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Il dono del mantello

Eseguito tra il 1290 e il '99, l'attribuzione non è del tutto sicura, secondo alcuni studiosi è uno dei primi affreschi delle Storie di san Francesco che Giotto  ha eseguito ad Assisi.  Altri studiosi invece ritengono si tratti di un altro artista, forse il Maestro di Isacco. La tradizione lo assegna a una fase ancora giovanile di Giotto.
Illustra il passo della Legenda Maior in cui si racconta che Francesco, non ancora frate, incontra un cavaliere, nobile ma povero e mal vestito. Mosso a Pietà  il santo lo riveste col suo mantello.

Si vedono alcuni elementi che hanno determinato problemi di attribuzione.  Ad esempio le figure, rispetto alle scene successive, hanno uno stile più aspro, sono un po' più rigide e impacciate nei movimenti. I piedi di Francesco, sembrano poggiare su un piano obliquo, le linee di contorno che tendono a 'ritagliare' le figure, i volumi che tendono a emergere, ma non sono ancora del tutto pieni, i corpi sembrano ancora un po' compressi. In seguito Giotto saprà  superare questi limiti.
Altri elementi indicano l'apprendistato presso Cimabue: il disegno accurato, basato da una solida impostazione geometrica, lo studio delle luci e ombre che creano forme rotondeggianti, gli accostamenti armonici dei colori.

Ma su questi presupposti, già  si delinea la personalità  di Giotto, con caratteristiche assolutamente originali. Soprattutto l'essenzialità  e chiarezza compositiva, Giotto ha molto il senso della sintesi: la composizione si basa sull'incrocio delle diagonali, ogni forma è ridotta all'essenziale e si avvicina alla forma geometrica. Le figure tendono a volumi semplici, e anche nello sfondo le rocce sono squadrate e semplificate.  Altro elemento tipicamente giottesco è il riferimento alla realtà  storica e alla vita quotidiana. I personaggi indossano i costumi del suo tempo, anche la figura di san Francesco non è divinizzata, è riconoscibile solo per l'aureola, poichè ha un aspetto molto umano, sembra un qualunque borghese di allora.

Anche lo sfondo si riferisce alla realtà : la città  murata che si vede a sinistra è Assisi, il  monastero a destra è quello di San Benedetto sul monte Subà sio.
Infine vediamo la naturalezza di gesti e atteggiamenti, come il cavallo che bruca l'erba, i gesti spontanei dei personaggi. A questi si aggiunge il grande senso di umanità  e una certa grazia negli atteggiamenti, che sono tra le qualità  più personali e alte della sua pittura, oltre ad essere elementi assolutamente nuovi.

Questo affresco è piuttosto rovinato, c'è un deterioramento evidente sopratutto nel cavallo e nella tunica azzurra del santo, dove sono cadute le parti di colore stese a tempera. Probabilmente si tratta di una ridipintura eseguita da Giotto a secco sull'affresco, dovuta a un ripensamento. La tempera, che inizialmente aderisce all'affresco sottostante, con il tempo tende a sgretolarsi e cadere, poichè non possiede la resistenza dell'affresco.

 

A. Cocchi


Bibliografia

E.Bacceschi L'opera completa di Giotto. Classici dell'arte Rizzoli. Milano 1966
Antonio Pucci. Il Centiloquio, Firenze 1373
A. Magistà . Così ne parlano i contemporanei, in: Il romanzo della pittura. Giotto e i maestri del Trecento. Suppl. a La Repubblica del 26/10/1988
S, malatesta. L'uomo che parlava la lingua dei mercanti, in: Il romanzo della pittura. Giotto. Suppl. a La Repubblica del 26/10/1988
A. Tomei. Giotto. La pittura. Dossier Art Giunti, Firenze 1997
C. Semenzato, A. Angoletta Berti. Giotto e i giotteschi a Padova. Arnoldo Mondadori editore/ De Luca edizioni d'arte. Milano/Roma 1988
La Nuova Enciclopedia dell'Arte, Garzanti, 1986
G. Cricco, F. Di Teodoro, Itinerario nell’arte, vol. 1, Zanichelli Bologna 2004

 

 
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