
La Nuova Enciclopedia dell'arte, Garzanti, 1986

 

 
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