Arte della Fotografia

Indice dei contenuti

Breve storia della fotografia

 Futurismo e fotografia

 

 

 

Breve storia della fotografioa

 

Dare un inizio preciso alla fotografia è complesso, e forse impossibile.
La fotografia, o meglio la necessità di catturare le immagini nel modo più scientifico possibile, ha conosciuto un secolare periodo di sperimentazione. La camera oscura, antenata della macchina fotografica, con molta probabilità era nota già nell'antica Grecia, le leggi dell'ottica, sono state oggetto di studio per una cerchia di intellettuali che lavoravano tra Roma, Orvieto e Viterbo negli anni intorno al 1280, vengono indagate nel Rinascimento da artisti come Piero della Francesca e Leonardo da Vinci. In Magiae Naturalis Libri IV, del 1558 Giovanni Battista della Porta, offre una dettagliata descrizione della camera oscura, con tutte le indicazioni per la sua realizzazione e funzionamento. Questa scatola munita di lente in fondo alla quale si formava, rovesciata, l'immagine ripresa divenne uno strumento utilissimo per gli artisti. Già nel XVII secolo l'apparecchio venne perfezionato, ridotto di dimensioni, e con un gioco di specchi si ottenne l'immagine dritta, proiettata su una lastra di vetro.
Verso la fine del XVIII secolo Thomas Wedgwood, che aveva una certa pratica nell’arte delle ceramiche, cercò di fissare le immagini prodotte dalla camera oscura conservata nel laboratorio paterno.  Egli conosceva le proprietà chimiche di reazione alla luce dei sali d'argento e cercò di sfruttarle per "stampare" l'immagine su un supporto. Questa esperienza venne raccontata dall'amico e collaboratore di Wedgwood, Humpry Davy, in un articolo apparso nel 1802 sul Journal of the Royal Intitution. L’esperimento non andò in porto poiché ne nacquero delle semplici fotoincisioni; ma proprio da queste qualche anno più tardi sarebbe partito Nicèphore Niépce, scienziato di formazione e litografo.
Egli fece la sua ricerca su binari paralleli: da una parte, attraverso la posa del cloruro d’argento su carta ottenne immagini dirette e integrali della natura in una camera oscura, dall’altra tentò di riprodurre incisioni già esistenti. Niépce fu il primo che riuscì a ottenere immagini permanenti su un supporto.
Negli stessi anni, accanto agli sviluppi della chimica, proseguono anche le ricerche nel campo dell'ottica.
Nel 1810, il chimico e fisico inglese William Hyde Wollaston inventò la camera lucida (o chiara), più maneggevole e funzionale della camera oscura. Si trattava di un prisma che poteva permettere di guardare simultaneamente il soggetto e il proprio disegno, facilitando il lavoro di riproduzione.
Nei primi decenni del XIX secolo il progresso scientifico permise lo sviluppo di nuovi studi sulla sensibilità alla luce di alcuni materiali che, se opportunamente trattati registravano qualunque variazione di luminosità.
 Si scoprì inoltre che sostituendo al vetro una lastra spalmata di qualche sostanza sensibile alla luce, si verificava che la luce stessa si imprimesse sulla lastra sensibile lasciando l’impronta permanente dell’immagine proiettata dall’obbiettivo.
L’invenzione ufficiale della fotografia si deve però a Louis-Jacques Mandè Daguerre inventore della dagherrotipia, che consiste nell’impressionare con la luce di una camera ottica una lastra di rame argentata, precedentemente trattata con dei vapori di iodio. Poiché l’argento così trattato tende per sua natura a ossidarsi, in presenza di luce, sulla lastra rimaneva impressa la scena ripresa dal negativo.
Lo sviluppo della dagherrotipia fu favorito dalla costruzione di apparecchi speciali dotati di un obbiettivo a menisco acromatico ideato nel 1829 da Charles Chevalier
Nel frattempo James Clerk Maxwell aveva teorizzato i principi della sintesi additiva dei colori e nel 1855 aveva ottenuto i primi risultati incoraggianti, che rese pubblici nel 1861. 
Nel suo procedimento l'oggetto colorato veniva ripreso su tre diverse lastre attraverso tre filtri di colore blu, verde e rosso; venivano poi ricavate tre diapositive che, proiettate a registro su uno schermo mediante tre proiettori muniti degli stessi filtri usati per la ripresa, riproducevano a colori il soggetto.
Un procedimento simile, che utilizzava i colori blu, giallo e rosso, venne ideato nel 1862, da Louis Ducos du Hauron al quale si devono anticipazioni per tutti i procedimenti utilizzati fino a oggi.
Nel 1868 egli osservò che un foglio di carta, ricoperto di sottili linee adiacenti di colore blu, verde e giallo, appariva bianco se osservato per trasparenza e grigio se osservato per riflessione e brevettò un procedimento di fotografia a colori basato su questo fenomeno.
Nel 1890 i fotografi Hurter e Drieffield iniziarono lo studio sistematico della sensibilità alla luce delle emulsioni, dando origine alla sensitometria.
Un grande miglioramento delle prestazioni degli obbiettivi si ebbe nel 1893, quando Taylor introdusse un obiettivo anastigmatico con sole tre lenti non collate; tale obiettivo fu perfezionato da P. Rudolph nel 1902 con l'introduzione di un elemento posteriore collato.
Altri progressi si ebbero nel 1928 con l'introduzione del sistema reflex e degli strati antiriflesso sulle superfici esterne delle lenti e con il processo Polaroid in bianco e nero introdotto nel 1948 da E. H. Land e successivamente esteso al colore.
Negli anni Sessanta con gli esposimetri incorporati nelle macchine fotografiche ebbe inizio l'epoca degli automatismi: l'evoluzione tecnologica in tale campo fu tale che alla fine degli anni Ottanta, con la miniaturizzazione dei circuiti elettronici, la messa a fuoco e l'esposizione diventano completamente automatiche, inoltre micromotori provvedono al caricamento della pellicola, all’avanzamento dopo ogni scatto, e al riavvolgimento nel caricatore al termine dell'uso.
Negli anni Ottanta entrarono in produzione macchine per la fotografia digitale che al posto della pellicola avevano un CCD (Charge Coupled Device) o circuito integrato, lo stesso elemento sensibile delle videocamere.
Questo componente era in grado di analizzare l'intensità luminosa e il colore dei vari punti che costituiscono l'immagine e di trasformarli in segnali elettrici che venivano poi registrati su un supporto magnetico (nastro o disco) che poteva contenere alcune decine di immagini. 
L'immagine registrata poteva essere immediatamente rivista su un monitor, stampata da un'apposita stampante, o spedita, via cavo o via etere, a qualsiasi distanza.
Macchine di questo tipo venivano usate soprattutto dai foto reporter, perché permettevano l'immediata trasmissione delle foto ai giornali, che non hanno bisogno di immagini ad alta definizione.
Il fattore negativo della fotografia elettronica era infatti la scarsa definizione delle immagini, in confronto a quella della fotografia tradizionale. 
Notevole diffusione ha avuto l'elaborazione elettronica delle immagini fotografiche, che, digitalizzate da uno scanner ad alta definizione, possono essere corrette ed elaborate a piacere. L'immagine elaborata viene poi stampata su pellicola, con la stessa definizione dell'originale.
Negli ultimi anni lo sviluppo della fotografia digitale ha avuto miglioramenti incredibili sia nella fase di ripresa delle immagini che in quella di riproduzione. Da un lato i sofisticati sistemi di esposizione, messa a fuoco, inquadratura e disponibilità immediata delle immagini in fase di ripresa e dall'altro la loro elaborazione sul computer hanno ridimensionato il lavoro di camera oscura per lo sviluppo del negativo e/o della diapositiva e per la loro stampa. Essa richiedeva lunghe ore al buio, pazienza e risorse economiche, al punto che grandi fotografi utilizzavano spesso laboratori professionali per le loro immagini.
Oggi il processo è alla portata di tutti grazie alle immagini digitali che possono essere ritoccate, modificate e trasferite con il computer di casa propria.

I. Canali

 


 

Bibliografia

 

G. Cricco, F. Di Teodoro, Itinerario nell’arte, volume 4. Zanichelli, 2008
Angela Madesani, Storia della fotografia. Bruno Mondadori, 2005

 

 

 

 Futurismo e fotografia

 


Fortunato Depero, Autoritratto con pugno, Roma 1915,
stampa alla gelatina al bromuro d'argento,
Museo d'Arte Moderna e Contemporanea di Trento e Rovereto (MART)
Archivio del '900, Fondo Fortunato Depero, Rovereto

 

Posted by: geometriefluide on: gennaio 14, 2010

Al Palazzo della Provincia di Pordenone dal 5 dicembre 2009 al 7 febbraio 2010 è aperta la mostra: Il futurismo nella fotografia. Oltre un centinaio di immagini, provenienti in gran parte dagli archivi Alinari, e altre importanti collezioni italiane, con documenti originali mostrano come lo studio della fotografia è stato alla base delle ricerche espressive del Futurismo. Si passa dalle prime sperimentazioni di fine ottocento alle immagini dinamiche dei fratelli Bragaglia agli sviluppi successivi delle esperienze futuriste. Numerose le tecniche documentate: fotografia multipla, ritrattistica, fotodinamismo, l'immagine di stato d'animo, il fotomontaggio, il fotocollage, la manipolazione iconografica, la composizione e il camuffamento d'oggetti, la ricerca iconica, la foto-performance, ma anche le fotografie come memorie storiche, o strumenti ideologici e sociali. Sulla stessa corrente artistica si fa riferimento anche allo studio su Umberto Boccioni, pubblicato su Geometrie fluide, con l'analisi di alcune delle più note opere dell'artista. Per informazioni sulla mostra: Palazzo della Provincia Corso Garibaldi 8, Pordenone Tel. 0434 231227 Dal martedi' al venerdi': 15-19 Sabato e domenica: 10-19 Lunedi', 25 dicembre 2009 e 1 gennaio 2010: chiuso Info e prenotazioni: 0434.231418 cultura@provincia.pordenone.it Ingresso libero

 

 

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