I quadri di matrimonio

Michelangelo. Sacra famiglia. 1503-04. Tempera grassa su tavola. Firenze, Uffizi
Michelangelo. Sacra famiglia. 1503-04. Tempera grassa su tavola. Firenze, Uffizi

 

La tradizione del dono prezioso in occasione dei matrimoni viene continuata nel Rinascimento con dipinti richiesti dalle famiglie signorili ai più grandi maestri dell'epoca.

Un quadro per le nozze

 

Durante il Rinascimento è piuttosto diffusa l'abitudine di rivolgersi agli artisti per celebrare, attraverso un quadro, le nozze, soprattutto nelle famiglie più facoltose. Gli esempi più celebri sono Il Tondo Doni di Michelangelo, realizzato in occasione del matrimonio tra Agnolo Doni e Maddalena Strozzi, nel 1504, o lo Sposalizio della Vergine di Raffaello, realizzato per la famiglia Albizzini, il Ritratto dei Coniugi Arnolfini di Jean Van Eyck, e l'Amor sacro e Amor profano di Tiziano, per le nozze tra Nicolò Aurelio e Laura Bagarotto.
In genere si tratta di opere ricche di significati simbolici, a volte profondamente religiosi, altre volte di tono più laico, ma sempre fortemente "filosofici". All'intenzione chiaramente augurale si associa spesso anche quella di "insegnamento" o monito, con numerosi inviti a seguire la via della virtù.

L'iconografia e i significati dei quadri di matrimonio rinascimentali riflettono im modo più ampio la cultura e gli studi sul tema della famiglia, oggetto di studio di numerosi trattati scritti tra Quattrocento e Cinquecento, tra i quali i Libri sulla Famiglia di Leon Battista Alberti, il Cortegiano di Baldassarre Castiglionee il Galateo di Giovanni della Casa.

 

Lo Sposalizio della Vergine di Raffaello: i simboli.

 


Raffaello Sanzio. Lo sposalizio della Vergine. 1504. Olio su tavola. Milano, Brera

 

L'ambiente

Nello Sposalizio di Raffaello, la scena si svolge all'aperto, in un paesaggio ampio, luminoso, immerso in un'atmosfera primaverile, simbolico di un tempo perfetto, dominato dalla presenza divina.
L'unione matrimoniale viene inserita in un contesto universale di unità tra uomini e natura e tra terra e cielo.


Gli oggetti e le situazioni

Il tempio rappresenta il Tempio di Gerusalemme, ma in quanto edificio sacro, è simbolo della Chiesa. La porta aperta attraverso la quale lo sguardo può raggiungere l'orizzonte, all'infinito, è un riferimento alla fede che permette di raggiungere Dio.
Il motivo del ragazzo che spezza il bastoncino e il rametto fiorito in mano a San Giuseppe sono riferiti ad un racconto sacro. Maria, tra i pretendenti, avrebbe sposato quello dal cui bastone sarebbe spuntato un fiore.


A. Cocchi

 

 

Bibliografia

 

P. De vecchi, M. Prisco L'opera completa di Raffaello in Classici dell'arte Rizzoli, Milano 1966
C. Strinati Raffaello Dossier Art n. 97 Giunti, Firenze 1995
G. Cricco, F. P. Di Teodoro Itinerario nell'arte. Vol. 3 Dal Rinascimento al Manierismo. Zanichelli Editore, Ozzano Emilia  2006
Vivere l'arte. A cura di C. Fumarco e L. Beltrame. Vol. 2 Dal Rinascimento al Rococò. Bruno Mondadori Editore, Verona 2008
La Nuova Enciclopedia dell’arte Garzanti, Giunti, Firenze 1986
R. Bossaglia Storia dell'arte. Vol 2 Dal Rinascimento al Barocco al Rococò. Principato Editrice, Milano 2003.
P. Adorno, A. Mastrangelo Arte. Correnti e artisti vol.II
F. Negri Arnoldi Storia dell'arte vol III
E. Bernini, R. Rota Eikon guida alla storia dell'arte. Vol. 2 Dal Quattrocento al Seicento. Editori Laterza, Bari 2006
G. Dorfles, S. Buganza, J. Stoppa Storia dell'arte. Vol. 2 Dal Quattrocento al Settecento. Istituto Italiano Edizioni Atlas, Begamo 2006
 

 

 

Ritratto dei coniugi Arnolfini di Jan van Eyck

 


an Van Eyck. Ritratto dei coniugi Arnolfini. Olio su tavola, cm 82x59,5 Londra, National Gallery

 

Nel celebre Ritratto dei coniugi Arnolfini Jan Van Eyck inserisce i personaggi in un ambiente familiare, la camera degli sposi.
Molti elementi dell'ambientazione hanno un significato simbolico, a cominciare dalla camera che, con il letto nuziale e lo scranno sul fondo, si pone come luogo della sacra unione matrimoniale.
Completamente accerchiati da simboli del matrimonio cristiano nascosti negli oggetti quotidiani, i coniugi Arnolfini si scambiano la promessa di fedeltà nella loro futura camera nuziale, un ambiente domestico raffinato e sofisticato nella resa pittorica che dichiara l'agiata condizione sociale dei personaggi.
La scansione dei piani di profondità è segnalata dal mutare impercettibile delle tonalità, ed è governata dalla luce che entra dalla finestra, come la matematica governa lo spazio prospettico fiorentino.
Lo specchio convesso amplifica l'interno come un obiettivo fish-eye, attirando nello spazio illusivo della pittura la realtà che sta all'esterno del dipinto, espandendo le possibilità della visione: sappiamo così che di fronte ai fidanzati ci sono due personaggi, forse in veste di testimoni, uno dei quali dovrebbe essere Van Eyck, come si intuisce anche dall'iscrizione sulla parete. Garanzia della veridicità dell'evento e anche garanzia della veridicità delle fattezze fisionomiche dei promessi sposi, tramandate così com'erano nell'attimo dipinto, chè domani il tempo le avrà già mutate: lui con quelle narici così larghe, l'ovale del viso troppo lungo, gli occhi globosi e senza ciglia, lei paffutella e acerba.
Giovanni Arnolfini, a Bruges dal 1420, era un ricco mercante di stoffe lucchese e cavaliere di Filippo il Buono. L'alto rango è testimoniato dal pregiato mantello foderato di pelliccia e dal cappello a larghe falde indossato nelle occasioni solenni. Solleva la mano destra nel gesto del giuramento.
Giovanna Cenami indossa un abito alla moda di cui è suggerito un incredibile effetto tattile delle stoffe, guarnito di pelliccia e arricciature, molto amate dalle donne fiamminghe per ornare i veli. La mano sul ventre, messo in evidenza dall'arricciatura sotto il seno, non indica una gravidanza, ma è un gesto rituale, una promessa di fertilità. Lo sguardo è abbassato e umile per esprimere la sottomissione all'autorità del marito.
Nel XV secolo, era consuetudine che gli sposi, prima di presentarsi al sacerdote, si scambiassero la promessa di matrimonio congiungendo tra loro le mani. Questo atto, insieme al giuramento dello sposo, aveva valore giuridico e necessitava di due tesstimoni: Ecco perchè il dipinto fa riferimento al fidanzamento piuttosto che al matrimonio dei due giovani.
Nell'ambito dei simboli collegati al matrimonio, lo specchio è lo speculum sine macula, lo specchio senza macchia che fa riferimento alla verginità di Maria, e dunque, per analogia, alla verginità della sposa, che doveva rimanere casta anche durante il matrimonio. Le dieci scene della Passione che lo incorniciano sono un esempio di cristiana sopportazione delle tribolazioni quotidiane.
Il cagnolino in primo piano è simbolo dell'impegno nella fedetà coniugale.
Gli zoccoli posti in basso, nell'angolo a sinistra, indicano che i promessi sposi sono scalzi, perchè il territorio del matrimonio è sacro come quello su cui si trovò Mosè quando Dio gli comandò: "Togliti i sandali dai piedi, poichè il luogo sul quale tu stai è una terra santa" (Esodo III, 5).
Sul davanzale della finestra e sul mobile a sinistra sono disposte alcune arance. L'arancia ha nei paesi del Nord Europa lo stesso significato simbolico della mela, evocatrice del peccato originale. In questo contesto i frutti esortano a fuggire comportamenti peccaminosi e a vivere il matrimonio rispettando i comandamenti della fede.

L'alcova scarlatta ricorda alcuni versi del Cantico dei Cantici.
Il lampadario a sei bracci con una sola candela accesa è simbolo matrimoniale, motivo iconografico che deriva dalla candela nuziale che a volte compare nell'annunciazione.
La verga appesa nello spigolo del mobile a destra è simbolo di verginità (gioco di parole Virgo-virga), ma nella tradizione popolare è anche la "verga di vita", simbolo di fertilità, con la quale lo sposo "batteva" simbolicamente la sposa èperchè il matrimonio fosse ricco di figli.
L'iscrizione sopra lo specchio: Johannes De Eyck fuit Hic 1434, cioè "Jan Van Eyck fu qui", insieme alla data, non è solo la firma dell'artista e la datazione del quadro, ma ha valore di legale testimonianza nella cerimonia giuridica della promessa di matrimonio, come fosse un documento scritto.

Al di là dei significati simbolici, l'opera è particolarmente affascinante per il virtuosismo tecnico nella rappresentazione dei particolari. Lo specchio ne è il momento culminante anche per la resa delle deformazioni delle immagini. Grazie alla sua convessità, esso riflette tutto ciò che vi è nella stanza, e perfino due persone che vi stanno entrando.
Ma il quadro ha il suo alto valore pittorico anche nell'equilibrata disposizione dei protagonisti, armonicamente coordinati allo spazio e a ogni oggetto.
Ogni cosa rappresentata è resa più solenne e immobile dalla luce fredda e diffusa che indugia sui dettagli.
Sono elementi tipici della concezione pittorica fiamminga una certa rigidezza delle forme e l'espressione enigmatica che caratterizza i personaggi.

Il capolavoro di Jan van Eyck ha rappresentato un modello non solo per la pittura fiamminga, ma per tutta la pittura europea. La soluzione dello specchio sulla parete verrà ripresa due secoli dopo da Diego Velazquez in un altro capolavoro: Las Meninas. Dal centro della stanza si vede il pittore che sta dipingendo un grande quadro mentre guarda noi, mentre sulla parete di fondo lo specchio appeso riflette i volti dei sovrani Filippo IV e la regina che si identificano con lo spettatore.

Da notare il bellissimo particolare della finestra  a sinistra con la luce che passa ed entra liberamente nella stanza. Il minimale accenno dell'albero è si intravvede come in uno spiraglio. 
Tutte le opere di Van Eyck vanno lette a partire dal particolare. Il senso più profondo della sua visione della realtà è rivelato attraverso i dettagli.

 

A. Cocchi

 

Bibliografia

 

N. Frapiccini, N. Giustozzi. La geografia dell'arte. Hoepli editore, Milano, 2005. 
G. Cricco, F. P. Di Teodoro Itinerario nell'arte. Vol. 3 Dal Rinascimento al Manierismo. Zanichelli Editore, Ozzano Emilia  2006
Vivere l'arte. A cura di C. Fumarco e L. Beltrame. Vol. 2 Dal Rinascimento al Rococò. Bruno Mondadori Editore, Verona 2008
La Nuova Enciclopedia dell’arte Garzanti, Giunti, Firenze 1986
R. Bossaglia Storia dell'arte. Vol 2 Dal Rinascimento al Barocco al Rococò. Principato Editrice, Milano 2003.
P. Adorno, A. Mastrangelo Arte. Correnti e artisti vol.II
F. Negri Arnoldi Storia dell'arte vol III
E. Bernini, R. Rota Eikon guida alla storia dell'arte. Vol. 2 Dal Quattrocento al Seicento. Editori Laterza, Bari 2006
G. Dorfles, S. Buganza, J. Stoppa Storia dell'arte. Vol. 2 Dal Quattrocento al Settecento. Istituto Italiano Edizioni Atlas, Begamo 2006

 

I trattati sulla famiglia nel Rinascimento

Leon Battista Alberti, Libri della famiglia

Baldesar Castiglione, Il libro del Cortegiano

Giovanni Della Casa, Il Galateo

  

Nel periodo umanistico rinascimentale la trattatistica è uno dei generi di maggiore diffusione e successo perché, oltre che ricollegarsi alla più prestigiosa tradizione classica (Platone, Cicerone), risulta molto adatta ad accogliere e propagandare le nuove tematiche del dibattito culturale, nella diversità delle tendenze e nella complessa varietà delle sue articolazioni, che vanno ad interessare tutte le componenti della realtà umana. 
Nel Cinquecento il trattato, che adotta ormai il volgare come lingua, raggiunge, rispetto al periodo precedente, un superiore livello di decoro e di maturazione stilistica.

Dal punto di vista formale si pone la distinzione tra trattato monologico, con una sola voce che parla per esporre una tesi forte e ben definita, e trattato dialogico, con più voci che concorrono, in misura maggiore o minore, alla costruzione dell'opera: in questo caso la verità è oggetto di studio e di ricerca, è inserita in un contesto di tipo prospettico e relativo.

Per quanto riguarda i contenuti, tutti gli aspetti del dibattito culturale sono recepiti. Particolare importanza rivestono i numerosi trattati riguardanti il comportamento e il costume, perché concorrono a definire un ideale di civiltà fatto di equilibrio e di armonia, di aristocratica misura e di perfezione formale, che è l'immagine più tipica del classicismo rinascimentale.

 

 

Leon Battista Alberti Libri sulla famiglia

 


L. B. Alberti. Presunto autoritratto su placchetta. 
Parigi, Cabinet des Medailles

 

 

L'opera è composta da quattro libri, i primi tre scritti fra il 1433 e il 1434, il quarto nel 1440. Il tema affrontato è l'organizzazione e la conduzione della vita familiare. La famiglia è qui considerata come il nucleo primo e il perno della vita associata, fondamento della vita perfetta e della felicità dell'uomo; l'ideale presentato è quello della piccola repubblica familiare, ben ordinata e ben condotta, tratteggiata, però, in una prospettiva abbastanza lontana dalla realtà.

Leon Battista Alberti affronta questioni pratiche. 
Nel primo libro sono enunciati i doveri degli anziani verso i giovani e dei giovani verso gli anziani ed è affrontato il problema dell'educazione dei figli.
Il secondo libro tratta della scelta della moglie, del matrimonio e di ciò che rende felice una famiglia.
Nel terzo è oggetto di riflessione l'economia familiare, l'amministrazione della casa e delle proprietà. Il quarto si sofferma, infine, sull'amicizia e, più in generale, sulle relazioni sociali.

Nell'opera emerge con chiarezza qual è la caratteristica principale dell'uomo: la virtù, qualità legata all'esistenza terrena e che si traduce in operosità, capacità di discernere, saggezza, prudenza. Sono le qualità che aiutano l'uomo a contrapporsi al capriccioso arbitrio del fato per essere costruttore del proprio destino.

 

 

Baldassarre Castiglione Il libro del cortegiano

 


Raffaello Sanzio. Ritratto di Baldassarre Castiglione. 1514-1515 circa. 
Olio su tela. cm. 82X67. Parigi, Louvre

 

 

Il Cortegiano, uscito nel 1528, è uno dei più noti trattati del Rinascimento. In forma dialogica, è stato concepito con l'intento di descrivere "qual sia la forma di cortegiania più conveniente a gentiluomo che viva in corte de' principi… per la quale egli possa… acquistare da essi grazia e dagli altri laude". Dunque lo scopo è definire in che cosa consistano la natura e le qualità del perfetto cortigiano, per proporre però un modello a cui ogni gentiluomo deve tendere per realizzare nella propria esistenza un ideale di perfezione mondana.
Nei primi due libri appaiono le qualità del cortigiano: egli deve essere nobile non di sangue ma di animo, muoversi con grazia in ogni forma di rapporto sociale, vestirsi con misurata eleganza, essere abile nell'uso delle armi, saper usare con destrezza la parola "arguta" che esprime allo stesso tempo intelligenza e cultura, rifuggire in tutto ogni eccesso. Ma la regola fondamentale del comportamento è questa: evitare in ogni modo l'affettazione e usare la "spezzatura", dissimulando lo sforzo e facendo apparire come naturali anche gli atti più studiati e ricercati.
L'attenzione del trattato è rivolta anche alla donna, di cui si parla diffusamente nel libro terzo. Alla donna, infatti, veniva talora attribuita una funzione di primo piano nell'organizzazione della vita culturale delle corti, perciò devono essere evidenziate anche le qualità della "perfetta donna di palazzo". Innanzitutto si precisa che "le medesime regole, che sono date per lo cortegiano, servono ancor alla donna" (c.III): "la nobiltà, il fuggire l'affettazione, l'essere aggraziata da natura in tutte le operaio sue, l'essere di buoni costumi, ingeniosa, prudente, non superba, non invidiosa, non maledica, non vana, non contenziosa, non inetta, sapersi guadagnar e conservar la grazia della sua signora e di tutti gli altri, far bene e aggraziatamente tutti gli esercizi che si convengono alle donne" (c.IV). Caratteristica della donna è però la bellezza, indicata con le espressioni "tenerezza molle e delicata", "molle delicatezza", "nobile vergogna", "bellezza vaga e allegra", "discreta modestia", "debole fievolezza". Secondo A. Quondam la "grazia" propria del cortigiano non è più, nella donna, un dato culturale profondo, ma è stata come deviata sul piano dell'essere "aggraziata", cioè del comportamento esteriore, finendo con l'identificarsi con la bellezza.
La donna di palazzo conserva quella che è la qualità specifica di ogni donna, legata alla sua funzione riproduttiva e all'ambito di un'economia domestica: deve in primo luogo essere "una buona madre di famiglia" e in quanto tale "saper governare le facoltà del marito e la casa sua e i figlioli, quando è maritata" (c.V). Tuttavia, vivendo alla corte, deve saper praticare i rapporti sociali che in essa si producono: deve avere "una certa affabilità piacevole, per la quale sappia gentilmente intertenere ogni sorte d'omo con ragionamenti grati ed onesti, ed accomodati al tempo e loco ed alla qualità di quella persona con cui parlerà, accompagnando coi costumi placidi e modesti e con quella onestà che sempre ha da componer tutte le sue azioni una pronta vivacità d'ingegno, donde si mostri aliena da ogni grosseria; ma con tal maniera di bontà, che si faccia estimar non men pudica, prudente ed umana, che piacevole, arguta e discreta" (c.V). Certo essa gode di possibilità da cui le donne erano tradizionalmente escluse, ma anche in questo caso, fa notare il critico, il ruolo della donna resta marginale e subalterno: innanzitutto la conversazione cui partecipa non deve mettere in questione la sua virtù, né mai ella deve correre il pericolo di cadere nella lascivia o in un amore disonesto; più che di conversazione si parla di "gentilmente intertenere", cioè di una pratica mondana, più che culturale; infine il suo è un saper ascoltare e rispondere, più che essere soggetto attivo della conversazione, un prendere parte dal di fuori, ed anche il suo livello culturale deve essere funzionale alla sua possibilità di "partecipare" ai discorsi degli altri.

 

 

Jacopo Pontormo. Ritratto di Giovanni della Casa.1541-44. Olio su tela. 102 × 78.9 cm.
Washington. National Gallery of Art.

 

Giovanni Della Casa Il Galateo


Con Il Galateo, pubblicato nel 1558, l'ideale di grazia e misura tipico della civiltà rinascimentale, si trasforma in un ideale medio: non le virtù più alte ed eroiche, proprie di pochi, sono oggetto di trattazione, ma le buone maniere, cioè quelle doti che si esercitano quotidianamente, nella pratica comune delle relazioni sociali. Della Casa si rivolge ai gentiluomini cittadini, quindi ad uno strato assai ampio e variegato di popolazione, a cui si preoccupa di insegnare ciò che non va fatto, dando una serie di norme di etichetta basate sul buon senso e sul conformismo sociale. 
Manca nel testo la considerazione dei rapporti all'interno della famiglia, così come non ci sono insegnamenti rivolti direttamente alle donne, che figurano nel trattato solo in modo indiretto. Ad esempio, parlando dei discorsi da evitare, Della Casa consiglia di non raccontare "le prediche di frate Nastagio alle giovani donne, quando elle hanno voglia di scherzarsi". Se è bene evitare argomenti troppo seri, troppo tristi, o comunque non adatti alla situazione, sbagliano anche " coloro che altro non hanno in bocca giamai che i loro bambini e la donna e la balia loro", perché "sì fatte sciocchezze" annoiano chiunque. La vita familiare non è argomento interessante di conversazione.
Un altro riferimento indiretto si ha quando si parla di abbigliamento. "Bene vestito dèe andar ciascuno, secondo sua condizione e secondo sua età, perciochè altrimenti facendo pare che egli sprezzi la gente… E non solamente vogliono i vestimenti essere di fini panni, ma si dèe l'uomo sforzare di ritarsi più che può al costume degli altri cittadini, e lasciarsi volgere alle usanze… E se tutta la tua città averà tonduti i capelli, non si vuol portare la zazzera; o, dove gli altri cittadini siano con la barba, tagliarlati tu…" (c. VII).
Nel cap. XXVIII aggiunge: "non si dèe l'uomo ornare a guisa di femina… Non si vuole né putire, né olire, acciochè il gentile non renda odore di poltroniero, né del maschio venga odore di femina o di meretrice". Nel Cortegiano ci si soffermava, invece, a lungo sia sull'abbigliamento maschile che su quello femminile (II, 27; III, 8). Poco oltre, parlando dell'andatura giusta da tenere per strada, consiglia di non correre troppo, ma di evitare anche di "andare sì lento e sì contegnoso come femina o come sposa". 
Se il Cortegiano aveva parlato di una donna colta, che fa vita sociale, pur in posizione subalterna, con il Galateo si ritorna alla dimensione normale della donna, presenza silenziosa e ignorata all'interno della casa, oggetto di scarsa considerazione e interesse da parte dell'uomo.


L. Grillandi

 

 
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