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Ritratto di Gertrude Stein

 Tra gli amici sostenitori del cubismo, la più presente fu senz'altro la scrittrice americana Gertrude Stein. Appartenenti ad una ricca famiglia americana, i fratelli Leo, Gertrude e Michael Stein si stabiliscono a Parigi tra il 1902 e il 1903, iniziando quasi subito a collezionare opere di Cézanne e Matisse.
Nel 1906 Leo acquista il suo primo Picasso e vuole incontrare l'artista, che presto diviene un affezionato frequentatore di casa sua. La frequentazione di Gertrude Stein, la più intellettualmente dotata della famiglia diventa centrale per la maturazione di Picasso. Da lei conosce Matisse, che stimerà  molto, e osserva importanti opere di Cézanne. Ma lo scambio non è a senso unico, i romanzi della scrittrice sono considerati tra le più esplicite traduzioni delle novità  introdotte da Picasso nella rappresentazione pluridimensionale dell'oggetto.
Il ritratto di Gertrude Stein, compuito nel 1906, e ora al Metropolitan di  New York, è una delle più alte testimonianze dell'interesse coltivato in quegli anni per la scultura iberica arcaica, attraverso cui l'artista riesce a trasfigurare una posa modellata sui tradizionali ritratti di Ingres in una figura ieratica già  orientata verso la brutalità  delle Demoiselles.
Gertrude Stein racconta che Picasso inizia a dipingere il ritratto usando solo il grigio e un bruno uniforme, e parla di un tempo di esecuzione lunghissimo con 80 o 90 sedute. Dopo l'interruzione di un viaggio, quando Picasso torna cancella il viso, lo rifà  e finisce rapidamente il ritratto.
Il risultato è di forte concretezza e peso fisico, ma anche una decisa tendenza alla sintesi volumetrica, una ricerca di essenziale, come vediamo in questi lineamenti riassuntivi, che tendono a volumi geometrici. Picasso semplifica il corpo, condensandolo plasticamente. Soprattutto la testa, rifatta tante volte, è definita con volumi netti e piani larghi. Picasso non si preoccupa della somiglianza, tanto che Gertrude non si riconosceva e non amava questo dipinto,  ma l'artista si concentra invece sulla resa essenziale, quasi primitiva della figura. E' evidente il forte condizionamento dell'arte africana.
Da notare la plasticità  eccessiva di questo corpo massiccio e della testa che è quasi fastidioso; e questi 'occhi egizi' così caratteristici, che diventeranno una costante nella produzione successiva di Picasso.
In questo quadro è evidente l'esigenza dell'artista di trovare un linguaggio capace di andare oltre il naturalismo; il colore, ad esempio, è quasi abbandonato, sostituito da toni scuri e accordi di marroni e ocra.

A. Cocchi


Bibliografia

Gertrude Stein, Picasso. Adelphi 1973
E. Bernini R. Rota, Eikon. Guida alla storia dell'arte. vol. 3 Laterza, Roma-Bari 1999
E. Bernini R. Rota A regola d'arte. vol 5 Il Novecento. Laterza, Roma-Bari 2001
G. Dorfles, A. Vettese Il Novecento. Protagonisti e movimenti. Atlas, Milano 2006
F. Galluzzi Pablo Picasso Giunti, Firenze 2002
G.G. Lemaire, Picasso Dossier Art n.19 Giunti, Firenze 1987
Classici Rizzoli, 22,
G. Cricco, F. P. Di Teodoro, Itinerario nell'arte vol 3 Zanichelli ed. seconda edizione,

 

 
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