L'Altare d'Oro della basilica milanese dedicata a Sant'Ambrogio risale all'842 circa, ed è uno dei maggiori esempi dell'arte carolingia in Italia.
È realizzato in legno, presenta una forma di parallelepipedo a cui sono state sovrapposte, su tutte le sue superfici, lastre d'oro e di argento dorato. Le lastre sono lavorate con la tecnica dello sbalzo, abbellite da cornici decorate da gemme preziose e smalti.
La fronte posteriore, seppure rivolta al clero e all’abside, è in realtà il lato principale dell'opera. Su questa facciata sono raffigurate le Storie della vita di sant'Ambrogio, realizzate dalla mano del maestro Vuolvinio. La firma di Vuolvinio si trova sul lato posteriore: ciò ha fatto pensare che il maestro avesse realizzato di sua mano solo questi pannelli e alcuni sui fianchi, e che sul resto dell'opera avesse esercitato una sorta di supervisione artistica.
Sulla facciata anteriore, figurano invece le Storie della vita di Cristo, attribuite ai Maestri allievi di Volvinio.
Lo stile di Vuovinio è un perfetto esempio del gusto classicheggiante dell'arte carolingia, ma si distingue comunque per il sapiente equilibrio nella composizione, e inoltre i gesti dei personaggi sono contenuti ed il rapporto tra pieni e vuoti è molto calibrato. È quindi più plastico e definito rispetto allo stile del fronte anteriore. Altre caratteristiche dell'arte di Vuolvinio sono la chiarezza della narrazione e i particolari dei paesaggi semplici ed essenziali, le forme salde, tondeggiati e i contorni limpidi, la freschezza nel tratteggiare le figure e nel rendere il movimento. Proprio la semplicità di queste figure ha suggerito all’autore di inserire delle scritte in latino, sotto ad ogni personaggio, affinchè si riconoscesse e fosse più chiara anche la scena rappresentata.
Bisogna comunque osservare che Volvinio ha una particolare cura per i piccoli oggetti apparentemente insignificanti che riguardano la vita di tutti i giorni, come le ciabatte del santo, nella scena che rappresenta il suo sogno.
L’altare ha una forma di parallelepipedo (di 85×220×122 cm) che ricorda vagamente una cassa-sarcofago, ma in realtà, a contrario di quanto si possa pensare vedendolo, inizialmente esso non venne progettato per contenere i resti dei tre santi, Gervasio, Protasio e naturalmente Ambrogio, ma assunse questa funzione di reliquiario solo in seguito e la mantiene ancor ora.
L’altare dev’ essere stato sicuramente eseguito da un'unica bottega, anche se presenta diversi stili, dovuti a personalità artistiche diverse che hanno lavorato alla stessa opera.
Le quattro facce laterali sono decorate da pannelli scolpiti con la tecnica dello sbalzo e solo i due lati minori non sono suddivisi in riquadri figurati, ma presentano delle croci. Sui due lati maggiori, le formelle figurate sono separate fra loro da ricche cornici decorate con raffinati motivi a filigrana tipici dell’arte longobarda, e impreziosite con pietre di grande valore incastonate in vari punti, e placchette multicolori, preferibilmente bianco, turchese, blu e rosso (tipici della Lombardia). La tecnica di lavorazione di queste placchette consiste in un particolare tipo di decorazione a smalto chiamato “cloisonné”, e nei punti dove si incrociano le formelle raffigurano volti umani (probabilmente santi) e angeli. Sul lato anteriore le placchette a smalto propongono motivi decorativi a imitazione di mosaici.
L. Cenni
L'altare d'Oro di Vuolvinio in un'analisi dell'opera in forma didattica
Altare d'oro di Vuolvinio - disegnoestoriadellarte1e2
Gricco, F. Di Teodoro Itinerario nell’arte, vol. 2. Zanichelli editore, 2006
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