Home  /  Artisti  /  Giorgione

Giorgione da Castelfranco. La tempesta

Indice dei contenuti

La tempesta

 

II dipinto noto col titolo La tempesta, realizzato entro il 1505 da Giorgione, è conservato a Venezia, alla Galleria dell'Accademia. E' stato dipinto direttamente con il colore, senza disegno preparatorio, ed è uno dei quadri più celebri del nostro Rinascimento.  Una prova del procedimento pittorico adottato dal Giorgione si è rivelata soprattutto ad un'esame ai raggi x, che ha evidenziato alcuni "ripensamenti" in corso d'opera, e in particolare, la sostituzione di una precedente figura femminile nuda in basso a destra, con quella definitiva del giovane in abiti rinascimentali.
La prima notizia che abbiamo del dipinto risale al 1530: esso è attestato da Marcantonio Michiel nella casa del nobile Gabriele Vendramin (che possedeva di Giorgione anche il Ritratto di vecchia e forse Le tre età dell'uomo) ed è definito «paesetto in tela cum la tempesta, cum la cingana ("zingara") et soldato>>.

Il soggetto, quasi incomprensibile, ha stimolato le più diverse interpretazioni.
Protagonista è il paesaggio aperto su una natura magica e misteriosa in cui si manifestano poeticamente la sua forza e i suoi fenomeni.
Nella scena le figure umane si inseriscono come elementi secondari e accidentali.
Tutta l'immagine si concentra nell'attimo dello scoppio del fulmine, che trascolora e trasforma ogni elemento visibile. Ogni cosa assume un colore e un aspetto strano, irreale: l'acqua si oscura al passaggio dei nuvoloni densi di pioggia, gli edifici della città sullo sfondo s'illuminano nel bagliore improvviso e i muri emenano particolari riflessi.
Le chiome degli alberi più lontani brillano come se la pioggia fosse già arrivata, bagnando le foglie.
In primo piano, alberi, foglie, persino i sassi, perdono la loro consistenza, avvolti dalle ombre che s'insinuano per via del cielo improvvisamente oscurato. In quell'attimo tutto si trasforma in un'immagine di grande suggestione.
 

 

Il genere dei 'paesetti con figure'
 

La tempesta appartiene al genere dei cosiddetti "paesetti con figure", opere di destinazione privata molto apprezzate dalla colta committenza veneziana.
Si tratta di dipinti di piccolo formato, nei quali i temi, profani o sacri, sono solo un pretesto per ampie raffigurazioni paesaggistiche, interpretate in modo lirico e malinconico, grazie alle pennellate vibranti della pittura tonale. In queste tele si fondono gli interessi eruditi, filosofici, letterari e archeologici dei collezionisti, che determinavano la scelta dei soggetti. Ma dietro alla rappresentazione si nascondevano spesso significati allegorici o allusioni a vicende private o specifiche legate agli stessi committenti.

 

 

I personaggi e gli elementi

 

A destra, ai margini di un boschetto, presso una fonte, siede una donna seminuda che allatta un bambino e guarda verso lo spettatore.  Questa figura, per le sue caratteristiche, (nuda, con i vestiti sparsi e seduta a terra) è stata indicata come una “zingara”  da Michiel.

 

 

Giorgione La tempesta. Part. 1500-1505, olio su tela, 82X73 cm. Venezia, Galleria dell'Accademia
Giorgione La tempesta. Part. 1500-1505, olio su tela, 82X73 cm. Venezia, Galleria dell'Accademia

 


 A sinistra un giovane in abiti del Cinquecento la osserva, appoggiato a un bastone. Poiché il bastone viene probabilmente scambiato per una alabarda, il personaggio è indicato dal Michiel come “soldato”. Tuttavia si può notare che è in abiti civili, e non in armatura.

Alle loro spalle, al di là di rovine con colonne e finte logge, si apre la veduta di una città su un fiume attraversato da un semplice ponte di legno, con case medievali, torri, chiese, edifici classici e cupole. In particolare, si vede un edificio che sembra una moschea e alte mura di stile orientaleggiante che lo storico Calvesi ha identificato come “Egitto”.
Il cielo, plumbeo e gonfio di nubi, è squarciato da un fulmine.

 

 

I colori

 

Figure e paesaggio si fondono in virtù della tecnica della pittura tonale, che armonizza i colori, in questo caso basati tutti su cromie verdi e dorate, e sfuma i contorni per creare effetti di compenetrazione atmosferica.
Giorgione è riuscito a cogliere quel particolare istante di luce che precede i temporali di sera, quando l'aria è satura di umidità ma vi sono ancora gli ultimi raggi del crepuscolo. Da notare l’effetto “bagnato” sulle foglie, quello delle “ombre in movimento” dovuto al passaggio dei nuvoloni e lo spettacolare effetto della trasfigurazione dei colori sotto la luce del lampo.
 I tocchi di giallo e di verde chiaro muovono le fronde e le rendono vibranti e vive, creando l’impressione del vento, mentre il rosso dell'abito dell'uomo bilancia con la sua vivacità l'omogeneità cromatica del resto della composizione.

 

 

La rete dei significati nascosti


 

La Tempesta è uno dei quadri più misteriosi dell’arte, tanto che gli storici, nel corso del tempo, hanno sviluppato almeno 30 interpretazioni differenti, ma ancora oggi è oggetto di analisi.
E' piuttosto evidente che non si tratta semplicemente di un paesaggio puro e semplice.
Troppi elementi del quadro appaiono come dei "segnali", ma soprattutto è il contesto in cui si inserisce l'opera a rivelarci la presenza di significati intenzionalmente nascosti.
Questo dipinto, come la grande maggioranza delle opere di Giorgione, è stato realizzato per una destinazione privata.
I committenti degli artisti di allora, in particolare nel Veneto del Cinquecento, appartenevano ad una classe sociale di cultura molto elevata e gusti raffinati oltre, ovviamente, ad avere una grande disponibilità economica. Le opere d'arte possedute ed esposte nei rispettivi palazzi dovevano farsi testimoni del loro prestigio familiare, dell'elevazione del loro grado di cultura e funzionavano come status symbol. Pertanto, questi signori erano molto esigenti con gli artisti e le loro richieste erano sempre più particolari.
Per questi motivi la committenza veneta del Cinquecento cercava nell'opera una rete di significati nascosti e così ricca e complicata, da essere conosciuta solo da pochissime persone (committente, artista, eventuale persona che riceve in dono l’opera), tanto da presentarsi quasi come come un raffinatissimo gioco di decifrazione.
Infatti oggi, perduto il contesto culturale e i documenti che ci fanno risalire a quella realtà, si possono solo costruire delle ipotesi, basandosi sui pochi indizi riscontrabili. Neppure le radiografie e le moterne tecnologie di analisi ci sono state di grande aiuto. Tuttavia, anche per confronto con altre opere dello stesso genere prodotte da altri artisti nell'ambito veneziano, appare molto probabile che Giorgione si sia avvalso della tradizionale costruzione per allegorie, in riferimento a fonti letterarie e poetiche sia classiche che a lui contemporanee.

 

Le diverse interpretazioni sull'opera

 

Nella raccolta Vendramin questo celebre dipinto di Giorgione era indicato come "Mercurio e Iside". Ma sull'iconografia della Tempesta del Giorgione sono state offerte interpretazioni numerose, molto discordanti, e seppure anche suggestive e ingegnose, non corredate da documenti sicuri.

Ferriguto sostiene che si tratti di un'allegoria della natura.

Richter invece sostiene che il dipinto sia riferito all'infanzia di Paride.

In base all'ipotesi, condivisa da diversi studiosi, di un'origine illegittima di Giorgione (comunque non attestata da documenti), il Morassi e altri sostengono che nel dipinto l'artista abbia voluto riferirsi alla sua vicenda personale.

L'interpretazione di Stefanini propende per una derivazione da Polifilo di Francesco Colonna.

Qualcun altro riconosce nella donna la ninfa Io che allatta il figlio Epafo, sorvegliata da Mercurio.

Altro rinvio mitologico è offerto dalla proposte che si tratti della nascita di Bacco.

A questo si contrappone l'idea di una rappresentazione biblica dei progenitori Deucalione e Pirra dopo il diluvio.

Su una linea simile si muove Salvatore Settis, che propende per una scena tratta della Genesi: Adamo ed Eva con il piccolo Caino dopo la cacciata dal Paradiso terrestre. A questa va collegata la rappresentazione del rilievo eseguito da Giovanni Antonio Amadeo per la facciata della cappella Colleoni a Bergamo. Ma con alcune differenze: nella versione di Amadeo Adamo è nudo nudo e al posto del fulmine è scolpita l'immagine di Dio. La tempesta di Giorgione, secondo Settis, potrebbe alludere  alla condizione umana dopo la cacciata dal Paradiso terrestre, le colonne alla fugacità  della vita umana e le rovine alla morte del paganesimo con l'avvento dell'era cristiana.
Ma la rappresentazione del fulmine potrebbe essere anche un raffinato modo da parte di Giorgione di paragonarsi al grande pittore greco Apelle, che le fonti antiche tramandano come abilissimo nel dipingere il bagliore dei lampi.

Si suggerisce anche il tema del Ritrovamento di Mosè, e la città  sullo sfondo, in cui si riconoscono forme orientaleggianti, viene identificata come una città  d'Egitto.

Sostenendo che il committente dell'opera fosse Bartolomeo Campagnola, e non il Vendramin, Guidoni in una sua ricerca riconosce nella città  sullo sfondo Padova e sostiene che si tratti di un'allegoria della fondazione di Padova da parte di Antenore. Lo studioso riconosce nelle costruzioni e nella torre il Castello di Ezzelino e gli stemmi di Venezia e dei Carraresi sulle porte della città .
Antenore, identificato nel soldato in primo piano, dopo la sua fuga dall'incendio che devastò l'antica Troia, giunse in Italia e fondò la città  di Padova.

Altra possibile lettura è quella dell'allegoria di due virtù: la fortezza, (l'uomo) e della carità  (la donna), soggette alla fortuna (il fulmine).

Secondo Calvesi, la fusione di temi cristiani e pagani ha probabili riferimenti all’alchimia e alla filosofia neoplatonica,  ma anche al sapere esoterico appartenenti alle cultura dell’aristocrazia veneta.
L’armonia dei colori può essere un riferimento al concetto del mondo come armonia retta dall’amore divino, tema centrale del neoplatonismo.  In quest’ottica può essere colta  la rappresentazione del matrimonio del Cielo (uomo-Mercurio) e della Terra (donna che allatta-Gea).
La città  sullo sfondo indicherebbe l’Egitto, le rovine l’antica sapienza mercuriale, le colonne e il fulmine, rispettivamente la salita e ridiscesa di umori liquidi, aerei e del fuoco. Più in generale il mescolarsi dei colori sulla tela alluderebbe alla fusione degli elementi naturali, simile al ribollire dei metalli e delle sostanze negli alambicchi degli alchimisti, cultori dell’antica sapienza mercuriale.

 

 

 

A. Cocchi

 

 

Bibliografia e sitografia.

 

A. Gentili. Giorgione. Dossier Art n.148. Giunti. Firenze, 1999
V. Lilli. L'opera completa di Giorgione. Classici dell'arte Rizzoli.  Milano, 1966
Vasari, Vite, 1568
G. Cricco, F. P. Di Teodoro Itinerario mnell'arte. Vol. 3 Dal Rinascimento al Manierismo. Zanichelli Editore, Ozzano Emilia  2006
Vivere l'arte. A cura di C. Fumarco e L. Beltrame. Vol. 2 Dal Rinascimento al Rococò. Bruno Mondadori Editore, Verona 2008
La Nuova Enciclopedia dell’arte Garzanti, Giunti, Firenze 1986
R. Bossaglia Storia dell'arte. Vol 2 Dal Rinascimento al Barocco al Rococò. Principato Editrice, Milano 2003.
P. Adorno, A. Mastrangelo. Arte. Correnti e artisti vol. II
F. Negri Arnoldi Storia dell'arte vol III. Fratelli Fabbri Editori
E. Bernini, R. Rota Eikon guida alla storia dell'arte. Vol. 2 Dal Quattrocento al Seicento. Editori Laterza, Bari 2006
G. Dorfles, S. Buganza, J. Stoppa Storia dell'arte. Vol. 2 Dal Quattrocento al Settecento. Istituto Italiano Edizioni Atlas, Begamo 2006

www.museogiorgione.it

 

 
Approfondimenti
Loading…