Testimonianze di arte romana a Cesena

L'insediamento sul colle Garampo

La centuriazione cesenate

Le manifatture di Età Romana pre-imperiale

L'arte a Cesena in Età imperiale.

I piatti d'argento.

Bibliografia

 

L'insediamento sul colle Garampo



Tra il IV e il III secolo a. C. si determinarono numerosi scontri tra Umbri, Galli e Romani, fino al primo insediamento di questi ultimi sul colle Garampo, vero primo nucleo abitativo da cui sorse la città di Cesena. Ma le più antiche e importanti testimonianze della presenza dei Romani nell'area cesante sono a grande scala, visibili soprattutto nelle modifiche apportate al territorio.
Il colle Garampo è il luogo da cui, dalla metà del III secolo a. C., si è originata la città romana di Cesena. E' diventato recentemente uno dei siti archeologici più interessanti di Cesena poichè attraverso alcuni scavi sono riemerse diverse testimonianze appartenenti all'età romana e post-romana.
Al periodo preromano appartiene un solo reperto, comunque molto importante: un pane di bronzo utilizzato come moneta primitiva, prova di un sistema economico organizzato, impostato sul baratto che la popolazione locale aveva già istituito.
La conquista del colle Garampo da parte dei Romani avvenne tra il 268, quando venne fondata la colonia di Rimini e la vittoria sui Sarsinati nel 266 con la conquista di Sarsina.
La scelta del Garampo come avamposto romano è dovuto probabilmente alla sua posizione strategica, poichè rappresentava un punto d'incrocio tra il passaggio del fiume Savio e le piste pedemontane che collegavano la Romagna con il Casentino e l'Alta valle del Tevere, garantendo un punto di controllo sui traffici mercantili e sugli spostamenti militari.


La centuriazione cesenate



Sotto al dominio romano tutto il territorio romagnolo tra il III e la fine del II secolo a. C. divenne oggetto di importanti interventi di bonifica che si estesero anche nella zona del Savio dove venne realizzato uno degli esempi più famosi di centurazione.
In tutta l'area pianeggiante estesa verso il mare un tempo c'erano le paludi. I romani provvidero a bonificare il territorio e crearono quindi i grandi appezzamenti terrieri della campagna cesenate ancora oggi visibili. Quell'ordinato e razionale paesaggio agreste per numerosi secoli ha garantito il principale supporto economico di Cesena e il tracciato stradale a maglie ortogonali tutt'ora funzionante è ancor in gra parte quello realizzato dai Romani oltre duemila e duecento anni fa. Secondo lo storico G. C. Susini, intorno alla seconda metà del III secolo venne fondata dai Romani la via Dismano che collegava Cesena con il porto di Ravenna e in direzione opposta portava verso Arezzo e il Tevere.
Con la distribuzione dei primi coloni romani si formarono anche i borghi abitati della pianura cesenate come Ronta, Martorano, San Giorgio, Pisignano e il Compito, famose per la viticoltura (come testimoniano le fonti antiche), dediti all'agricoltura, all'allevamento, alla produzione di latticini e altre attività connesse.
Diversi oggetti conservati al Museo Storico dell'Antichità testimoniano la vita agreste e domestica di allora.  Alcuni sono gli strumenti appartenenti ai lavori agricoli e riferiti all'allevamento, come le macine per il grano e i campanacci per i bovini. Una statuetta di Priapo itifallico e portatore di frutti indica una religiosità legata ai riti agresti e incline a propiziarsi raccolti fecondi e una buona protezione per il nucleo famigliare.


Le manifatture di Età Romana pre-imperiale



Accanto alla produzione agricola l'economia di età romana nel territorio cesenate si sviluppò ben presto anche in una serie di industrie manifatturiere. Gli oggetti ritrovati dall'archeologia, soprattutto quelli appartenenti alla prima fase della dominazione romana, mostrano tecniche legate alle tradizioni celtica ed etrusca, preesistenti nella zona. Ma numerosi sono anche gli oggetti di importazione.

Le fusarole e i rocchetti per la filatura, esposti in una vetrina del Museo Storico dell'Antichità dimostrano che un posto importante era occupato dall'industria tessile. La filatura e tessitura della lana era un'industria  molto  fiorente, legata alla pastorizia, intensamente praticata sui pendii della Valle del Savio fin dal Neolitico.

L'attività che venne promossa in maniera intensiva dai Romani nel territorio cesenate è soprattutto la produzione di materiale edilizio; numerose infatti sono le fornaci per i mattoni ritrovati dagli scavi archeologici condotti in queste località. Cesena nei primi secoli della storia romana era un importante centro produttivo di laterizi da costruzione, molti reperti di questo tipo portano il marchio delle diverse fornaci. Uno di questi, con una breve iscrizione e i nomi L. Numisius e C. Comicus indicati come "figulus bonos" è particolarmente importante poichè sembra essere l'esempio più antico di mattone romano e uno dei più antichi documenti di scrittura latina rinvenuti in questo territorio.
Nella politica di espansione della civiltà romana la realizzazione dei mattoni, delle tegole e dei materiali da costruzione rappresentava una necessità soprattutto per colonizzare le zone di pianura, prive di pietre. La tecnica di realizzazione venne appresa probabilmente dagli Etruschi e la Romagna forniva con abbondanza l'argilla, materia prima per la realizzazione dei laterizi.

Accanto alla produzione dei mattoni, l'officina lapidaria di Cesena rappresenta un'altra rilevante realtà produttiva dell'antica Roma, risalente almeno all'età repubblicana e proseguita fino alla tarda Età imperiale. Uno scalpello in bronzo conservto al Museo Storico dell'Antichità testimonia questa tradizione.
Veniva lavorata soprattutto la pietra calcarea proveniente dal vicino Appennino Tosco-Romagnolo, ma per edifici pubblici e architetture di rilevo si scolpivano anche marmi pregiati importati dall'estero. Un oggetto degno di nota è il Cippo di Vergestro, uno dei più antichi esempi di scultura in pietra romana, ora visibile nella chiesa di Santa Maria di Monte Reale, trasformato in fonte battesimale.
La collezione di stele ed epigrafi del Museo cesenate comprende diversi pezzi di grande interesse, la Stele dei Caesii, proveniente da Secchiano sul Marecchia, la Stele di Truppico da Spina e le piccole Urne romane ritrovate a Santa Maria di Levola, nel Montefeltro.

Venne continuata anche la tradizionale lavorazione della ceramica. Al II e I secolo a. C. appartengono alcuni frammenti di ceramica a vernice nera consevati al Mseo Storico dell'Antichità. In alcuni di essi si leggono i nomi di antichi proprietari incisi a graffito, come quello di Salvius Caesius su un frammento ritrovato nell'area del Vescovado. In questi oggetti si riconosce una tecnica appartenente alla tradizione celto-etrusca presente nella zona durante l'Età del Ferro.
Presso il Vescovado è ritornato alla luce un gruppo di frammenti appartenenti recipienti in ceramica a vernice nera, alcuni di questi sembrano essere di importazione, altri, realizzati con tecnica celto-etrusca, sono prodotti locali.

Negli anni della guerra civile romana e sotto Silla l'abitato romano sul colle Garampo era probabilmente difeso da una cinta muraria ed era già stato realizzato il Ponte Vecchio che collegava le due sponde  sul fiume Savio. Il fortilizio del Garampo era collegato con il Ponte Vecchio dall'antica via Emilia, principale asse stradale su cui si sviluppò la città di Cesena; poichè essa disegnava una serie di curve sembra che da questa particolare conformazione derivi il nome "Curva Caesena", citata da Plinio il Vecchio.
Al periodo di Silla risalgono le monete ritrovate a Case Missiroli, erano riposte in un nascondiglio al riparo dalle razzie militari e dai disordini di quel drammatico momento storico.



L'arte a Cesena in Età imperiale



Dal I secolo a. C. iniziò l'espansione di Cesena conobbe una sua prima espansione e l'abitato cominciò a svilupparsi in corrispondenza dell'attuale centro storico. La sua estensione era comresa a nord all'incirca dalla via dei Molini, dove si trovava una necropoli da cui sono riemersi alcuni sarcofagi tardo-romani e a sud dall'altra necropoli posta presso la Fornace Domeniconi, da cui sono stati ritrovati alcuni corredi funerari dell'età dei Flavi.
Al periodo imperiale risalgono le dimore signorili di via Tiberti a cui appartenevano i mosaici pavimentali del III secolo d.C. e al tardo Impero vanno assegnati i bellissimi piatti d'argento ritrovati sul colle Garampo.


I corredi militari



Alla tarda Età imperiale risalgono alcuni reperti che derivano dal corredo militare di antichi soldati di passaggio o classiari, cioè marinai provenienti dal porto di Classe. A questo gruppo appartiene la placca di bronzo con il rilievo di un trofeo di guerra tra due prigionieri ritrovata presso Pisignano nel 1887. Non è chiaro se possa riferirsi alla decorazione di una corazza, di un carro o ai finimenti di un cavallo, ma è interessante soprattutto per la tecnica di realizzazione. Si tratta di una lastrina di bronzo di forma rettangolare lavorata a sbalzo. Sulla parte anteriore è stata rivestita da una sottile lamina d'argento, di cui restano alcune traccce e rifinita minuziosamente nei particolari con un lavoro a bulino. Una patina di piombo è stata utilizzata per far aderire l'argento al bronzo, secondo una tecnica assai rara nell'arte dei metalli antica.  

Nel 1956 presso la fornace Domeniconi a Cesena è stato ritrovato un Cingulum: un cinturone militare di bronzo formato da placchette collegate a cerniera, ornate con incisioni a cerchetti concentrici. Il frammento di una lucerna mostra una decorazione in cui si riconoscono i dettagli di un'armatura di gladiatore.

 

Oggetti dell'artigianato



All'artigianato artistico romano di età imperiale risalgono anche altri frammenti e oggetti conservati al Museo Storico dell'Antichità cesenate. Tra questi alcuni bronzetti, come una placchetta conuna Musa citareda e una figurina di danzatrice.
All'artigianato artistico locale appartengono oggetti d'uso comune, come chiavi, chiavistelli, lucerne, una fibbia di abito, e molti oggetti ceramici. Di questi ultimi, diversi vasetti, coppe e ciotole del I sec. d.C. presentano un sigillo di fabbrica sul fondo.
Un gruppo di reperti non sono stati realizzati nella zona ma sono di importazione e testimoniano l'abitudine al commercio degli antichi cesenati. Molti oggetti in vetro come i balsamari e le ampolline esposte nel Museo sono di manifattura ravennate o provengono da Aquileia.
Sono stati ritrovati anche alcuni oggetti come le lucerne del II-III sec.d.C., con monogranmma cristologico inciso che dimostrano come in quella data stava avvenendo la prima diffusione del Cristianesimo in Romagna.
Sono state ritrovate numerose anfore destinate soprattutto alla conservazione e al trasporto del vino durante le operazioni commerciali. Molte di esse portano ancora il marchio con simboli e lettere impresse sull'argilla.
Alcune anfore romane, graffite sulla superficie prima della loro cottura, portano il nome dell'antico proprietario, C. Silius insieme alla cifra della loro capacità.


Le opere in pietra



Al I secolo d. C. risalgono alcune opere  scolpite in pietra. Tra queste il Cippo di Apollo Augusto, ritrovato a Sant'Egidio di Cesena,  rappresenta un esempio di arte religiosa romana. Il manufatto in pietra è dedicato ad Apollo Augusto da Iulius Rufinus, forse un colono residente nelle campagne cesenati. Allo stesso periodo appartiene la Testa femminile in pietra proveniente da Ronta di Cesena. Si tratta di un reperto molto rovinato di cui si coglie soltanto la capigliatura ondulata e raccolta della figura. Al posto del naso presenta una cavità in cui il naso doveva essere inserito mediante un tassello.
Un torso maschile in marmo greco, ritrovato a Martorano, faceva parte di una statuetta riferita ad un personaggio del corteo di Dioniso, come si deduce dalla nèbride a tracolla.
Un altro frammento di statua è quello ritrovato nel 1965 presso l'Istituto Almerici. Si tratta di una figura femminile con lunga veste a drappeggi realizzata in pietra basaltica nera.

Un importante gruppo di opere in pietra è riferto alla destinazione funeraria.
La Targa tombale di C. Disidenus Secundus risale al I sec. d. C. è stata trovata a Roversano, ma sembra appartenere ad un Sarsinate: Disideno era un miliziano che raggiunse la più alta carica della magistratura di Sarsina. Per questo si pensa che la lapide sia stata portata a Roversano più tardi per essere riutilizzata in qualche costruzione.
La piccola stele funeraria di C. Salvius Secundus era stata riusata per coprire una cisterna nel Convento dei Cappuccini e poi venne trasferita nella Villa Albizzi del Belvedere. L'opera mostra sui bordi i segni del suo riutilizzo.
Accanto al frammento di un cippo funerario, nel Museo cesenate è conservto un sarcofago con coperchio proveniente da una Necropoli tardoantica, cristiana del IV-V sec. d. C., scoperta a Cesena in via dei Molini. Per le caratteristiche che possiede, l'oggetto è molto vicino allo stile dei sarcofagi ravennati  e a quelli provenzali dello stesso periodo.
Un'altra necropoli cesenate si trovava presso la Fornace Domeniconi. Da alcune monete e corredi funerari che sono stati recuperati dagli archeologi si desume che l'antico logo di sepoltura risaliva all'Età dei Flavi.



Gli elementi architettonici



Delle antiche costruzioni romane del periodo imperiale e tardo-imperiale rimangono alcuni elementi architettonici come capitelli, basi, parti di colonne, architravi e parti di pavimentazioni.
Lungo la via Tiberti, nel centro storico di Cesena, nel 1928 sono stati ritrovati i resti di due bellissimi mosaici pavimentali del III secolo d. C. o inizio del IV. L'attuale via Tiberti corrispondeva ad una delle strade che incrociavano il decumano della città, qui si trovava la domus romana a cui appartenevano i pavimenti ora conservati nell'atrio del Museo Storico dell'Antichità. I mosaici appartengono allo stesso stile e sono composti con tessere di pietra di vari colori in cui predominano il rosso, il grigio e l'ocra. La decorazione segue una scansione regolare a riquadri in cui si inseriscono in una ricca composizione gradevoli motivi geometrici.
Nel primo pavimento, che rappresenta un frammento più grande, si nota anche il margine delimitato da un bordo con una treccia in cui le tessere sono disposte in modo da creare sfumature ed effetti di rilievo. Nelle maglie dell'intereccio si inseriscono cerchietti colorati. Il tema dell'intreccio predomina anche nei riquadri della parte centrale e si sviluppa alternandosi a rosette, stelle composte da otto losanghe e cerchietti. Il motivo del cerchio e della stella a otto punte si ricompone anche a formare i due grandi medaglioni dei riquadri laterali. Si notano anche motivi floreali, figure fusiformi che sembrano occhi e ruote.
Nel secondo pavimento viene seguito un gusto arcaizzante che riprende lo stile in voga nel I secolo d. C., come una sorta di revival, con i motivi a peltae, quelli che ricordano l'opus spicatum e forme geometriche semplici, ma ricorrono alcuni degli stessi elementi dell'altro pavimento, come l'intreccio, la losanga l'intereccio, la forma "a occhio". La composizione complessa con sovrapposizione di motivi diversi è invece tipica del III-inizio IV secolo d. C.
Pavimenti simili a questi sono stati ritrovati a Rimini ed è in questa città che si ipotizza l'esistenza in età romana di una bottega con maestranze di mosaicisti molto qualificati per poter creare opere così raffinate e complesse.
I mosaici di Cesena rivelano comunque il livello di ricchezza raggiunto nella città nel tardo periodo imperiale, inoltre la domus che si trovava sotto alle pendici del colle Garampo indica anche che la città si era ingrandita, espandendosi rispetto al nucleo originario arroccato sul colle Garampo.

Da uno scavo effettuato di fronte alla Biblioteca Malatestiana è riemerso un frammento di architrave forse appartenuto alla parte frontale del prostilo di un'antica costruzione romana. Si legge ancora un'iscrizone dedicata all'imperatore Adriano e restano visibili le decorazioni a bassorilievo con motivi vegetali.
Da uno scavo del 1873 effettuato presso la chiesa di San Giovanni in Compito, vicino a Savignano sul Rubicone è stato ritrovata parte di una pavimentazione con mattonelle esagonali e le placche di terracotta del rivestimento interno di un pozzo che oggi si trova ricostruito nel Museo.
Altri esempi di pavimentazioni ritrovate nel cesenate sono quelli i opus spicatus, composizioni a spina di pesce di solito usate nelle abitazioni rurali. Dalle campagne cesenati è riemerso anche un frammento di mosaico pavimentale, probabilmente proveniente da una vlla romana.
Altri laterizi da costruzione provengono da Cesenatico, alcuni di essi con bozze realizzate a rilievo servivano per far circolare l'aria calda durante la cottura.

 


Le monete



Tra i reperti romani ritrovati nel territorio cesenate ci sono anche due collezioni di monete.
La prima è il cosiddetto Tesoretto di Case Missiroli, ritrovato in uno scavo del 1963, il secondo consiste nell'insieme di monete provenienti da diversi ritrovamenti sparsi avvenuti nel territorio. Due pezzi di quest'ultimo gruppo sono monete greche. Anche se per questa serie di monete è impossibile risalire alla provenienza, si tratta comunque di prove importanti sulla circolazione del denaro in età romana nel cesenate.
Le quaranta monete d'argento di Case Missiroli risalgono al Periodo Repubblicano e sono databili tra la fine del II secolo a. C. e l'anno 80 a. C. Probabilmente si tratta di un tesoro sotterrato per timore di predazioni e razzie  negli anni delle guerre tra Mariani e Sillani. Risalgono a questo periodo altri ripostigli simili ritrovati in diverse località della regione, come per esempio a Càrpena, Imola, Cervia, Montecodruzzo, Forlì e Roncofreddo. A Sogliano è stato ritrovato un altro tesoretto risalente al 43 ca. a.C., forse nascosto durante il conflitto contro Modena. A Pieve Quinta un altro gruppo di monete ritrovate risale invece agli anni 38-37 a. C., corrispondente agli scontri durante il triumvirato.


I piatti d'argento



Nel 1948, da uno scavo effettuato sul fianco delcolle Garampo, sono stati ritrovati i due bellissimi Piatti d'argento del Museo Storico dell'antichità. Si tratta di reperti archeologici di grande importanza e di uno dei casi di "tesaurizzazione" avvenuti nella zona, similmente al Tesoretto di case Missiroli. Quando si presentava un pericolo di invasione e rapina venivano raccolti gli oggetti preziosi e seppelliti prima di fuggire per essere recuperati dai proprietari quando il pericolo fosse passato. Quando le vicende storiche hanno impedito agli antichi possessori di ritornare e accedere al nascondiglio, quegli oggetti sono rimasti nascosti fino al ritrovamento degli archeologi.
La maggior parte di questi tesori sono stati ritrovati soprattutto nelle aree di confine dell'impero romano, dove si presentavano più spesso invasioni e razzie. In Italia sono più rari, ma in Emilia Romagna ne esistono diversi esempi, come il Tesoro di Reggio Emilia, composto soprattutto da gioielli, e i numerosi depositi di monete ritrovati in Romagna.

I due piatti cesenati erano riposti con cura, capovolti uno sull'altro con la decorazione all'interno, in modo da conservarli bene. Sono oggetti di lusso particolarmente pregiati, realizzati con una tecnica raffinatissima, databili a due momenti compresi tra il III e il IV secolo d. C.


Il Missorium



Il primo piatto, identificato come Missorium, è notevole anche per le dimensioni: ha un diametro di 56 centimetri ed un peso di sei chili. La forma circolare è lievemente concava e con un bordo piatto. La decorazione è concentrata sul tondo centrale e sul bordo, con scene che illustrano la vita lussuosa e gli svaghi dei grandi proprietari terrieri del Tardo Impero.
La tecnica complessa e di eccezionale qualità, fa pensare ad un laboratorio orafo specializzato guidato da un artista di alto livello. Per ottenere differenze cromatiche tra le diverse parti della decorazione, la superficie d'argento, in corrispondenza ad alcune figure, è rivestita da una sottile foglia d'oro applicata a caldo con il metodo dell'ageminatura. I particolari sono stati poi incisi a cesello e a bulino. Per gli sfondi è stato usato invece il niello, uno smalto scuro che aumenta l'effetto di contrasto con le figure lucenti d'oro e argento.
Sia nel bordo che nel tendo centrale le composizioni sono molto ricche, riempite anche negli spazi vuoti con motivi vegetali, floreali e piccoli animali creando l'effetto di un fitto ricamo.

Sul bordo, la cui decorazione è conservata in modo frammentario, si susseguono scene pastorali e di caccia, ricche di personaggi, animali e piante, separate da medaglioni con teste che forse indicano le stagioni o i mesi. Figurano anche due sontuosi edifici, diversi tra loro, ma che hanno in comune la forma rettangolare, il tetto a spioventi, il timpano, numerose finestre e la porta d'ingresso aperta.

Nel tondo centrale la scena figurata è introdotta da una grande cornice a baccelli e da un bordo con racemi e fiori. La complessa decorazione è divisa in due registri, separati dal diametro orizzontale del cerchio. In alto è rappresentato un banchetto, in basso una scena di lavoro agreste. Entrambe le scene sono molto vivaci, vengono evidenziati i gesti, le azioni e le situazioni. Una grande attenzione e minuzia descrittiva sono riservate non solo ai personaggi ma anche ai costumi, all'ambiente e agli oggetti, ma acnche gli elementi secondari, come il bordo a racemi, i fiori e le foglie che riemiono gli spazzi sono eseguiti con particolare precisione e finezza.
Nel registro superiore cinque personaggi seduti e uno in piedi partecipano ad un sontuoso banchetto all'aperto, la scena si svolge al riparo di un tendaggio aperto e fissato a due alberi, mentre un servo versa l'acqua in un bacile per lavare le mani. I commensali siedono su un elegante stimbadion, un grande cuscino semicircolare rivestito con una stoffa pregiata e ricamata di cui viene indicato il motivo a righe e i ricami. Anche il tavolino circolare al centro è preparato per la festa: è coperto con una tovaglia drappeggiata elegantemente e colmo di vivande a cui si servono tutti i commensali.  Molto precisa è anche la descrizone dei costumi in cui si distingue molto bene anche la diversa classe sociale dei banchettanti rispetto al servo a sinistra. Quest'ultimo indossa una semlice tunica, fermata in vita da un cordoncino, ha le gambe nude e semplici sandali ai piedi. Gli altri sei personaggi hanno tuniche in cui sono evidenziati i ricami, le cinture e le ricche bordature che impreziosiscono gli abiti, indossano gambali composti da sottili striscie intrecciate e scarpine a punta. Ognuno di essi ha un atteggiamento diverso: il primo a sinistra si lascia lavare una mano nel bacile dal servo, gli altri due in seconda file conversano tra loro mentre il commensale in primo piano a sinistra tiene una mano alzata, forse per servirsi alla mensa, mentre l'altro dalla parte opposta sembra osservarlo con attenzione. Il sesto personaggio, anch'egli elegantissimo è in piedi sulla destra, porta con sè un'anfora vinaria e fa un cenno come di saluto o per accompagnare un discorso, come se stesse per andarsene.
Nel registro inferiore, a sinistra un uomo conduce un cavallo e sistema le bardature come se dovesse prepararlo pe un viaggio. A destra si vede un edificio simile a quelli presenti sul bordo, rettangolare con tetto a spioventi, con la porta d'ingresso semiaperta, la parte inferiore della muratura chiusa e numerose finestre poste tutte in alto. Sul tetto a metà della spina centrale si vete un torricino.
In basso la scena si conclude con quattro oche che si muovono presso una vasca rettangolare.
Poichè non c'è una vera separazione tra le due scene, sembra che esse si svolgano contemporaneamente, come se fossero collegate tra loro. Forse potrebbe trattarsi del tema del banchetto funebre, con il commiato del defunto e la preparazione al viaggio nell'aldilà.

Per quanto riguarda l'iconografia, molte sono le somiglianze con mosaici pavimentali romani presenti in Sicilia e in Africa. Ad esempio i costumi, le pose, la disposizione dei personaggi e la tipologia degli edifici. Ma il riferimento più diretto è quello ad un analogo piatto d'argento ritrovato lungo le rive del Reno ad Augusta Raurica, presso l'odierna Basilea, impoertante centro della Germania superior, che anticamente faceva parte dell'impero romano. Il piatto cesenate corrisponde all'esemplare tedesco per forma, sviluppo della decorazione, tecnica e stile, tanto da sembrare appartenenti ad una stesso corpus di opere e che provengano comunque dallo stesso laboratorio. Si è notato infatti che alcuni  dettagli, come ad esempio i cavalieri delle rispettive scene di caccia siano derivati dagli stessi modelli. I laboratori orafi di allora si servivano infatti di forme già ritagliate per poterne riprendere i contorni inserendoli in composizioni così complesse. Gli stessi modelli erano utilizzati anche per le lamine in oro da applicare con la tecnica dell'agemina. Infatti in diversi punti sul piatto di Cesena si notano come alcune linee incise con il bulino servono a correggere il bordo esterno della doratura. Sia nel piatto di Cesena che in quello tedesco è presenta anche il riempimento a niello delle parti del fondo, per far risaltare meglio l'immagine.
Con questa particolare tecnica si conoscono a tutt'oggi pochi oggetti. Si tratta di un vassoio rettangolare e un candelabro, appartenenti sempre al tesoro di Augusta Raurica, mentre un piatto e alcuni frammenti di vasi sono stati ritrovati in Inghilterra, il primo a Mildenhall e gli altri presso Traprain-Law.
Sotto al piatto di Cesena sono impressi due bolli che rappresentano una sorta di firma o marchio di fabbrica, ma sono indecifrabli, pertanto è molto difficile identificare il luogo di produzione. Sapiamo però che a quel tempo potevano esistere solo poche officine molto specializzate e collegate tra loro in grado di realizzare oggetti di questo tipo. Alcuni studiosi propendono per ritenere il Missorium, insieme agli esempi di Augusta Raurica, opere create in qualche bottega di Costantinopoli, mentre altri sottolineano che l'iconografia appartiene ad una cultura visiva occidentale. La datazione di questo insieme di pezzi viene indicata con la prima metà del IV secolo d. C.

 


l piatto con l'Amorino



Meno sofisticato del Missorium e più sobrio nella decorazione, il secondo piatto è quello meglio conservato, leggermente più piccolo e all'incirca dello stesso peso.
Si tratta di un disco piano, rifinito con un semplice orlo a modanatura, dotato di un piede cilindrico come sostegno, che ricorda una delle odierne "alzatine" da tavola.
Il disco presenta una serie di cerchi concentrici incisi che formano una sorta di medaglione con al centro la figura di Amorino. Il personaggio è rappresentato come un putto danzante che sostiene in entrambe le mani degli strani oggetti: sembrano cerchietti, palline o ruote, collegati da assicelle. Confrontando questi oggetti con altri simili ritrovati su un sarcofago romano appartenuto ad un bambino, si è pensato che si tratti di giocattoli.

A. Cocchi

 

Bibliografia

 

 
Approfondimenti
Loading…