Donatello. Miracolo dell'asina. Bassorilievo. Bronzo e argento. 1446-53. Altare del Santo. Basilica di Sant'Antonio. Padova
Tema centrale dell'opera di Donatello è l'uomo: la dimensione umana in tutta la sua profondità il tema costante della ricerca artistica dello scultore fiorentino. Nella sua lunga carriera, Donatello ha saputo rappresentare in modo realistico il mondo delle emozioni in tutte le sue sfaccettature, dalla dolcezza più soave alla crudeltà, dalla gioia al dolore più straziante.
Donatello, figura chiave del Rinascimento, e maggior scultore del '400, dai suoi contemporanei era considerato un genio. L'umanista Alamanno Rinuccini, in una lettera indirizzata nel 1473 al duca d'Urbino, scriveva che Donatello superava ogni altro scultore del suo tempo. Anche Michelangelo lo considerò un maestro e studiò a fondo i suoi capolavori.
La sala dedicata a Donatello nel Museo Nazionale del Bargello a Firenze.
Donatello. Cantoria. Part. 1433-39. Marmo, mosaico e bronzo.
cm. 348X570. Firenze, Museo dell'Opera del Duomo.
Donatello, nacque a Firenze nel 1386 e morì nella stessa città nel 1466. Di umili origini, figlio di un tessitore, Donatello si avviò giovanissimo all'arte, imparando la scultura presso il cantiere del Duomo di Firenze.
Ebbe una vita lunga (80 anni) e interamente dedicata all'arte, fu sempre impegnato in grandi commissioni. Ha vissuto un momento storico eccezionale, pieno di avvenimenti artistici importanti. Ha anche avuto la fortuna di conoscere molti grandi artisti, perché fu contemporaneo di Ghiberti, Brunelleschi, Masaccio, Jacopo della Quercia, Paolo Uccello, Beato Angelico, Luca della Robbia, Leon Battista Alberti.
Donatello. San Giorgio. 1416-20 Marmo.
Firenze, Museo Nazionale del Bargello
Si formò nella tradizione fiorentina e ne rimase legato soprattutto nella prima fase della sua produzione, ma è stato comunque un artista molto indipendente ed estremamente innovativo.
La sua formazione venne completata nella bottega di Ghiberti tra il 1404 e il 1407 e all'inizio della sua attività prese parte ai lavori nel cantiere di Santa Maria del Fiore, in collaborazione con Nanni di Banco e venne presto incaricato di realizzare statue di grandi dimensioni, tra le quali il David in marmo.
A Firenze conobbe anche Brunelleschi, suo grande amico e maestro, insieme i due elaborarono il nuovo stile rinascimentale e si recarono a Roma per studiare i monumenti antichi.
Donatello. David. 1452-53 ca. Bronzo. Firenze, Museo Nazionale del Bargello
Come per altri grandi maestri, la vicenda artistica di Donatello è uno dei fenomeni più vasti e multiformi della storia dell'arte, perché è un continuo susseguirsi di conquiste e auto superamenti. Donatello possedette uno spirito moderno e trasgressivo che lo spinse a rimettersi continuamente in discussione, dedicandosi al suo lavoro con una grande energia creativa, nel suo stile si mantenne sempre indipendente, perché sfidò le mode e il gusto dell'epoca, sempre pronto a un radicale processo di trasformazione stilistica (è il cosiddetto "spirito anticlassico" di Donatello).
Per questi motivi, però, Donatello nel contesto del suo tempo, rimase un artista isolato: tutti gli dovevano qualcosa, ma nessuno riuscì a servirsi in pieno del suo insegnamento. E' stato un punto di riferimento anche per artisti delle generazioni successive (specie per Michelangelo) e anche in epoca moderna.
Donatello. Giuditta e Oloferne. Dett. 1454-57. Bronzo.
h 236 cm. Firenze, Palazzo della Signoria.
E' stato molto ammirato, non solo per l'eccezionale qualità delle sue opere, ma anche per la sua versatilità impareggiabile nei mezzi espressivi. Donatello sapeva lavorare su qualsiasi materiale. Ci ha lasciato opere in marmo, pietra serena, calcare, legno, che spesso dipingeva o trattava con doratura. Sapeva modellare cera, creta, stucco ed eseguire lavori per la fusione in bronzo. Era abilissimo nella lavorazione dei metalli, come l'argento e l'oro e sapeva lavorare il vetro. Molto ammirati furono anche i suoi disegni, anche se pochi sono quelli giunti fino a noi. Usava in maniera molto libera anche le tecniche della scultura, creando sia statue grandi che piccoli rilievi, realizzati con tecniche innovative, come il famoso "schiacciato", di sua invenzione. Tra le opere realizzate con il rilievo schiacciato, si possono ricordare San Giorgio e il drago, sul basamento della statua di San Giorgio che fanno parte delle decorazioni scultoree eseguite per Orsanmichele, il celebre Banchetto di Erode, per il fonte battesimale di Siena. Ha realizzato capolavori in legno, pietra serena, calcare, vetro, bronzo; ha lasciato schizzi e disegni, e sappiamo che era abilissimo a modellare la cera e la creta.
Donatello. Monumento equestre al Gattamelata.
1447-53. Bronzo. Padova, Basilica di Sant'Antonio
Altri capolavori di questo artista sono la statua in bronzo del David-Mercurio , la Cantoria del Duomo di Firenze, la Maddalena, il gruppo della Giuditta e Oloferne, e i capolavori realizzati a Padova: il Crocifisso e l'Altare per la Basilica di Sant'Antonio, il Monumento equestre al Gattamelata.
Prima importante tappa della formazione di Donatello è il cantiere del Duomo fiorentino in cui si trovò a lavorare insieme a Nanni di Banco, altro giovane artista di sei anni più grande di lui. I due vennero incaricati di commissioni simili da parte dell'Opera del Duomo e lavorarono fianco a fianco per circa quindici anni, dal 1406 al 1421. Questa esperienza, più che determinare un'influenza reciproca tra di loro, sembra aver stimolato i entrambi gli artisti a spingersi verso ricerche individuali più autonome e soluzioni più originali e audaci (Per approfondire vedi: La collaborazione tra Donatello e Nanni di Banco).
Nodo cruciale nell'iter formativo di Donatello, è l'incontro con Filippo Brunelleschi, più anziano di dieci anni, dal quale nacque un'amicizia (tramandata fino a noi dal biografo di Brunelleschi Antonio Manetti e da molte altre testimonianze) che durò tutta la vita e provocò importanti conseguenze nell'arte di entrambi i maestri. Brunelleschi dovette accorgersi molto presto del talento di Donatello e lo portò con sé a Roma tra il 1402 e il 1404 per effettuare rilievi e studiare i monumenti classici. Per Donatello fu importantissimo l'insegnamento di Brunelleschi e il confronto continuo con le sue geniali innovazioni. Per Brunelleschi, allora ancora dedito alla scultura, doveva essere stimolante confrontare il suo stile drammatico e realistico con l'espressività vitale di Donatello. Per entrambi l'uso del disegno e della progettazione fu la chiave per l'avvio del nuovo stile rinascimentale.
Anche l'amicizia con Masaccio, altro grande protagonista del rinnovamento rinascimentale, ha segnato la vita e l'opera di Donatello. Un documento del 1427 indica la presenza dei due a artisti a Prato, dove Donatello fa da testimone ai pagamenti a Masaccio. Gli scambi e le derivazioni stilistiche sono reciproche e da parte di Donatello va indicata la somiglianza tra il suo San Marco, eseguito per una delle Logge di Orsanmichele, con il San Pietro affrescato da Masaccio nel suo Tributo nella Cappella Brancacci. Inoltre sembra che il rilievo dell'Assunzione con la consegna delle chiavi di Donatello fosse stata eseguita proprio per la stessa Cappella, nella quale i due potrebbero aver lavorato insieme.
Donatello fu collaboratore di Ghiberti dal 1404 al 1407 per i lavori alla Seconda Porta del Battistero. Lorenzo Ghiberti (Firenze 1378-1455), orafo, scultore, architetto e scrittore d'arte, era un artista tardo-gotico, uno dei maggiori scultori e fonditori del bronzo dell'epoca. In quello stesso periodo, verso il 1406, Donatello ricevette la sua prima commissione per la statua di un Profeta per la Porta della Mandorla del Duomo e da questo momento inizia la sua attività di scultore.
Presso la fiorente bottega di Ghiberti, Donatello acquisì i segreti della tecnica del bronzo e conobbe gli altri allievi: Masolino, Paolo Uccello, Michelozzo, che saranno importanti protagonisti della vita artistica fiorentina e di uno stile di transizione tra tardogotico e Rinascimento. Da diverse testimonianze risulta che Paolo Uccello e Donatello si frequentavano e con Michelozzo Donatello entrò in società a partire dal 1425 per fra fronte agli impegni sempre più numerosi.
Come gli altri giovani artisti, anche Donatello era legato alla tradizione fiorentina, e visse tutta una serie di avvenimenti importanti. Il Tabernacolo di Andrea Orcagna in Orsanmichele, realizzato tre il 1349 e il 1359, rappresentava per Firenze l'ultima grande impresa scultorea. Inoltre, per la complessa impostazione architettonica e ricchezza decorativa, si presentava anche come compendio delle varie arti. Esso rimase un modello per gli artisti della nuova generazione. Anche Donatello assimilò la lezione di Orcagna, ispirandosi a quell'opera in diversi casi. Ad esempio nell'Annunciazione di Santa Croce a Firenze (1435) o nello spettacolare Altare della Basilica di Sant'Antonio a Padova (iniziato nel 1466), Donatello ha articolato le strutture in maestose impostazioni architettoniche e ricorse alla pittura, ai marmi policromi, ai bronzi dorati, pur sempre con il predominio del linguaggio plastico.
Quindi la formazione di Donatello avvenne nell'ambito dello stile Tardo-gotico, anche se già proiettato verso il Rinascimento. Inoltre la sua è un tipo di formazione non umanistica in senso dottrinario, ma basata solidamente sulla pratica di mestiere.
Un'altra componente fondamentale che lega Donatello (ma anche altri grandi protagonisti del rinascimento fiorentino, ad esempio Brunelleschi e Masaccio) alla tradizionale poetica e teoria fiorentina è il disegno.
La conoscenza e la pratica del disegno è la base formativa di qualsiasi artista operi fra il Tre e Quattrocento a Firenze. E' il tronco comune delle varie arti, rappresenta una concezione unitaria, globale. Attraverso il disegno l'artista, se è uno scultore, conoscerà anche la pittura e l'architettura.
E sarà proprio attraverso il disegno che verrà a svilupparsi il nuovo stile rinascimentale.
Per una ricostruzione schematica e di riferimento, l'attività giovanile di Donatello può essere quindi compresa circa tra il 1402 e il 1408.
La collaborazione tra il giovane Donatello e Nanni di Banco avvenne tra il 1406 e il 1421 per una serie di commissioni da parte dell'Opera del Duomo. Nonostante le difficoltà sull'attribuzione di queste opere ai rispettivi artisti per via di una documentazione imprecisa, si propone una ricostruzione indicativa, sulla base delle ipotesi più condivise.
Il primo incarico riguarda la decorazione scultorea della tribuna del duomo fiorentino.
Al 1407 risale la richiesta della decorazione della Porta della Mandorla con il Profetino di sinistra assegnato a Nanni di Banco e il Profetino di destra richiesto a Donatello.
Nanni di Banco. Profetino. | Donatello. Profetino. |
Nel 1408 Nanni, che lavorava ancora insieme al padre Antonio, venne incaricato di eseguire il Profeta Isaia, ora conservato all'interno di Santa Maria del Fiore. La statua doveva essere collocata davanti ad uno dei pilastri della tribuna.
Per l'altro pilastro venne dato l'incarico a Donatello che realizzò il David di marmo del Bargello.
Nanni di Banco. Profeta Isaia | Donatello. David |
L'opera del Duomo ordinò anche le quattro statue degli evangelisti che andavano sistemate nelle apposite nicchie poste in alto sulla facciata, tre delle quali che vennero assegnate nello stesso 1408 a tre artisti: Niccolò di Pietro Lamberti eseguì il San Marco, Nanni di Banco scolpì il San Luca, Donatello tra il 1412 e il 1415 si occupò del San Giovanni. Nel 1410 venne richiesto anche il San Matteo a Bernardo Ciuffagni.
La richiesta prevedeva la rappresentazione di statue sedute, lavorate a tutto tondo e alte circa due metri e dieci, inoltre essendo le nicchie poco profonde dovevano essere utilizzati blocchi di marmo non troppo voluminosi. Nonostante queste esigenze, una certa coerenza iconografica e la collaborazione tra loro, ognuno degli artisti mantenne la propria autonomia, con linguaggi espressivi molto diversi tra loro.
Niccolò di Pietro Lamberti. San Marco | Nanni di Banco. San Luca |
Donatello. San Giovanni Evangelista | Bernardo Ciuffagni. San Matteo |
L'ottima riuscita dei lavori per il Duomo, portò a Nanni e Donatello nuovi incarichi importanti. I due artisti furono chiamati insieme a Ghiberti per realizzare le statue che dovevano essere poste nelle nicchie delle corporazioni all'esterno dell'imponente edificio di Orsanmichele, alle quali lavorarono tra il 1411 e il 1417.
Nanni tra il 1411 e il 1414 eseguì il San Filippo per l'Arte dei Calzolai, Sant'Eligio per i Maniscalchi e il celebre gruppo dei Quattro Santi Coronati per l'Arte dei Maestri delle pietre e del legname, a cui era iscritto.
Nanni di Banco. San Filippo | Nanni di Banco. Sant'Eligio | Nanni di Banco. |
Donatello per le nicchie di Orsanmichele scolpì tre dei suoi capolavori giovanili: il San Giorgio per l'Arte dei Corazzai, il San Marco per l'Arte dei Linaioli. Più tardi, verso il 1420, realizzò il San Ludovico di Tolosa in bronzo dorato, per la Parte Guelfa.
Donatello. San Giorgio | Donatello. San Marco. |
Donatello. San Ludovico da Tolosa |
Considerando questo gruppo di opere sembra che i due artisti abbiano gareggiato in impegno e inventiva, proponendo soluzioni tecniche e stilistiche assolutamente innovative che fanno dei loro lavori dei modelli di riferimento sia per la statuaria monumentale che per il rilievo.
Mentre Donatello eseguiva il San Ludovico di Tolosa Nanni realizzò lo splendido rilievo dell'Assunzione della Vergine sul frontone della Porta della Mandorla del Duomo, uno dei capolavori che segnano il passaggio dall'arte gotica all'arte rinascimentale.
Nanni di Banco. Porta della Mandorla. Firenze, Duomo. |
Una vicenda molto importante dell'attività di Donatello e Michelozzo, e che ha portato conseguenze incisive per la scultura del '400 è la società che i due artisti strinsero tra il 1425 e il 1434 circa. La "compagnia" doveva avere una durata triennale, ma i due artisti la rinnovarono due volte, perché la ritennero particolarmente utile. Infatti permise ad entrambi di condividere importanti committenze, ma al tempo stesso, poiché le regole che avevano scelto non erano troppo rigide, poterono lavorare anche singolarmente. Michelozzo e Donatello in quegli anni condividevano la stessa disposizione culturale e il loro lavoro si è sviluppato in un ricco e proficuo scambio di idee e soluzioni, come dimostrano le opere che gli artisti hanno realizzato in quel periodo. Ciò si può notare sia nei lavori svolti insieme che in quelli realizzati singolarmente.
Al momento della costituzione della società Nanni di Banco era uno scultore esperto e aveva già ricevuto numerose cariche onorifiche mentre Donatello, anche se di quindici anni più giovane, aveva compiuto la sua prima attività fino agli anni '20 esclusivamente su cariche pubbliche e quello fu il momento in cui cominciò a ricevere anche incarichi da parte di privati. Pertanto le committenze che avevano ricevuto i due artisti potevano considerarsi similari.
La sede del laboratorio di Michelozzo e Donatello a Firenze.
Uno dei committenti più importanti fu Cosimo il Vecchio de' Medici, amico e sostenitore dei due artisti, oltre ad essere uno dei maggiori mecenati di Firenze nella prima metà del '400.
Nei nove anni della loro società, Michelozzo e Donatello hanno condiviso le commissioni ricevute da ciascuno per affrontare meglio gli impegni e dividersi i carichi del lavoro anche in base alle rispettive inclinazioni. In genere Michelozzo si è occupato dei progetti complessivi e delle parti architettoniche oltre a diverse sculture, Donatello ha invece eseguito singole statue e rilievi.
Nel loro gruppo hanno lavorato anche diversi collaboratori, sappiamo infatti che la bottega di Michelozzo e Donatello offriva lavoro a diversi giovani artisti che imparavano lavorando a contatto con i maestri più esperti.
Tra i lavori eseguiti in comune tra i due artisti, si possono ricordare la Tomba dell'Antipapa Giovanni XXIII, Baldassarre Coscia per il Battistero di Firenze, il Monumento funebre di Rinaldo Brancacci nella chiesa di Sant'Angelo a Nilo a Napoli, il Monumento sepolcrale per Bartolomeo Agazzi nel Duomo di Montepulciano, il Pergamo esterno del Duomo di Prato, il Tabernacolo del Sacramento nella Sagrestia dei Beneficiati nella Basilica di San Pietro a Roma.
Di seguito sono riportati alcuni approfondimenti sui lavori condotti dalla società.
Costituita da un anno la loro società, Donatello e Michelozzo, tra il 1425 e il 1427, eseguirono la Tomba dell'Antipapa Giovanni XXIII, Baldassarre Coscia per il Battistero fiorentino di San Giovanni, la più prestigiosa tra le importanti commissioni ricevute dai due artisti.
Eletto papa nel 1410 con il nome di Giovanni XXIII, il cardinale Baldassarre Coscia appena cinque anni dopo, in occasione del Concilio di Costanza, era stato deposto e imprigionato. Venne liberato da Giovanni Bicci dei Medici, amico personale del Coscia e sostenitore della sua ascesa al papato. Nonostante la sua deposizione ufficiale, molti contemporanei continuarono a considerarlo il papa legittimo, tra questi anche Martino V eletto papa dopo di lui nel 1417. Baldassarre Cocsia morì in miseria a Firenze nel 1419 e i suoi esecutori testamentari, tra i quali Govanni Bicci e Niccolò da Uzzano provvidero alla sua sepoltura finanziando lavori. Anche la collocazione e le caratteristiche del monumento funerario comportò parecchie controversie, ma alla fine si riuscì a trovare una soluzione. La Tomba venne realizzata all'interno del Battistero di San Giovanni, nello spazio ristretto tra una coppia di antiche colonne romane.
Non è stata mai ritrovata la documentazione inerente all'incarico e ai pagamenti dei due artisti, e anche la questione delle attribuzioni è stata a lungo dibattuta.
In base alle conoscenze attuali, sembra molto probabile che il progetto complessivo spetti a Michelozzo, il quale risolse con eleganza l'inserimento del monumento funebre nello spazio ristretto tra le due imponenti colonne sviluppando una composizione in verticale. Anche alcuni disegni preparatori riguardanti diverse decorazioni a bassorilievo appartengono a Michelozzo: si tratta delle tre Virtù teologali inserite nelle nicchie sul basamento, dei due Angioletti reggi cartiglio sul sarcofago e della Madonna col Bambino posta sul coronamento.
A Donatello è stata sicuramente affidata l'esecuzione della figura distesa del Coscia in bronzo dorato. Anche il tendaggio che si apre per inquadrare la figura del defunto in maniera regale, sembra essere un'invenzione di Donatello, ha la funzione di dare spazio alla statua del giacente offrendo più respiro sia in avanti che sui lati.
La statua dell'antipapa è posta su un austero lettino sostenuto da due leoni, la testa è appoggiata su un cuscino. Veste abiti vescovili, molto eleganti e composti con cura. Le pieghe sono molto sottolineate dalla lavorazione, hanno un andamento ondulato e un profilo aspro.
Colpisce soprattutto l'espressione del volto, che non è distesa nel rilassamento della morte, ma accigliato, come per alludere al turbamento che aveva accompagnato il Coscia nelle vicende della sua vita, fino all'ultimo.
Nella parte anteriore del sarcofago doveva probabilmente essere posta la lastra a rilievo con l'Ascensione di Cristo e la consegna delle chiavi a San Pietro, sia perché il tema della rappresentazione è inerente alla fondazione del papato, sia perché venne concepita da Donatello per essere vista molto dal basso, analogamente alla posizione dell'Assunzione del sepolcro napoletano.
Il resto della tomba ha accolto l'intervento di diversi aiuti.
Circa una decina di anni dopo l'esecuzione del San Giorgio e il Drago, Donatello realizzò l'Assunzione di Maria, un bassorilievo in marmo che si trova inserito nel Monumento funebre di Rinaldo Brancacci nella chiesa di Sant'Angelo a Nilo a Napoli.
In questa scena immaginaria, come un'allegoria della "Gloria" classica, Donatello evitò di ricorrere a qualsiasi espediente geometrico per indicare la profondità, in modo da ottenere uno spazio vago, indefinito.
Nell'immagine i piani sono disposti liberamente, come se l'artista avesse disegnato direttamente sulla lastra marmorea.
Le variazioni di profondità sono quelle delle nuvole in cui si trova la Madonna, la superficie presenta lievi modulazioni in cui sono stati scavati pochi millimetri di marmo qua e là ed è appena scalfita da segni leggeri disposti a vortice. Al centro, attorno alla Vergine, si crea una sorta di alone in cui si concentra la luce e sembra allargarsi facendo vibrare la superficie con un movimento a onde concentriche.
Fra i cirri sfilacciati e vaporosi fluttuano gli angeli che sollevano la Madonna senza sforzo, con un effetto di rarefazione delle masse e di estrema leggerezza.
La Madonna sale al cielo seduta su uno sgabello e vista di tre quarti, come nelle immagini tradizionali.
Una delle opere che impegnò Donatello e Michelozzo dopo la costituzione della loro società fu il Pergamo esterno della Cattedrale di Prato.
Nel 1428 venne steso il contratto, firmato da Michelozzo anche a nome di Donatello. Nel documento si legge che i due artisti avrebbero dovuto terminare i lavori entro il 1 settembre del 1429. Le richieste non furono però rispettate, perché i lavori si protrassero molto più a lungo del previsto e anche per l'aspetto complessivo dell'opera i risultati non corrisposero a quanto stabilito nell'atto notarile. Diverse circostanze causarono l'interruzione dei lavori l'allungarsi dei ritardi: in primo luogo il soggiorno dei due maestri a Roma durato tre anni, poi le ostilità scoppiate in Toscana in quel periodo e alcune commissioni molto impegnative assunte dalla "compagnia".
Il progetto complessivo del Pulpito di Prato spetta a Michelozzo. E' lui l'autore dell'originale soluzione architettonica del balcone con la base a tre quarti si cerchio sostenuto dalle mensole aggettanti agli angoli e da un grande capitello in bronzo. Il suo intervento si estese però anche nella lavorazione dei marmi.
Donatello è invece l'autore dei rilievi con gli angeli danzanti, gioiosi, eccitati e scarmigliati come in un baccanale antico. Queste figure rivelano lo studio dei sarcofagi romani ma possiedono un dinamismo e una vitalità inedite. Anche se i rilievi sono ottenuti in pannelli separati da coppie di pilastrini, la corsa dei festosi angioletti appare continua e sembra proseguire anche dentro al muro della chiesa. Questi motivi verranno riproposti e sviluppati da Donatello anche nella Cantoria del Duomo di Firenze.
Nel 1443 Donatello si trasferisce a Padova e vi rimane per dieci anni, fino al 1453. Durante il suo soggiorno realizza diverse opere che saranno fondamentali per la diffusione del nuovo linguaggio rinascimentale in Veneto.
La prima richiesta, all'arrivo dell'artista fiorentino a Padova sembra essere quella del Crocifisso di bronzo per la Basilica di sant'Antonio, terminato nel 1447. Contemporanente gli venne commissionato anche il Monumento equestre al Gattamelata, opera commemorativa dedicata al famoso condottiero della Repubblica di Venezia Erasmo da Narni detto il Gattamelata. Il gruppo in bronzo doveva essere posta all'esterno della Basilica di Sant'Antonio, dove si trova tutt'ora.
L'opera più impegnativa e capolavoro della maturità di Donatello è senz'altro il complesso dell'Altare della Basilica del santo, composto da un baldacchino architettonico, sette statue e numerosi rilievi.
Commissioni così prestigiose e impegnative richiesero una grande organizzazione, la creazione di grandi laboratori e fonderie ben attrezzate. Ma quando Donatello si accinse ad affrontare questi lavori aveva già maturato una solida esperienza, sviluppando una tecnica impeccabile. Aveva assimilato da tempo gli insegnamenti del più anziano amico Michelozzo ed aveva già realizzato diverse fusioni n bronzo: dal San Ludovico di Tolosa al rilievo del Banchetto di Erode di Siena alle Porte bronzee della Sacrestia Vecchia di San Lorenzo.
Giorgio Vasari
VITA DI DONATO
scultore fiorentino
Donato, il quale fu chiamato dai suoi Donatello e così si sottoscrisse in alcune delle sue opere, nacque in Firenze l'anno 1385. E dando opera all'arte del disegno, fu non pure scultore rarissimo e statuario maraviglioso, ma pratico negli stucchi, valente nella prospettiva, e nell'architettura molto stimato. Et ebbono l'opere sue tanta grazia, disegno e bontà, ch'oltre furono tenute più simili all'eccellenti opere degl'antichi Greci e Romani, che quelle di qualunche altro fusse già mai; onde a gran ragione se gli da grado del primo che mettesse in buono uso l'invenzione delle storie ne' bassi rilievi. I quali da lui furono talmente operati, che alla considerazione che egli ebbe in quelli, alla facilità et al magisterio, si conosce che n'ebbe la vera intelligenza e gli fece con bellezza più che ordinaria; perciò che non che alcuno artefice in questa parte lo vincesse, ma nell'età nostra ancora non è chi l'abbia paragonato.
Fu allevato Donatello da fanciullezza in casa di Ruberto Martelli, e per le buone qualità e per lo studio della virtù sua, non solo meritò d'essere amato da lui, ma ancora da tutta quella nobile famiglia. Lavorò nella gioventù sua molte cose delle quali, perché furono molte, non si tenne gran conto.
Ma quello che gli diede nome e lo fece, per quello che egli era, conoscere, fu una Nunziata di pietra di macigno, che in Santa Croce di Fiorenza fu posta all'altare e cappella de' Cavalcanti, alla quale fece un ornato di componimento alla grottesca, con basamento vario et attorto e finimento a quarto tondo, aggiugnendovi sei putti che reggono alcuni festoni, i quali pare che per paura dell'altezza, tenendosi abbracciati l'un l'altro, si assicurino. Ma sopra tutto grande ingegno et arte mostrò nella figura della Vergine, la quale, Impaurita dall'improwiso apparire dell'Angelo, muove timidamente con dolcezza la persona a una onestissima reverenza, con bellissima grazia rivolgendosi a chi la saluta. Di maniera che se le scorge nel viso quella umilità e gratitudine, che del non aspettato dono si deve a chi lo fa, e tanto più quanto il dono è maggiore. Dimostrò oltra questo Donato ne' panni di essa Madonna e dell'Angelo, lo essere bene rigirati e maestrevolmente piegati; e col cercare l'ignudo delle figure, come e' tentava di scoprire la bellezza degl'antichi, stata nascosa già cotanti anni. E mostrò tanta facilità et artifìzio in questa opera, che insomma più non si può, dal disegno e dal giudizio, dallo scarpello e dalla pratica, disiderare.
Nella chiesa medesima sotto il tramezzo, a lato della storia di Taddeo Gaddi, fece con straordinaria fatica un Crucifìsso di legno, il quale quando ebbe finito, parendogli aver fatto una cosa rarissima,lo mostrò a Filippo di ser Brunellesco suo amicissimo, per averne il parere suo; il quale Filippo, che per le parole di Donato aspettava di vedere molto miglior cosa, come lo vide sorrise alquanto. Il che vedendo Donato, lo pregò, per quanta amicizia era fra loro, che gliene dicesse il parer suo; per che Filippo, che liberalissimo era, rispose che gli pareva che egli avesse messo in croce un contadino e non un corpo simile a Gesù Cristo, il quale fu delicatissimo, et in tutte le parti il più perfetto uomo che nascesse già mai. Udendosi mordere Donato, e più a dentro che non pensava, dove sperava essere lodato, rispose: «Se così facile fusse fare come giudicare, il mio Cristo ti parrebbe Cristo, e non un contadino: però piglia del legno e pruova a farne uno ancor tu». Filippo, senza più farne parola, tornato a casa, senza che alcuno lo sapesse, mise mano a fare un Crucifìsso, e cercando d'avanzare, per non condannar il proprio giudizio. Donato, lo condusse dopo molti mesi a somma perfezzione. E ciò fatto, invitò una mattina Donato a desinar seco, e Donato accettò l'invito. E così, andando a casa di Filippo di compagnia, arivati in Mercato Vecchio, Filippo comperò alcune cose, e datele a Donato, disse: «Aviati con queste cose a casa, e lì aspettami, che io ne vengo or ora». Entrato dunque Donato in casa,
giunto che fu in terreno, vide il Crucifìsso di Filippo a un buon lume, e fermatesi a considerarlo, lo trovò così perfettamente finito, che vinto e tutto pieno di stupore, come fuor di sé, aperse le mani che tenevano il grembiule. Onde cascategli l'uova, il formaggio e l'altre robe tutte, si versò e fracassò ogni cosa; ma non restando però di far le maraviglie e star come insensato, sopragiunto Filippo, ridendo disse: «Che disegno è il tuo, Donato? Che desinaremo noi avendo tu versato ogni cosa?». «Io per me», rispose Donato, «ho per istamani avuta la parte mia, se tu vuoi la tua, pigliatela. Ma non più, a tè è conceduto fare i Cristi, et a me i contadini.»
Fece Donato, nel tempio di San Giovanni della medesima città, la sepoltura di papa Giovanni Coscia, stato deposto del pontificato dal Concilio Costanziese; la quale gli fu fatta fare da Cosimo de' Medici, amicissimo del detto Coscia; et in essa fece Donato di sua mano il morto di bronzo dorato, e di marmo la Speranza e Carità che vi sono; e Michelozzo creato suo vi fece la Fede.
Vedesi nel medesimo tempio, e dirimpetto a quest'opera, di mano di Donato una Santa Maria Maddalena di legno in penitenza, molto bella e molto ben fatta, essendo consumata dai digiuni e dall'astinenza, intanto che pare in tutte le parti una perfezzione di notomia benissimo intesa per tutto.
In Mercato Vecchio, sopra una colonna di granito, è di mano di Donato una Dovizia di macigno forte, tutta isolata, tanto ben fatta che dagl'artefici e da tutti gl'uomini intendenti è lodata sommamente. La qual colonna, sopra cui è questa statua collocata, era già in San Giovanni, dove sono l'altre di granito che sostengono l'ordine di dentro, e ne fu levata, et in suo cambio postavi un'altra colonna accanalata, sopra la quale stava già, nel mezzo di quel tempio, la statua di Marte che' ne fu levata quando i Fiorentini furono alla fede di Gesù Cristo convertiti.
Fece il medesimo, essendo ancor giovanotto, nella facciata di Santa Maria del Fiore, un Daniello profeta di marmo, e dopo un San Giovanni Evangelista che siede, di braccia quattro e con semplice abito vestito, il quale è molto lodato. Nel medesimo luogo si vede in sul cantone, per la faccia ch'è rivolta per andare nella via del Cocomero, un vecchio fra due colonne, più simile alla maniera antica che altra cosa che di Donato si possa vedere, conoscendosi nella testa di quello i pensieri che arrecano gl'anni a coloro che sono consumati dal tempo e dalla fatica.
Fece ancora, dentro la detta chiesa, l'ornamento dell'organo che è sopra la porta della sagrestia vecchia, con quelle figure abozzate, come si è detto, che a guardarle pare veramente che siano vive e si muovine. Onde di costui si può dire che tanto lavorasse col giudizio, quanto con le mani, atteso che molte cose si lavorano e paiono belle nelle stanze dove son fatte, che poi cavate di quivi e messe in un altro luogo et a un altro lume, o più alto, fanno varia veduta, e riescono il contrario di quello che parevano; là dove Donato faceva le sue figure, di maniera che nella stanza dove lavorava non apparivano la metà di quello che elle riuscivano migliori ne' luoghi dove eli'erano poste.
Nella sagrestia nuova, pur di quella chiesa, fece il disegno di que fanciulli che tengono i festoni che girano intorno al fregio, e così il disegno delle figure, che si feciono nel vetro dell'occhio che è sotto la cupola, cioè quello dove è l'incoronazione di Nostra Donna, il quale disegno è tanto migliore di quelli che sono negl'altri occhi, quanto manifestamente si vede.
A San Michele in Orto di detta città, lavorò di marmo, per l'Arte de' Beccai, la statua del San Piero, che vi si vede figura savissima e mirabile; e per l'Arte de' Linaiuoli il San Marco Evangelista, il quale avendo egli tolto a fare insieme con Filippo Brunelleschi finì poi da sé, essendosi così Filippo contentato. Questa figura fu da Donatelle con tanto giudizio lavorata, che essendo in terra non conosciuta la bontà sua da chi non aveva giudizio, fu per non essere dai Consoli di quell'Arte lasciata porre in opera; per il che disse Donato che gli lasciassero metterla su, che voleva mostrare, lavorandovi attorno, che un'altra figura e non più quella ritornerebbe. E così fatto, la turò per quindici giorni, senza altrimenti averla tocca, la scoperse, riempiendo di maraviglia ognuno.
All'Arte de' Corazzai fece una figura di S. Giorgio armato, vivissima; nella testa della quale si conosce la bellezza nella gioventù, l'animo et il valore nelle armi, una vivacità fieramente terribile et un maraviglioso gesto di muoversi dentro a quel sasso. E certo nelle figure moderne non s'è veduta ancora tanta vivacità, ne tanto spirito in marmo, quanto la natura e l'arte operò con la mano di Donato in questa.
E nel basamento che regge il tabernacolo di quella, lavorò di marmo in basso rilievo, quando egli amazza il serpente, ove è un cavallo molto stimato e molto lodato.
Nel frontispizio fece di basso rilievo mezzo un Dio Padre, e dirimpetto alla chiesa di detto oratorio, lavorò di marmo e con l'ordine antico detto corinzio, fuori d'ogni maniera tedesca, il tabernacolo per la Mercatanzia per collocare in esso due statue, le quali non volle fare perché non fu d'accordo del prezzo. Queste figure, dopo la morte sua, fece di bronzo, come si dirà, Andrea del Verrochio.
Lavorò di marmo, nella facciata dinanzi del Campanile di S. Maria del Fiore, quattro figure di braccia cinque, delle quali due, ritratte dal naturale, sono nel mezzo, l'una è Francesco Sederini giovane, e l'altra Giovanni di Barduccio Cherichini, oggi nominato il Zuccone. La quale per essere tenuta cosa rarissima e bella quanto nessuna che facesse mai, soleva Donato, quando voleva giurare, sì che si gli credesse, dire: «Alla fé' ch'io porto al mio Zuccone», e mentre che lo lavorava, guardandolo tuttavia gli diceva: «Favella, favella, che ti venga il cacasangue!».
E da la parte di verso la canonica, sopra la porta del campanile, fece uno Abraam che vuole sacrificare Isaac, et un altro profeta, le quali figure furono poste in mezzo a due altre statue.
Fece per la Signoria di quella città un getto di metallo, che fu locato in piazza in un arco della loggia loro, et è Giudit che ad Oloferne taglia la testa, opera di grande eccellenza e magisterio, la quale, a chi considera la semplicità del difuori, nell'abito e nello aspetto di Giudit, manifestamente scuopre nel didentro l'animo grande di quella donna e lo aiuto di Dio, sì come nell'aria di esso Oloferne, il vino et il sonno e la morte nelle sue membra, che per avere perduti gli spiriti si dimostrano fredde e cascanti. Questa fu da Donato talmente condotta, che il getto venne sottile e bellissimo, et appresso fu rinetta tanto bene, che maraviglia grandisima è a vederla. Similmente il basamento, ch'è un balaustro di granito con semplice ordine, si dimostra ripieno di grazia et a gli occhi grato in aspetto. E sì di questa opra si sodisfece, che volle, il che non aveva fatto nell'altre, porvi il nome suo, come si vede in quelle parole: Donatelli opus. Trovasi di bronzo, nel cortile del palazzo di detti signori, un David ignudo quanto il vivo, ch'a Golia ha troncato la testa, et alzando un piede, sopra esso lo posa, 'et ha nella destra una spada. La quale figura è tanto naturale nella vivacità e nella morbidezza che impossibile pare agli artefici che ella non sia formata sopra il vivo. Stava già questa statua nel cortile di casa Medici, e per lo essilio di Cosimo in detto luogo fu portata. Oggi il duca Cosimo, avendo fatto dove era questa statua una fonte, la fece levare, e si serba per un altro cortile, che grandissimo disegna fare dalla parte di dietro del palazzo, cioè dove già stavano i leoni.
E posto ancora nella sala dove è Formolo di Lorenzo della Volpaia, da la mano sinistra, un David di marmo bellissimo, che tiene fra le gambe la testa morta di Golia sotto i piedi, e la tromba ha in mano, con la quale l'ha percosso.
In casa Medici, nel primo cortile, sono otto tondi di marmo, dove sono ritratti cammei antichi e rovesci di medaglie et alcune storie fatte da lui molto belle, quali sono murati nel fregio, fra le finestre e l'architrave, sopra gli archi delle logge. Slmilmente la restaurazione d'un Marsia di marmo bianco antico, posto all'uscio del giardino, et una infinità di teste antiche poste sopra le porte, restaurate e da lui acconce con ornamenti d'ali e di diamanti, impresa di Cosimo, a stucchi benissimo lavorati. Fece di granito un bellissimo vaso che gettava acqua; et al giardino de' Pazzi in Fiorenza, un altro simile ne lavorò che medesimamente getta acqua.
Sono in detto palazzo de' Medici Madonne di marmo e di bronzi di basso rilievo, et altre storie di marmi, di figure bellissime e di schiacciato rilievo maravigliose. E fu tanto l'amore che Cosimo portò alla virtù di Donato, che di continuo lo faceva lavorar; et allo incontro ebbe tanto amore verso Cosimo Donato ch'ad ogni minimo suo cenno indovinava tutto quel che voleva, e di continuo lo ubbidiva.
Dicesi che un mercante genovese fece fare a Donato una testa di bronzo quanto il vivo, bellissima, e per portarla lontano sottilissima, e che per mezzo di Cosimo tale opra gli fu allogata. Finitala adunque, volendo il mercante sodisfarlo, gli parve che Donato troppo ne chiedesse, per che fu rimesso in Cosimo il mercato, il quale, fattala portare in sul cortile disopra di quel palazzo, la fece porre fra i merli che guardano sopra la strada, perché meglio si vedesse. Cosimo dunque, volendo accomodare la differenza, trovò il mercante molto lontano da la chiesta di Donato; per che, voltatesi, disse ch'era troppo poco. Laonde il mercante, parendogli troppo, diceva che in un mese o poco più lavorata l'aveva Donato, e che gli toccava più d'un mezzo fiorino per giorno. Si volse allora Donato con collera, parendogli d'essere offeso troppo, e disse al mercante che in un centesimo d'ora averebbe saputo guastare la fatica e '1 valore d'uno anno; e dato d'urto alla testa, subito su la strada la fece minare, della quale se ne fer molti pezzi, dicendogli che ben mostrava d'essere uso a mercatar fagiuoli e non statue. Per che egli pentitesi, gli volle dare il doppio più, perché la rifacesse, e Donato non volle per sue promesse, ne per prieghi di Cosimo, rifarla già mai.
Sono nelle case de' Martelli di molte storie di marmo e di bronzo, et infra gli altri, un David di braccia tré, e molte altre cose da lui, in fede della servitù e dell'amore ch'a tal famiglia portava, donate liberalissimamente; e particularmente un S. Giovanni tutto tondo di marmo, finito da lui, di tré braccia d'altezza, cosa rarissima oggi in casa gli eredi di Ruberto Martelli, del quale fu fatto un fìdeicommisso, che ne impegnare ne vendere ne donare si potesse, senza gran pregiudizio per testimonio e fede delle carezze usate da loro a Donato, e da esso a loro in riconoscimento de la virtù sua, la quale per la protezzione e per il comodo avuto da loro aveva imparata. Fece ancora, e fu mandata a Napoli, una sepoltura di marmo per uno arcivescovo, che è in S. Angelo di Seggio di Nido, nella quale son tré figure tonde, che la cassa del morto con la testa sostengono, e nel corpo della cassa è una storia di basso rilievo sì bella, che infinite lode se le convengono. Et in casa del Conte di Maialone, nella città medesima, è una testa di cavallo di mano di Donato tanto bella che molti la credono antica.
Lavorò nel castello di Prato il pergamo di marmo dove si mostra la cintola, nello spartimento del quale un ballo di fanciulli intagliò sì belli e sì mirabili che si può dire che non meno mostrasse la perfezzione dell'arte in questo che e' si facesse nelle altre cose. Di più fece, per reggimento di detta opera, due capitelli di bronzo, uno dei quali vi è ancora, e l'altro dagli Spagnuoli, che quella terra misero a sacco, fu portato via.
Avvenne che in quel tempo la Signoria di Vinegia, sentendo la fama sua, mandò per lui acciò che facesse la memoria di Gattamelata nella città di Padova, onde egli vi andò ben volentieri, e fece il cavallo di bronzo che è in sulla piazza di S. Antonio; nel quale si dimostra lo sbuffamento et il fremito del cavallo et il grande animo e la fierezza vivacissimamente espressa dalla arte nella figura che lo cavalca. E dimostrossi Donato tanto mirabile nella grandezza del getto in proporzioni et in bontà, che veramente si può aguagliare a ogni antico artefice, in movenza, disegno, arte, proporzione e diligenza. Perché non solo fece stupire allora que' che lo videro, ma ogni persona che al presente lo vede. Per la qual cosa cercarono i Padovani con ogni via di farlo lor cittadino, e con ogni sorte di carezze fermarlo.
E per intrattenerlo gli allogarono a la chiesa de' Frati Minori, nella predella dello aitar maggiore, le istorie di S. Antonio da Padova, le quali sono di basso rilievo e talmente con giudicio condotte, che gli uomini eccellenti di quell'arte ne restano maravigliati e stupiti; considerando in esse i belli e variati componimenti, con tanta copia di stravaganti figure e prospettive diminuiti. Slmilmente nel dossale dello altare, fece bellissime le Marie che piangono il Cristo morto. Et in casa d'un de'conti Capo di Lista, lavorò una ossatura d'un cavallo di legname che senza collo ancora oggi si vede, nella quale le commettiture sono con tanto ordine fabbricate che chi considera il modo di tale opera giudica il capriccio del suo cervello e la grandezza dello animo di quello.
In un monastero di monache fece un S. Sebastiano di legno, a' preghi d'un capellano loro amico e domestico suo, che era fiorentino; il quale gliene portò uno che elle avevano vecchio e goffo, pregandolo che e' lo dovesse fare come quello. Per la qual cosa, sforzandosi Donato di imitarlo per contentare il capellano e le monache, non potè far sì che, ancora che quello che goffo era, imitato avesse, non facesse nel suo la bontà e l'artificio usato. In compagnia di questo, molte altre figure di terra e di stucco fece; e di un cantone d'un pezzo di marmo vecchio, che le dette monache in un loro orto avevano, ricavò una molto bella Nostra Donna.
E slmilmente per tutta quella città sono opre di lui infinitissime. Onde, essendo per miracolo quivi tenuto e da ogni intelligente lodato, si deliberò di voler tornare a Fiorenza, dicendo che se più stato vi fosse, tutto quello che sapeva dimenticato s'averebbe, essendovi tanto lodato da ognuno; e che volentieri nella sua patria tornava, per esser poi colà di continuo biasimato; il quale biasmo gli dava cagione di studio, e consequentemente di gloria maggiore.
Per il che, di Padova partitesi, nel suo ritorno a Vinegia per memoria della bontà sua, lasciò in dono alla nazione fiorentina per la oro cappella ne' Frati Minori, un S. Giovan Batista di legno, lavorato da lui con diligenza e studio grandissimo.
Nella città di Faenza lavorò di legname un S. Giovanni et un S. Girolamo, non punto meno stimati che l'altre cose sue. Appresso, ritornatesene in Toscana, fece nella Pieve di Monte Pulciano una sepoltura di marmo con una bellissima storia, et in Fiorenza, nella sagrestia di S. Lorenzo un lavamani di marmo, nel quale lavorò parimente Andrea Verrocchio.
Et in casa di Lorenzo della Stuffa fece teste e figure molto pronte e vivaci.
Partitesi poi da Fiorenza, a Roma si trasferì, per cercar d'imitare le cose degli antichi più che potè, e quelle studiando, lavorò di pietra in quel tempo un tabernacolo del Sacramento che oggidì si truova in S. Pietro.
Ritornando a Fiorenza, e da Siena passando, tolse a fare una porta di bronzo per il batistero di S. Giovanni, et avendo fatto il modello di legno e le forme di cera quasi tutte finite, et a buon termine con la cappa condottele per gittarle, vi capitò Bernardetto di Mona Papera orafo fiorentino, amico e domestico suo, il quale, tornando da Roma, seppe tanto fare e dire che, o per sue bisogne, o per altra cagione, ricondusse Donato a Firenze, onde quell'opera rimase imperfetta, anzi non cominciata.
Solo resto, nell'opera del Duomo di quella città, di sua mano, un S. Giovanni Battista di metallo, al quale manca il braccio destro dal gomito in su, e ciò si dice avere fatto Donato per non essere stato sodisfatto dell'intero pagamento.
Tornato dunque a Firenze, lavorò a Cosimo de' Medici, in S. Lorenzo, la sagrestia di stucco, cioè ne' peducci della volta quattro tondi co' campi di prospettiva, parte dipinti e parte di bassi rilievi di storie degl'Evangelisti. Et in detto luogo fece due porticelle di bronzo di basso rilievo bellissime, con gli Apostoli, co' martiri e' confessori; e sopra quelle alcune nicchie piane, dentrovi nell'una un San Lorenzo et un S. Stefano; e nell'altra S. Cosimo e Damiano. Nella crociera della chiesa lavorò di stucco quattro santi di braccia cinque l'uno, i quali praticamente sono lavorati.
Ordinò ancora i pergami di bronzo dentrovi la passion di Cristo; cosa che ha in sé disegno, forza, invenzione et abbondanza di figure e casamenti, quali non potendo egli per vecchiezza lavorare, finì Bertoldo suo creato et a ultima perfezzione li ridusse.
A Santa Maria del Fiore fece due colossi di mattoni e di stucco, i quali sono fuora della chiesa, posti in sui canti delle cappelle per ornamento. Sopra la porta di Santa Croce si vede ancor oggi, finito di suo, un San Lodovico di bronzo di cinque braccia, del quale, essendo incolpato che fosse goffo e forse la manco buona cosa che avesse fatto mai, rispose che a bello studio tale l'aveva fatto, essendo egli stato un goffo a lasciare il reame per farsi frate. Fece il medesimo la testa della moglie del detto Cosimo de' Medici, di bronzo, la quale si serba nella guardaroba del signor duca Cosimo, dove sono molte altre cose di bronzo e di marmo, di mano di Donato; e fra l'altre, una Nostra Donna col Figliuolo in braccio, dentro nel marmo di schiacciato rilievo de la quale non è possibile vedere cosa più bella: e massimamente avendo un fornimento intorno, di storie fatte di minio da fra' Bartolomeo che sono mirabili, come si dirà al suo luogo.
Di bronzo ha il detto signor duca, di mano di Donato, un bellissimo, anzi miracoloso Crucifìsso, nel suo studio dove sono infinite anticaglie rare e medaglie bellissime. Nella medesima guardaroba è in un quadro di bronzo di basso rilievo, la Passione di Nostro Signore con gran numero di figure; et in un altro quadro pur di metallo, un'altra Crucifissione. Slmilmente in casa degli eredi di lacopo Caponi, che fu ottimo cittadino e vero gentiluomo, è un quadro di Nostra Donna di mezzo rilievo nel marmo, che è tenuto cosa rarissima.
Messer Antonio de' Nobili ancora, il quale fu depositario di sua eccellenza, aveva in casa un quadro di marmo, di mano di Donato, nel quale è di basso rilievo una mezza Nostra Donna tanto bella, che detto Messer Antonio la stimava quanto tutto l'aver suo. Ne meno fa Giulio suo figliuolo, giovane di singolar bontà e giudizio et amator de' virtuosi e di tutti gl'uomini eccellenti. In casa ancora di Giovambatista d'Agnolo Doni, gentiluomo fiorentino, è un Mercurio di metallo, di mano di Donato, alto un braccio e mezzo, tutto tondo, e vestito in un certo modo bizzarro, il quale è veramente bellissimo e non men raro che l'altre cose che adornano la sua bellissima casa.
Ha Bartolomeo Gondi, del quale si è ragionato nella vita di Giotto, una Nostra Donna di mezzo rilievo fatta da Donato con tanto amore e diligenza, che non è possibile veder meglio, ne imaginarsi come Donato scherzasse nell'acconciatura del capo e nella leggiadria dell'abito, ch'ell'ha indosso. Parimente Messer Lelio Torelli, primo auditore e segretario del signor duca, e non meno amator di tutte le scienze, virtù e professioni onorate, che eccellentissimo iurisconsulto, ha un quadro di Nostra Donna di marmo, di mano dello stesso Donatelle. Del quale chi volesse pienamente raccontare la vita, l'opere che fece, sarebbe troppo più lunga storia che non è di nostra intenzione nello scrivere le Vite de' nostri artefici; perciò che, non che nelle cose grandi delle quali si è detto a bastanza, ma ancora a menomissime cose dell'arte pose la mano, facendo arme di casate ne' camini e nelle facciate delle case de' cittadini come si può vederne una bellissima, nella casa [de' Sommai] che è dirimpetto al tomaio della Vacca. Fece anco, per la famiglia de' Martelli, una cassa a uso di zana fatta di vimini, perché servisse per sepoltura; ma è sotto la chiesa di San Lorenzo, perché di sopra non appariscono sepolture di nessuna sorte, se non l'epitaffio di quella di Cosimo de' Medici che nondimeno ha la sua apritura di sotto come l'altre. Dicesi che Simone fratello di Donato, avendo lavorato il modello della sepoltura di papa Martino Quinto, mandò per Donato, che la vedesse inanzi che la gettasse. Onde andando Donato a Roma, vi si trovò appunto quando vi era Gismondo imperatore per ricevere la corona da papa Eugenio Quarto; per che fu forzato, in compagnia di Simone, adoperarsi in fare l'onoratissimo apparato di quella festa, nel che si acquistò fama et onore grandissimo.
Nella guardaroba ancora del signor Guidobaldo, duca d'Urbino, è di mano del medesimo una testa di marmo bellissima, e si stima che fusse data agli antecessori di detto duca dal Magnifico Giuliano de' Medici, quando si tratteneva in quella corte piena di virtuosissimi signori. Insomma Donato tu tale e tanto mirabile in ogni azzione, che e' si può dire che in pratica in giudizio et in sapere, sia stato de' primi a illustrare l'arte della scultura e de buon disegno ne' moderni; e tanto più merita commendazione quanto nel tempo suo le antichità non erano scoperte sopra la terra, dalle colonne i pili e gli archi trionfali in fuora. Et egli fu potissima cagione che a Cosimo de Medici si destasse la volontà dell'introdurre a Fiorenza le antichità, che sono et erano in casa Medici, le quali tutte di sua mano acconcio. Era liberalissimo, amorevole e cortese, e per gl'amici migliore che per sé medesimo; me mai stimò danari, tenendo quegli in una sporta con una fune al palco appiccati, onde ogni suo lavorante et amico pigliava il suo bisogno, senza dirgli nulla. Passò la vecchiezza allegrissimamente e venuto in decrepità, ebbe ad essere soccorso da Cosimo e da altri amici suoi, non potendo più lavorare. Dicesi che venendo Cosimo a morte lo lascio raccomandato a Piero suo figliuolo, il quale, come diligentissimo esecutore della volontà di suo padre, gli donò un podere in Cafaggiuolo di tanta rendita che e' ne poteva vivere comodamente. Di che fece Donato testa grandissima, parendoli essere con questo più che sicuro di non avere a morir di fame. Ma non lo tenne però un anno, che ritornato a Piero glielo rinunziò per contratto publico, affermando che non voleva perdere la sua quiete per pensare alla cura famigliare et alla molestia del contadino, il quale ogni terzo dì gli era intorno, quando perché il vento gli aveva scoperta la colombaia, quando perché gli erano tolte le bestie dal Commune per le gravezze, e quando per la tempesta che gli aveva tolto il vino e le frutte. Delle quali cose era tanto sazio et infastidito, che e' voleva innanzi morir di fame che avere a pensare a tante cose. Rise Piero della semplicità di Donato, e per liberarlo di questo affanno, accettato il podere che cosi volle al tutto Donato, gli assegnò in sul banco suo una provisione della medesima rendita, o più, ma in danari contanti, che ogni settimana gli erano pagati per la rata che gli toccava; del che egli sommamente si contento. E servitore et amico della casa de' Medici, visse lieto e senza pensieri tutto il restante della sua vita, ancora che conduttosi ad 85 anni si trovasse tanto parletico che e' non potesse più lavorare in maniera alcuna, e si conducesse a starsi nel letto continovamente, in una povera casetta che aveva nella via del Cocomero, vicino alle monache di San Niccolo. Dove peggiorando di giorno in giorno, e consumandosi a poco a poco, si morì il dì 15 di dicembre 1466. E fu sotterrato nella chiesa di San Lorenzo, vicino alla sepoltura di Cosimo, come egli stesso aveva ordinato, a cagione che così gli fusse vicino il corpo già morto, come vivo sempre gli era stato presso con l'animo.
Dolse infinitamente la morte sua a' cittadini, agli artefici et a chi lo conobbe vivo. Laonde, per onorarlo più nella morte che e' non avevano fatto nella vita, gli fecero essequie onoratissime nella predetta chiesa; accompagnandolo tutti i pittori, gli architetti, gli scultori, gli orefici e quasi tutto il popolo di quella città. La quale non cessò per lungo tempo di componere in sua lode varie maniere di versi in diverse lingue, de' quali a noi basta por questi soli che disotto si leggono.
Ma prima che io venga agl'epitaffii, non sarà se non bene ch'io racconti di lui ancor questo. Essendo egli amalato, poco inanzi che si morisse, l'andarono a trovare alcuni suoi parenti, e poi che l'ebbono, come s'usa, salutato e confortato, gli dissero che suo debito era lasciar loro un podere che egli aveva in quel di Prato, ancor che piccolo fusse e di pochissima rendita, e che di ciò lo pregavano strettamente. Ciò udito Donato, che in tutte le sue cose aveva del buono, disse loro: «Io non posso compiacervi, parenti miei, perché io voglio, e così mi pare ragionevole, lasciarlo al contadino che l'ha sempre lavorato e vi ha durato fatica; e non a voi, che senza avergli mai fatto utile nessuno, ne altro che pensar d'averlo, vorreste con questa vostra visita che io ve lo lasciassi; andate, che siate benedetti».
E in verità così fatti parenti, che non hanno amore se non quanto è l'utile o la speranza di quello, si deono in questa guisa trattare. Fatto dunque venire il notaio, lasciò il detto podere al lavoratore che sempre l'aveva lavorato, e che forse nelle bisogne sue si era meglio, che que' parenti fatto non avevano, verso di sé portato. Le cose dell'arte lasciò ai suoi discepoli, i quali furono: Bertoldo scultore fiorentino, che l'imitò assai, come si può vedere in una battaglia in bronzo d'uomini a cavallo, molto bella, la quale è oggi un guardaroba del signor duca Cosimo, Nanni d'Antón di Banco, che morì inanzi a lui, il Rossellino, Disiderio e Vellano da Padoa. Et insomma dopo la morte di lui si può dire che suo discepolo sia stato chiunche ha voluto far bene di rilievo. Nel disegnar fu risoluto, e fece i suoi disegni con sì fatta pratica e fierezza, che non hanno pari, come si può vedere nel nostro libro, dove ho di sua mano disegnate figure vestite e nude, animali, che fanno stupire chi gli vede et altre così fatte cose bellissime. Il ritratto suo fu fatto da Paulo Ucelli, come si è detto nella sua vita. Gl'epitaffìi son questi:
Sculptura H. M. a Florentinis fieri voluit Donatelle, utpote homini, qui ei, quod jam diu optimis artifìcibus multisque saeculis, tum nobilitatis tum nominis acquisitum fuerat, iniriave tempor. perdiderat ipsa, ipse unus una vita infinitisque operibus cumulatiss. restituerit, et patriae benemerenti huius restitutae virtutis palmam reportarit.
Excudit nemo spirantia mollius aera:
vera cano: cernes marmora viva loqui.
Graecorum sileat prisca admirabilis aetas
compendibus statuas continuisse Rhodon.
Nectere namque magis fuerant haec vincula digna
istius egregias artificis statuas.
Quanto con dotta mano alla scultura
già fecer molti, or sol Donato ha fatto:
renduto ha vita a' marmi, affetto et atto:
che più, se non parlar, può dar natura?
Delle opere di costui restò così pieno il mondo, che bene si può affermare con verità nessuno artefice aver mai lavorato più di lui. Imperò che, dilettandosi d'ogni cosa, a tutte le cose mise le mani, senza guardare che elle fossero o vili o di pregio. E fu nientedimanco necessarissimo alla scultura il tanto operare di Donato in qualunque spezie di figure tonde, mezze, basse e bassissime; per che sì come ne' tempi buoni degli antichi Greci e Romani, i molti la fecero venir perfetta, così egli solo con la moltitudine delle opere, la fece ritornare perfetta e maravigliosa nel secol nostro. Laonde gli artefici debbono riconoscere la grandezza della arte, più da costui che da quaiunche altro che sia nato modernamente, avendo egli oltra il facilitare le difficultà della arte, con la copia delle opre sue congiunto insieme la invenzione, il disegno, la pratica, il giudizio et ogni altra parte, che da un ingegno divino si possa o debbia mai aspettare. Fu Donato resolutissimo e presto, e con somma facilità condusse tutte le cose sue, et operò sempremai assai più di quello che e' promise.
Rimase a Bertoldo, suo creato, ogni suo lavoro; e massimamente i pergami di bronzo di S. Lorenzo che da lui furono poi rinetti la maggior parte, e condotti a quel termine che e' si veggono in detta chiesa.
Non tacerò che avendo il dottissimo e molto reverendo don Vincenzio Borghini, del quale si è di sopra ad altro proposito ragionato, messo insieme in un gran libro infiniti disegni d'eccellenti pittori e scultori, così antichi come moderni, egli in due carte, dirimpetto l'una all'altra, dove sono disegni di mano di Donato e di Michelagnolo Bonarroti, ha fatto nell'ornamento, con molto giudizio, questi due motti greci: a Donato: (...) et a Michelagnolo, (...) in latino suonano:
Aut Donatus Bonarrotum exprìmit et refert, aut Bonarrotus Donatum.
E nella nostra lingua:
O lo spirito di Donato opera nel Buonarroto, o quello di Buonarroto antecipò di operare in Donato.
1386 Donatello, con il nome di Donato nasce a Firenze. Il padre è Nicolò di Betto Bardi, cardatore di lana e la madre si chiama Orsa.
1402-04 E'probabile un suo viaggio a Roma con l'amico Brunelleschi
1403 Da questa data risulta tra gli aiuti di Ghiberti per i lavori alla seconda porta del Battistero di Firenze
1406 E' documentato un pagamento per un Profeta in Marmo realizzato per la Porta della Mandorla in Santa Maria del Fiore a Firenze.
1407 Esce dalla bottega di Ghiberti.
1408 Scolpisce il David in marmo per la tribuna di Santa Maria del Fiore, prima opera sicura dell'artista.
1412 Risulta immatricolato nell'albo professionale a Firenze come orafo e scarpellatore
1419 Collabora con Brunelleschi e Nanni di Banco alla realizzazione del modello in mattoni per la Cupola di Santa Maria del Fiore
1423 Riceve una commissione esterna, da Orvieto per un San Giovanni metallico destinato al Fonte battesimale del Duomo. L'opera è scomparsa.
1425 Per affrontare le nuove richieste e organizzare meglio il lavoro,entra in società con Michelozzo e divide con lui una bottega in corso degli Adinari, vicino al Duomo.
- Nello stesso anno esegue il Festino di Erode per il Fonte battesimale del Battistero di Siena
1426 Da questo momento Donatello incomincia a lavorare per i Medici a Firenze.
1426-27 Si reca a Pisa per fare da testimone ai pagamenti del suo amico Masaccio.
- In questo stesso periodo spedisce a Napoli il Monumento del Cardinale Brancacci.
1428 Donatello porta avanti i lavori per Siena. Intanto stipula il contratto per il Pulpito di Prato; il lavoro sarà consegnato nel 1438.
1430 Insieme a Brunelleschi, Michelozzo e Ghiberti lavora al consolidamento delle strutture difensive del campo fiorentino contro Lucca.
1432-33 Donatello è per la seconda volta a Roma, insieme a Michelozzo ed esegue il Tabernacolo del Sacramento nella Basilica di San Pietro.
1433 Di nuovo a Firenze, inizia a lavorare alla splendida Cantoria per Santa Maria del Fiore. Il suo stile si arricchisce dei nuovi spunti classici assimilati nel soggiorno romano.
1434 Riceve da Cosimo de' Medici l'incarico di decorare la Sagrestia Vecchia di San Lorenzo con rilievi in bronzo e in stucco. Finirà il lavoro nel 1443.
1438 Porta a termine il Pulpito di Prato.
1439 Finisce la Cantoria di Santa Maria del Fiore. Oggi l'opera si trova esposta al Museo dell'Opera del Duomo di Firenze.
1443 Finisce il lavoro della decorazione della Sagrestia Vecchia di San Lorenzo a Firenze.
- Nello stesso annosi trasferisce a Padova, dove rimane per un decennio, fino al 1453; qui riceve importanti commissioni per la Basilica di Sant'Antonio e il Monumento equestre al Gattamelata nella piazza antistante.
1444 E' documentato l'incarico per il Crocifisso di bronzo della Basilica di Sant'Antonio. L'opera verrà terminata nel 1453.
1447 Sono documentati i pagamenti per il Monumento al Gattamelata.
1450-51 Donatello riceve nuovi incarichi che lo portano a spostarsi: a Mantova, a Ferrara, a Venezia, ed a Modena, ma non tutti potranno essere realizzati. A Modena riceve la commissione per una statua del Duca Borso d'Este.
1453 Viene ritenuta probabile la data dell'esecuzione della statua in legno di San Giovanni Battista per Santa Maria dei Frari di Venezia.
1456 Donatello si trova a Firenze per realizzare la Maddalena destinata al Battistero.
1457 E' a Siena, dove si ferma per lavorare ai modelli delle Porte del Duomo.
1457-66 Donatello trascorre gli ultimi nove anni di vita a Firenze in una modesta casa in via del Cocomero, vicino al Duomo.
1461 In un documento del 6 marzo lo scultore risulta a Siena. A Firenze è impegnato nella fusione in bronzo della Giuditta e dei Pulpiti di San
Lorenzo.
1466 Muore il 13 dicembre in difficili condizioni economiche. Viene sepolto nella Basilica di San Lorenzo.
A. Cocchi
Donatello
Mappa sintetica con riferimenti alle opere principali dell'artista. Autore: A. Cocchi
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Donatello è stato uno dei più grandi scultori di tutti i tempi, ammirato anche da Michelangelo, sapeva lavorare su qualsiasi materiale ottenendo sempre risultati eccellenti. La mappa concettuale di Geometrie fluide, in uno schema chiaro e di facile comprensione, permette di imparare con facilità gli aspetti essenziali della vita e delle opere principali di questo artista, seguendo il corso della sua lunga evoluzione stilistica.
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La mappa riassume l'arte del Quattrocento nei suoi aspetti principali. In modo chiaro e di facile comprensione sono esposti i concetti fondamentali sullo stile, i protagonisti e il contesto storico e culturale.
I principi fondamentali della prospettiva di Filippo Brunelleschi sono illustrati in modo chiaro su questa mappa di Geometrie fluide. Esempi e immagini aiutano a facilitare la comprensione.
Lo Spedale degli Innocenti è un importante modello di architettura rinascimentale. Per capire e imparare senza fatica gli aspetti architettonici del monumento di Brunelleschi, il Riassunto di Geometrie fluide mette a fuoco i concetti fondamentali in modo chiaro con brevi spiegazioni, esempi e immagini.
La scultura gotica è spiegata nelle caratteristiche dello stile e attraverso i maggiori protagonisti. La mappa offre esempi e immagini di opere con indicazioni chiare, sintetiche e complete.
Le caratteristiche dello stile gotico in Italia nei principali esempi di architettura, pittura e scultura. Il linguaggio chiaro e gli esempi, accompagnati dalle immagini facilitano la comprensione e l'apprendimento.
Le città del Rinascimento.
Mappa sintetica sull'urbanistica e la città ideale nel Rinascimento. Caratteristiche, funzioni e soluzioni. Autore: A. Cocchi
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Nel Rinascimento l'ambiente urbano è concepito come luogo ideale in cui si realizza un armonico rapporto tra uomo e spazio. A questi ideali si conformano i progetti urbanistici di Ferrara, Urbino e Pienza. La Mappa concettuale di Geometrie fluide spiega in modo chiarro le caratteritiche e gli esempi più importanti della città ideale del Rinascimento.
Leon Battista Alberti.
Mappa sintetica con cenni sulla vita e sintesi sulle opere principali. Autore: A. Cocchi
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Sull'opera di Leon Battista Alberti, artista e intellettuale tra i più completi del Rinascimento, la mappa concettuale proposta da Geometrie fluide offre una sintesi chiara e completa. Gli esempi dei monumenti principali sono accompagnati da immagini e brevi spiegazioni.
Filippo Brunelleschi
Mappa sintetica con riferimenti alla carriera artistica ed esempi di opere.Autore: A. Cocchi
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La Mappa di Geometrie fluide spiega in sintesi la vita, le invenzioni e le principali opere architettoniche di Filippo Brunelleschi, protagonista assoluto del Rinascimento. La chiara forma schematica, le immagini e gli esempi facilitano la comprensione e lo studio.
Il palazzo signorile nel '400.
Mappa concettuale con caratteristiche, esempi e funzioni sul Palazzo signorile nel '400.
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Nel XV secolo, grazie all'opera di Leon Battista Alberti e Michelozzo Michelozzi si definisce la tipologia del palazzo signorile. La mappa concettuale di Geometrie fluide spiega in modo chiaro e sintetico le caratteristiche, le funzioni e le esigenze a cui doveva rispondere la dimora dei signori rinascimentali. Gli esempi e lo schema ordinato permettono di imparare senza fatica.
La Bottega d'Arte Medievale. Mappa concettuale
Mappa concettuale con caratteristiche, organizzazione, funzioni, ruoli della bottega d'arte medievale. Autore A. Cocchi
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Come funzionavano le botteghe d'arte nel Medioevo? Quali erano i risvolti economici e sociali di queste antiche officine artistiche? La mappa concettuale di Geometrie fluide spiega in modo semplice e chiaro l'organizzazione, le funzioni e i ruoli di queste importanti realtà produttive e artistiche.
L.Berti, A. Cecchi, A. Natali. Donatello. Dossier Art n. 3. Giunti Firenze, 1986
C. Avery L'invenzione dell'umano.Introduzione a Donatello. S.E.S. s.r..l. La casa Usher, Firenze 1986
AAVV Omaggio a Donatello1386-1986. Catalogo del Museo Nazionale del Bargello. S.P.E.S. , Firenze, 1986
AA.VV. Moduli di Arte. Dal Rinascimento maturo al rococò. Electa Bruno Mondadori, Roma 2000
A. Blunt Le teorie artistiche in Italia dal Rinascimento al Manierismo. Piccola Biblioteca Einaudi, Giulio Einaudi Editore, Torino 1966
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P. Murray L'architettura del Rinascimento italiano. Editori Laterza, Bari, 1987
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R. Wittkower Princìpi architettonici nell'età dell'umanesimo. Giulio Einaudi editore, Torino 1964