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Affreschi della Cappella Scrovegni

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Affreschi della Cappella Scrovegni

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Giotto giunge a Padova nel 1302, chiamato dai frati minori, per i quali esegue altri affreschi, oggi perduti, nella chiesa di Sant'Antonio, subito dopo riceve la commissione da Enrico Scrovegni, un nobile e ricco signore di Padova, di dipingere l'interno della sua Cappella di famiglia, detta Cappella dell'Arena, vicino alla Chiesa degli Eremitani. Qui Giotto lavora dal 1303 al 1305 e raggiunge la piena maturità artistica e assoluta padronanza dei mezzi espressivi. Inoltre, questi affreschi sono l'opera più sicura e meglio documentata di Giotto.

Al tempo di Giotto, Enrico Scrovegni è l'uomo più ricco di Padova. Aveva ereditato un grande patrimonio dal padre Reginaldo, arricchito in maniera sospetta: secondo un cronista padovano, era stato incarcerato per usura, ed il figlio Enrico, per espiare le colpe del padre, aveva fatto erigere la cappella, dedicandola alla Vergine Annunciata. Anche Dante fa riferimento alla storia di Reginaldo Scrovegni e lo inserisce tra i dannati dell'Inferno.
Dagli antichi documenti risulta che Enrico Scrovegni nel 1300 acquista il terreno dell'Arena per costruire il suo palazzo, oggi scomparso, e la cappella annessa. La costruzione viene autorizzata dal vescovo Ottobono dei Razzi, patriarca di Aquileia, morto nel 1302, mentre la consacrazione avviene nel 1305.
Nel Giudizio Universale, dipinto da Giotto sulla controfacciata della Cappella dell'Arena, Enrico Scrovegni si fa ritrarre da Giotto, tra gli eletti e gli "uomini illustri", nell'atto di offrire alla Madonna, fiancheggiata da due santi, il modellino della Cappella. Si tratta di una rappresentazione simbolica, vuole indicare il riconoscimento da parte della divinità dell'espiazione delle colpe del padre di Enrico. Da notare che i personaggi storici hanno le stesse dimensioni di quelli sacri, contravvenendo alla tradizionale regola medievale in cui le figure divine sono sempre rappresentate con dimensioni maggiori rispetto ai "mortali".

La costruzione che ospita gli affreschi è una piccola aula, coperta a botte, semplicissima, con pareti lisce, interamente dipinta. Essendo destinata all'uso privato della famiglia Scrovegni, la cappella aveva un'entrata diretta dal Palazzo Scrovegni. Al pubblico veniva consentito di entrare solo una volta all'anno. Per seguire il percorso visivo di Enrico Scrovegni, si può entrare dalla porta laterale.

Nella disposizione complessiva degli affreschi, l'intero ciclo viene concepito e organizzato da Giotto come un complesso perfettamente unitario. E' una composizione organica in cui tutto è subordinato al racconto. La narrazione pittorica si sviluppa in senso orario e su tre zone sovrapposte. Il ciclo inizia in alto a destra con le sei Storie di Gioacchino, il padre di Maria, che sono anche le prime scene ad essere dipinte. Poi seguono le Storie di Sant'Anna e della Madonna, che continuano sull'altra parete, in alto, fino all'Annunciazione, ai lati dell'arco trionfale.
Nella zona mediana della parete destra sono rappresenati gli episodi delle Storie della vita di Cristo, che vanno dalla Natività alla Strage degli innocenti. La narrazione prosegue sulla parete opposta, a partire dall'ingresso, con gli altri episodi evangelici, fino ad occupare anche le due fasce inferiori, dove si vedono gli episodi della Passione. Sulla parete d'ingresso si trova il Giudizio Universale, eseguito per ultimo, nel 1306.

In una visione d'insieme, colpiscono lo splendore e la ricchezza cromatica degli affreschi, ma si nota anche un principio di coerenza e rigore nella scelta dei colori da parte di Giotto. Esiste sempre un principio di unità, come si può notare nel cielo blu della volta che sembra continuare con la stessa tonalità in tutte le scene dipinte.
Altro importante elemento di unificazione è dovuto alla visione prospettica. Quella di Giotto non è una prospettiva vera e propria, ma è uno spazio intuito poeticamente. Ogni scena è disegnata a mano

libera, ma abbastanza correttamente, secondo regole tratte da

un'attenta osservazione della realtà e secondo un punto di vista

unico per tutte le scene, posto al centro della cappella. Andando sul

posto è possibile verificare questo aspetto.

Rispetto agli affreschi eseguiti ad Assisi c'è un'evoluzione:

• il disegno è meno aspro, diventa più duttile e sciolto, permette le articolazioni e movimenti più liberi dei personaggi
• il colore si arricchisce e si accende, cerca accordi più armonici
• il chiaroscuro è sostituito da passaggi di colore più graduati, più lenti e sensibili in cui vengono variati l'intensità e il grado di saturazione.
•La luce e l'ombra sono più modulate, ammorbidiscono le superfici, addolciscono le forme e danno maggiore pienezza e vita ai corpi.
• Viene sviluppata  la caratterizzazione (ritrattistica) e l'introspezione psicologica; i personaggi assumono una carica umana sempre più forte
• Lo spazio ha una resa prospettica sempre più efficace, riesce a rendere una forte illusione di profondità. Risente dei suoi viaggia Roma e della sua conoscenza della pittura romana antica. La visione prospettica è più precisa e funzionale all'inquadratura.
• L'organizzazione generale del ciclo è più coerente. Giotto usa lo stesso blu del cielo che collega tutte le scene e considera un punto di vista dal centro della cappella su cui impostare la prospettiva di ogni scena.

A. Cocchi

 

 

 


 

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Cappella Scrovegni. Gran Tour Project

 


 

Bibliografia

 

E.Bacceschi L'opera completa di Giotto. Classici dell'arte Rizzoli. Milano 1966
Antonio Pucci. Il Centiloquio, Firenze 1373
A. Magistà. Così ne parlano i contemporanei, in: Il romanzo della pittura. Giotto e i maestri del Trecento. Suppl. a La Repubblica del 26/10/1988
S. Malatesta. L'uomo che parlava la lingua dei mercanti, in: Il romanzo della pittura. Giotto. Suppl. a La Repubblica del 26/10/1988
A. Tomei. Giotto. La pittura. Dossier Art Giunti, Firenze 1997
C. Semenzato, A. Angoletta Berti. Giotto e i giotteschi a Padova. Arnoldo Mondadori editore/ De Luca edizioni d'arte. Milano/Roma 1988
La Nuova Enciclopedia dell'Arte, Garzanti, 1986
G. Cricco, F. Di Teodoro, Itinerario nell’arte, vol. 1, Zanichelli Bologna 2004

 

 
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