L'Architettura industriale nel '900

Prima dell’ultimo ventennio io del XVIII secolo non si può ancora parlare di Architettura industriale, perché le attività produttive erano ancora di tipo artigianale e per la maggior parte si svolgevano in ambienti connessi all’abitazione dell’artigiano. Facevano però eccezione alcuni opifici come gli arsenali, le ferriere, le fornaci, i mulini, le filande e simili, che richiedevano costruzioni con caratteristiche particolari, in rapporto alle loro funzioni.
Durante l’800, con lo sviluppo dell’industria pesante, gli opifici erano per lo più capannoni in ferro molto estesi, ad un solo piano, coperti da tetti a più falde sostenuto da pilastri, illuminati dall’alto per mezzo di lucernari, coperture a denti di sega o tettoie. Più rari erano i capannoni a più piani, caratterizzati dalle strutture a vista e illuminati da grandi vetrate.
Anche quando si trattava di industrie e costruzioni di un certo pregio, questi edifici erano progettati all'unico scopo di consentire i processi produttivi, perciò quando si imponevano delle modifiche, come ad esempio per l’ampliamento, si doveva ricostruire o moltiplicare gli edifici.
L’architettura industriale comincia ad essere intesa come genere artistico solo a partire dal 1909-10, da Berhens a Berlino per l’AEG, considerato come il primo stabilimeno progettato con l’intento di associare alla funzionalità pratica delle strutture nuovi valori di composizione architettonica.
La fusione del motivo tecnico-funzionale con quello architettonico ed estetico venne pienamente raggiunta nelle officine Fagus, costruite nel 1914 da Walter Gropius e Alfeld. Con questi esempi venne tracciato un nuovo indirizzo dell’architettura industriale che entrò a far parte dell’architettura moderna di carattere civile e al quale si dedicarono gran parte dei maggiori architetti del Novecento: da Brinkmann a Nervi e ad Aalto. All’interno del nuovo filone si aprì subito un ampio ventaglio di soluzioni diverse e numerose articolazioni avviando un’evoluzione che è tuttora in corso.
Nel suo complesso l’architettura industriale si basa su due principi fondamentali: l’adattamento allo sviluppo tecnologico e la fabbrica intesa come centro di una attività sociale.
Il primo o aspetto comporta una progettazione degli impianti “flessibile”, in modo cioè che gliambienti possano essere modificati all’occorrenza, adeguandosi alle trasformazioni e alle nuove esigenze introdotte nel ciclo produttivo.
Il secondo principio comporta una “dimensione umana e sociale”, perciò al nucleo dell’opificio devono associarsi edifici abitativi per gli operai, mense, scuole, uffici, ambienti di assistenza, aggregazione e svago e tutti gli spazi che possono servire per un armonico e completo sviluppo della comunità e delle singole persone che lavorano nella fabbrica.

 

A. Cocchi

 
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