Nei dipinti di Giorgio De chirico si respira il tempo lento e solenne in cui ogni cosa è immobile ed eterna, una dimensione dove si perde ogni riferimento di tempo e di luogo.
Giorgio de Chirico (il cui nome d'origine è Josef Maria Albertus Georgius De Chirico) Nacque a Volos, in Grecia, il 10 luglio 1888.
Il padre dell'artista, il barone Evaristo De Chirico, era un ingegnere e fu tra i primi costruttori della rete ferroviaria che collegava la Grecia alla Bulgaria; la madre Gemma Cervetto era una nobile genovese.
Tre anni dopo la sua nascita morì la sorella maggiore Adelaide e nacque e il suo unico fratello, Andrea Alberto, anche lui diventerà un artista, conosciuto con lo pseudonimo di Alberto Savinio.
La sua passione per l'arte iniziò fin dall'infanzia e dopo alcuni studi specifici compiuti privatamente, nel 1900 si iscrisse al Politecnico di Atene dove studiò disegno per quattro anni. La sua formazione artistica si deve soprattutto al professor Georges Jacobidis, affermato ritrattista e docente di disegno del Politecnico di Atene, grazie al quale, a partire dal 1903 avvenne il primo approccio di De Chirico con la pittura e le tecniche artistiche.
Nel 1905 il giovane Giorgio però dovette cessare gli studi in virtù della prematura morte del padre e della conseguente scelta della madre di partire per l'Italia lasciando per sempre la Grecia.
Tra il 1904-5 la sua famiglia si era trasferita a Firenze e il sedicenne De Cirico avvertì l'importanza dell'arte fiorentina e degli studi all'Accademia di belle Arti.
Il completamento della fase artistico-formativa avvenne però a Monaco di Baviera dal 1906 e il 1908, anni in cui l'artista diciottenne si iscrisse all'Accademia di Belle Arti di Monaco. Furono momenti di intensa produzione e studio diretto delle opere di Arnold Bockling, Klinger e altri simbolisti tedeschi; più di tutti Bockling fu colui che lo condizionò i misura maggiore.
Si interessò anche di filosofia dedicandosi alla lettura degli scritti di Schopenhauer, Nietzsche e Weininger.
Terminata l'Accademia, la città di Monaco non lo soddisfaceva più e dopo aver soggiornato sul lago di Garda e a Milano tra il 1901 il 1909, nel 1910, insieme al fratello, scelse di completare i suoi studi artistici a Firenze, città d'eccellenza dell'arte italiana.
In questo momento l'artista attraversò una crisi depressiva, ma la città che considerava un'ideale culla dell'arte gli infuse nell'animo un sentimento così enigmatico sino ad allora mai provato che volle imprimere sulla tela. Non a caso dopo aver visitato la piazza di Santa Croce dipinse una delle sue opere più celebri: l'Enigma di un pomeriggio d'autunno. Con essa l'artista aprì una nuova fase, precisando che il suo momento cosiddetto “bockliniano” era ormai cessato per far spazio ad un nuovo periodo, assai più complesso e meditativo.
Le scene mitologiche e i rimandi al mondo classico tipici della sua prima fase vennero sostituite da architetture, statue e piazze abbandonate.
Manca totalmente la figura umana, mentre sculture innalzate su podi rinviano a quella nostalgia per la patria che De Chirico non supererà mai.
Nei suoi dipinti si respira il tempo lento e solenne in cui ogni cosa è immobile ed eterna, una dimensione dove si perde ogni riferimento di tempo e di luogo. Un mondo suggestivo e surreale. La luce che si abbatte sulle architetture provoca ombre nette e decise che in alcuni casi dominano la scena. I colori puri e brillanti scandiscono i confini tra un oggetto e l'altro mentre una sottile linea di contorno nera tende ad isolare ogni figura.
De Chirico arrivò a concepire tutto ciò grazie allo studio del filosofo Nietzsche.
A cavallo tra il 1912 e il 1913 finalmente ottenne il successo e la fama, iniziò ad essere riconosciuto attraverso l'invenzione dei cosiddetti manichini, uno dei tratti peculiari della sua arte. I manichini di De Chirico sono delle vere e proprie icone, protagonisti della scena; hanno connotati umani e sembrano provare sensazioni ed emozioni proprio come gli uomini.
Dopo un viaggio a Roma e a Torino, nel 1911 insieme alla madre raggiunse il fratello a Parigi.
L'anno successivo rientrò a Torino perché chiamato al servizio militare, ma l'artista fuggì dalla caserma dopo pochi giorni per tornare a Parigi.
La straordinaria espressività dei suoi dipinti fece sì che gli amici Apollinaire e Pierre Lapraide convinsero l'artista di esporre al Salon d'Automne; fu in quella occasione che poté incontrare artisti di grande calibro quali Picasso, Derain, Brancusi e Braque.
Quegli anni che De Chirico considerava migliori, nei quali pensava di aver raggiunto un punto di arrivo e di quiete, vennero soppiantati ancora una volta da una realtà assai cruda: lo scoppio della prima guerra mondiale. Ritornò in Italia per presentarsi al comando militare come volontario insieme a suo fratello: così Giorgio venne inviato a Ferrara.
La città di Ferrara con la sua particolare atmosfera maturò in lui una nuova situazione interiore e un rinnovato processo espressivo. Lo scenario di questa città suggerì a De Chirico un sentimento malinconico scaturito dall'alternarsi delle vedute di piazze, castelli e palazzi medievali. Conseguenza diretta di questo coinvolgimento furono nuove opere: nature morte con simboli geometrici ed oggetti casuali che non hanno alcun nesso logico tra loro.
Gli anni della guerra segnarono de Chirico con una nuova crisi depressiva, ma furono anche gli anni in cui i due fratelli stabilirono contatti con Soffici, Papini e con il mercante e collezionista francese Guillame, conosciuto a Parigi; entrò in scena la personalità di Carlo Carrà che sino ad allora si era cimentato con l'avanguardia futurista. I due si erano già conosciuti durante la loro convalescenza presso l'ospedale neurologico Villa del Seminario vicino Ferrara e in quella sede avevano cominciato a lavorare insieme. De Chirico e Carrà furono appunto i maggiori esponenti della corrente artistica oggi nota come metafisica, ma i due si divisero presto. Carrà una volta ritornato a Milano non solo si appropriò del termine metafisica ed in parte anche dell'iconografia dechirichiana, infine inaugurò una mostra senza coinvolgere Giorgio che di fatto fu il vero “fondatore” della corrente. Si ricordi inoltre che Carrà era praticamente sconosciuto all'epoca e quella mostra rappresentò il suo esordio.
Nel 1918 De Chirico si trasferì a Roma con la madre, lì ammirò i capolavori di Tiziano ed altri artisti della tradizione, indirizzandosi verso la copiatura, lo studio di quei modelli e rivalutando le tecniche pittoriche rinascimentali.
L'artista si dedicò anche alla scrittura e nel 1920 vennero pubblicati importanti saggi come Sull'arte metafisica e Il ritorno al mestiere.
Alcuni anni dopo strinse stretti contatti con i surrealisti e Andrè Breton, ammirandone lo stile tipicamente metafisico e nel 1925 partecipò alla prima mostra surrealista. Sulla base delle testimonianze dell'artista sappiamo che i rapporti cessarono a causa di futili motivi commerciali, pare infatti che i surrealisti avessero investito troppo sulle opere metafisiche di Giorno.
Negli anni '20 e '30 partecipò a numerose mostre, si iscrisse anche al Partito nazionale fascista ma con la promulgazione delle leggi razziali se ne distaccò.
Si spostò a New York nel 1926, dove inaugurò la sua prima mostra personale e vi ritornò, soggiornandovi nel 1935. La metropoli statunitense gli procurò la sensazione di una nuova nascita ma anche nostalgia per la sua cara Grecia. Tuttavia la sua produzione pittorica subì un calo, non riuscì ad inserirsi nell'ambiente artistico di quegli anni
ed anche causa del crollo di Wall Street lasciò la città. Vi ritornò più volte per partecipare a diverse esposizioni, fino al 1939.
Dal 1938 in avanti si registrano continui trasferimenti dell'artista tra Parigi, Milano, Firenze, Roma e si complicarono anche le sue vicende personali poiché mise fine al matrimonio con la ballerina russa Raissa, conosciuta a Parigi, per iniziare una storia con Isabella Packswer che divenne la sua seconda moglie.
Parigi fu la città che ancora una volta lo accolse, illustrò i “Bagni misteriosi” di Cocteau in merito alla richiesta di un'editrice russa.
Nel 1940 circa si interessò alla pittura del Seicento, e nella sua penultima fase definita barocca, De Chirico procedette a ritroso: accantonò la pittura moderna per concentrarsi su un ritorno alla tradizione. Questa fase è da ritenersi come di sperimentazione, l'artista realizzò una serie di autoritratti nei quali il suo corpo divenne quasi l'unico soggetto, ma non riscosse il successo sperato.
Fu a Roma, ultima città in cui si stanziò sino alla fine dei suoi giorni, che riemerse delicatamente quel sapore amaro di non ritorno in patria, sono esplicative le sue ultime tele campeggiate da scene mitologiche.
Si spense il 20 novembre del 1978 all'età novant'anni.
M. Ippoliti. A cura di A. Cocchi