La pittura del '200

Pietro Cavallini. Crocifissione. 1308 ca. Affresco. Napoli, San Domenico Maggiore, Cappella Brancaccio.
Pietro Cavallini. Crocifissione. 1308 ca. Affresco. Napoli, San Domenico Maggiore, Cappella Brancaccio. 

 

La pittura italiana del XIII secolo vive un'interessante sviluppo, passando dai modi aulici e astratti della visione bizantina alla nuova sensibilità del gusto gotico.

Il linguaggio colto della pittura duecentesca

 

 

La pittura italiana del XIII secolo testimonia una grande ricchezza culturale e si manifesta in un percorso espressivo molto articolato.

Ciò che meglio caratterizza la pittura duecentesca, specialmente italiana, è la cosiddetta Rinascenza bizantina, corrispondente alla prima metà del secolo XIII, uno dei periodi di maggiore splendore dell'arte bizantina.  Questa fase, oltre a conoscere un evidente sviluppo evolutivo, si apre su un ampio ventaglio di situazioni locali molto diversificate, che vanno dalle interpretazioni popolari e ingenue alle risposte più raffinate ad opera di elevate personalità artistiche.
La diffusione della  Rinascenza bizantina nella prima metà del '200 è vastissima e interessa anche i piccoli centri. La produzione artistica di questo secolo si diversifica inoltre dal punto di vista geografico, perché comprende zone di influenza diverse. Ma nel complesso rivela una profonda radice estetica e culturale complessiva: l'Italia orientale, la Romagna, l'Italia centrale e meridionale appartengono in pieno alla corrente bizantina.

In pittura, la linea della tradizione bizantina, a partire dalla manifestazione ravennate, continua per tutto il medioevo, rimane sempre imperniata sulla componente classica ed ha permesso di mantenere un'intima continuità nella cultura figurativa attraverso i secoli, fino alla sua riformulazione in chiave rinascimentale. La trasmissione della cultura figurativa classica dovuta all'arte bizantina è un fenomeno di grande respiro, non si limita soltanto all'area italiana, ma si estende a tutto il mondo occidentale.
Tipica dell'espressione bizantina è la potente struttura simbolica, particolarmente complessa e articolata. Il simbolismo bizantino si avvale di concetti di teologia, matematica, geometria, astronomia, alchimia, sapere esoterico, ecc. ed è fondato su significati mistico-religiosi ancora oggetto di studio.

A partire dagli inizi del '400, per una serie di ragioni storiche, la memoria del sapere dei secoli precedenti è andata perduta, la cultura si è sviluppata si una mentalità completamente diversa e si è creata una distanza sufficiente perché si formasse un atteggiamento negativo e di rifiuto. Il pregiudizio sulla cultura duecentesca vista come stanca ripetizione di formule, ripetitiva e priva di originalità nasce proprio con il Rinascimento, viene espressa da Ghiberti e dal Vasari e ribadita per secoli, fino al novecentesco Giudizio sul Duecento di Roberto Longhi.

 

 

L'evoluzione verso il gotico

 


L'influsso della cultura gotica incomincia a farsi sentire intorno alla seconda metà del XIII secolo, quando soprattutto nelle opere di produzione toscana compaiono nuove soluzioni stilistiche: le proporzioni si allungano, le forme diventano più eleganti e dinamiche, i contorni sono caratterizzati da sinuosità e ondulazioni.  Gli esempi offerti dalla scultura, nei capolavori di Nicola e soprattutto Giovanni Pisano, influenzano anche la pittura, con l'introduzione del volume, dei chiaroscuri più graduati e della definizione più attenta dei contorni, secondo un intento di maggiore realismo e concretezza. Anche nella scelta dei colori ci sono delle novità: alla composizione basata su vivaci contrasti, si affianca con sempre maggiore frequenza la sfumatura e i passaggi cromatici più modulati.

Tra le tecniche più usate, accanto ai preziosi mosaici, nel corso del Duecento è molto diffuso l'affresco e soprattutto la pittura su tavola, che orna gli altari introdotti in maggior numero nelle chiese, in relazione al diffondersi del culto dei santi. Si tratta delle pale d'altare, dei trittici, dei polittici e delle croci dipinte.

Per quanto riguarda le rappresentazioni sacre, i soggetti più caratteristici del Duecento sono: la Maestà, in cui figura la Madonna in trono col Bambino, l'Immagine dei santi con scene della loro vita e una nuova formulazione dei crocifissi dipinti.

Un'altra importante novità che appartiene alla pittura italiana della seconda metà del Duecento è dovuta alla presenza della committenza laica, che viene ad affiancare quella religiosa. Di conseguenza agli artisti, oltre alle grandi pale d'altare e croci dipinte, vengono richieste anche miniature e dipinti di dimensioni minori, destinate ad uso privato e con soggetti non solo sacri o devozionali ma anche di carattere profano.
Tra i nuovi temi di tipo profano compaiono i soggetti tratti dal mito o dalla storia che celebrano le virtù civili e quelli che si riferiscono ai nuovi ideali cortesi e cavallereschi.

Alcuni tra i principali interpreti di questo stile, in passato identificato come "maniera greca" del '200, sono i maestri attivi in area toscana come: Giunta Pisano, i Berlinghieri, Coppo di Marcovaldo, il Maestro Alberto, Cimabue, Duccio di Buoninsegna. Appartenenti invece alla scuola romana di matrice più classicheggiante, troviamo: Pietro Cavallini, Jacopo Torriti, Filippo Rusuti.

 

 

 

 

La pittura duecentesca in Toscana

 


Cimabue. Maestà di Santa Trinita. 1285-86 Tempera su tavola. Firenze, Uffizi.

 

 

In Toscana le tradizioni pittoriche locali vengono investite dalle influenze orientali. Durante il XII secolo i maggiori centri toscani di produzione pittorica sono ancora Lucca Pisa. Intanto a Firenze comincia a svilupparsi quella evoluzione economica basata sul commercio e la formazione del sistema bancario che trasformeranno la città in uno dei maggiori centri europei. 
In tutta la regione prevale lo stile classicheggiante che da Roma, specialmente attraverso le miniature, di era diffuso in tutta l'Italia centrale.
Dopo la conquista di Costantinopoli, nel 1204 in Italia cominciano a circolare le icone bizantine, ammiratissime per la raffinatezza e l'elevato potere suggestivo. Con il secolo XIII si assiste alla grande fioritura delle tavole dipinte, influenzate dai modelli orientali, ma interpretate da maestri e scuole locali, soprattutto pisani e lucchesi. Si tratta di numerose Croci dipinte e pale d'altare raffiguranti Madonne col Bambino o Maestà. I risultati di questi lavori sono diversi, a volte raggiungono alti livelli di originalità e qualità, spesso giungono ad esiti più modesti e dialettali, ma testimoniano di una diffusa spiritualità e ricchezza culturale.
Tra i maestri più noti e quelli finora identificati si possono ricordare Giunta PisanoCoppo di MarcovaldoAlberto Sotio, il Maestro GuglielmoBonaventura BerlinghieriCimabue e numerosi grandi interpreti conosciuti per i dipinti che hanno realizzato, ma rimasti purtroppo anonimi.

 

 

 

 

Le croci dipinte

 


Anonimo maestro bizantino, Crocifisso. 1230 circa.
Tempera su tavola sagomata. Pisa, Museo Nazionale di San Matteo.

 

Con il '200  nella tipologia delle croci dipinte, nonostante gli artisti si riallaccino alla tradizione precedentemente formulata, del Cristo in croce, introducono anche i primi cambiamenti stilistici e iconografici. Ma il processo evolutivo si compie lentamente, perché le immagini sacre, in questi tempi, erano strettamente vincolate al dogma religioso che gli artisti dovevano rispettare per non vedersi rifiutare le opere.
Nell'iconografia si passa dalla più astratta rappresentazione del Christus Triumphans (di stile ancora romanico) legata al tema del Cristo come Dio vincitore sulla morte, a quella più umana del Christus Patiens, riferita alla visione di Gesù sofferente sulla croce, sacrificato per la salvezza degli uomini.

In Toscana agli inizi del XIII secolo, compare una primitiva formulazione del Christus Pathiens, come è dimostrato dal Crocifisso di artista anonimo conservato al Museo Nazionale di San Matteo a Pisa. In questo esempio, sebbene persistano gli elementi stilistici tradizionali, viene introdotta la prima rappresentazione del Cristo morto sulla croce: la testa è abbandonata sulla spalla, il corpo leggermente inarcato, gli occhi chiusi, la fronte segnata da rughe e le sopracciglia spioventi che segnalano la sofferenza.
Ma il primo cambiamento importante viene introdotto da Giunta Pisano, attivo in Italia centrale nella prima metà del secolo XIII. 
Giunta, con la formulazione del Christus Patiens, sostituisce all'antica icona del Dio trionfatore l'immagine più umana del Dio sofferente, accostandosi all'etica francescana. Le linee, i colori e gli altri elementi visivi concorrono nella composizione a creare una visione altamente drammatica, carica di pathos. La soluzione di Giunta avrà un enorme incidenza sulla produzione successiva, da Cimabue in avanti.

 

Per approfondire vedi: Le croci dipinte come genere pittorico

 

A. Cocchi

 

 

 

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Bibliografia

 

 

F. Todini. Abita a Firenze un pittore Bizantino. La "maniera greca" di Cimabue. in: Il romanzo della pittura. vol.I Giotto e i maestri del Trecento. Suppl. a La Repubblica. 1988
R. Longhi. Giudizio sul Duecento e ricerche sul Trecento nell'Italia centrale. Sansoni, Firenze 1939-1970
La Nuova Enciclopedia dell'Arte. Garzanti 1986
M. Rotili. La pittura romanica nell'Italia Centro-meridionale. in: I maestri del colore. n. 210 F.lli Fabbri editori.
F. Negri Arnoldi. Storia dell'Arte. Vol. I. Gruppo editoriale Fabbri. Milano 1985

 

 

 
Approfondimenti
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