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Crocifisso di Santa Maria Novella

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Il Crocifisso di Giotto in Santa Maria Novella a Firenze non solo per l'eccezionale qualità artistica ma anche per la profondità dei significati e dei valori simbolici, è un opera chiave della civiltà occidentale. Da un punto di vista artistico ha rappresentato una innovazione fondamentale rispetto alla tradizione delle croci dipinte e insieme un modello di riferimento per la pittura di molti altri artisti. Ha avuto una fama notevole ed è infatti ricordato da diverse fonti, non solo trecentesche. In un testamento del 1312 risulta che un certo Ricuccio di Puccio del Mugnaio volle lasciare "cinque fiorini piccoli" per tenere accesa la lampada davanti al crocifisso nella chiesa di Santa Maria Novella "picti per egregium pictorem nomine Giottum Bondonis". Più tardi, verso metà del Quattrocento, il Crocifisso di Giotto viene menzionato anche da Lorenzo Ghiberti e soprattutto sarà fonte di ispirazione per un maestro 'moderno' come Masaccio nell'immagine del Crocifisso nell'opera altrettanto rivoluzionaria della sua Trinità, situata nella stessa chiesa fiorentina.

Il Crocifisso di Giotto anche nella tecnica e nei materiali si riferisce alla tradizione delle croci dipinte, comparse nelle scuole umbra e toscana da circa due secoli prima. E' costituito da assi sagomate in legno di pioppo, tenute insieme e rinforzate da una solida struttura posteriore di stecche di olmo. La pittura è eseguita a tempera, ma rivela una qualità raffinatissima nel dosaggio dei colori e nei passaggi chiaroscurali. L'aureola è realizzata con la tecnica della doratura, anch'essa tradizionale, ma Giotto vi ha inserito anche delle piccole tessere di vetro azzurro per accendere il contrasto con l'oro, un dettaglio che non appartiene alla tradizione italiana, ma sembra appartenere al gusto gotico francese.  

 


Cimabue. Crocifisso. 1268-1271. Tempera su tavola. Arezzo, San Domenico.

 

Dal punto di vista iconografico, i modelli più diretti per la croce di Sanra Maria Novella sono i due crocifissi del tipo Christus Pathiens realizzati dal suo maestro Cimabue: quello più recente della chiesa di Santa Croce a Firenze e quello della chiesa di San Domenico ad Arezzo. La forma della croce, la cimasa con l'iscrizione, l'accordo dei colori rosso e nero, la decorazione a motivi geometrici degli scomparti laterali e le figure dolenti di Maria e San Giovanni dei terminali, sono tutti elementi derivati da Cimabue e appartenenti ad un'iconografia consolidata. 

 


Cimabue. Crocifisso. Tempera su tavola. 1287-88. Firenze, Santa Croce.

 

L'inserimento del Golgota con la tomba di Adamo è invece una ripresa della soluzione adottata già da Nicola Pisano nei suoi pulpiti di Pisa, del 1260 e di Siena, del 1265-68. 

 

Nicola Pisano. Crocifissione. Pulpito di Pisa. 1257-60. Rilievo in marmo. Pisa, Battistero.

Anche la crocifissione con tre chiodi dipinta da Giotto riprende la scelta già adottata da Nicola Pisano, si tratta di un'iconografia che discende dalle immagini diffuse in Francia e Germania, diversa da quella a quattro chiodi appartenente alla tradizione bizantina, ripresa invece nella versione di Cimabue.
La base allargata a trapezio indica che Giotto ha probabilmente voluto dare maggiore stabilità ad una croce che andava appoggiata su un piano anzichè essere appesa in alto come nel caso delle croci di Cimabue e questo è un particolare importante che compare anche nell'episodio del Presepe di Greccio tra gli affreschi di Assisi. La forma allargata della base, detta suppedaneo, è un tipo di sostegno che prima non era previsto e indica che il crocifisso viene inteso come oggetto materiale 'pesante', e concreto e non più come un'apparizione sovrannaturale sospesa a mezz'aria.

Con il Crocifisso di Santa Maria Novella Giotto compie la sua rivoluzione pittorica abbandonando definitivamente l'icona astratta e "bizantina" di Cimabue e Giunta Pisano, ancora risolta in una cifra divina, immagine assolutamente ideale, in una forma incredibilmente umana, tangibile, concreta, fatta di "carne e sangue", di peso fisico e presenza molto realistica. A confronto con i maestri precedenti il Cristo di Giotto sembra venire fuori rispetto al piano retrostante, come a volersi staccare dalla stessa pittura per appartene al mondo reale. 

Sicuramente questa doveva essere l'impressione dell'opera di Giotto presso i suoi contemporanei, abituati a vedere solo una pittura tridimensionale e astratta.
Giotto ha rinunciato all'eleganza, alla bellezza nobilitata dalle linee sinuose, dalle forme slanciate e geometricamente perfette (perchè divine) ma inverosimili, per proporre il corpo di un uomo qualunque, non particolarmente bello, realmente inchiodato alla croce, sporgente in avanti e abbandonato alla morte con tutto il suo peso fisicamente visibile.
Il tema della sofferenza, che nelle croci tradizionali veniva come sublimato da espressioni trasformate in arabeschi grafici, trasmettendo il senso di mistero e di materia sovrannaturale, viene portato alla sua dimensione di vissuto terreno, mostrando direttamente la verità. Giotto cerca di capire quali reazioni e atteggiamenti può assumere un uomo sottoposto al martirio della croce. Così il pittore si sofferma anche su aspetti sgradevoli, come il colore grigiastro del cadavere, il getto di sangue dalla ferita, le costole che premono sotto la pelle, i tendini stirati delle braccia, la testa ricadente in avanti e il senso di sfinitezza del corpo, di abbandono alla morte.
Colpisce molto il viso, per i lineamenti regolari e delicati, le labbra appena dischiuse per le ultime parole pronunciate, ma soprattutto per l'acutezza psicologica con cui viene resa l'espressione umanissima di sofferenza mista a rassegnazione.
Nella rappresentazione del corpo Giotto non concede più nulla alle rappresentazioni tradizionali, la figura è descritta da un disegno preparatorio molto preciso, rivelato dai restauri terminati nel 2001, dove si rivela uno studio dell'anatomia particolarmente attento ed inedito per i tempi. Si può notare l'esattezza nella resa delle ginocchia, dei piedi, delle mani, del ventre gonfio e per la costruzione dei volumi, molto torniti e pieni, la testa sembra scolpita come un blocco.
L'effetto di tridimensionalità è dovuto soprattutto al suo particolare disegno sottostante al colore: prima Giotto disegnava i volumi, come dei blocchi o dei cilindri, poi definiva i particolari, come i tratti del viso, poi rifiniva tutto, ad esempio aggiungendo la barba, o i panneggi trasparenti. Inoltre Giotto ha individuato un'illuminazione precisa, proveniente da sinistra e in base a questa ha accompagnato la plasticità piena delle forme con i passaggi chiaroscurali del colore. Ma l'impressione di spazio è ottenuta eliminando del tutto la visione frontale di Cimabue con la caratteristica posa a "S" e spostando tutto il corpo di Gesù sulla destra e inserendo un punto di vista più laterale, di tre quarti, che valorizza e accentua le masse e gli aggetti.

Rispetto all'immagine di Cristo i terminali e la scena sul piede della croce sono elementi secondari, ma riprendono significati strettamente legati alle sacre scritture. Maria e Giovanni piangenti sono due delle persone citate dai vangeli, presenti ai piedi della croce e che hanno assistito al sacrificio di Gesù, hanno quindi un valore di testimonianza e partecipazione.

Il Golgota con la tomba aperta da cui si vede il teschio e le ossa di Adamo bagnati dal sangue di Gesù allude al sacrificio di Cristo che riscatta l'umanità dal peccato originale.

A. Cocchi

 

 

Mappa concettuale

 



Mappa concettuale realizzata da C. Bertozzi, A. Danesi, C. Procaccini,
M. Zampa. A cura di A. Cocchi. Liceo Linguistico Ilaria Alpi di Cesena, per Geometrie fluide.


Per vedere la mappa ingrandita clicca sulll'immagine corrispondente nella colonna a destra.

 

 

 


 

Bibliografia

E.Bacceschi L'opera completa di Giotto. Classici dell'arte Rizzoli. Milano 1966
Antonio Pucci. Il Centiloquio, Firenze 1373
A. Magistà. Così ne parlano i contemporanei, in: Il romanzo della pittura. Giotto e i maestri del Trecento. Suppl. a La Repubblica del 26/10/1988
S. Malatesta. L'uomo che parlava la lingua dei mercanti, in: Il romanzo della pittura. Giotto. Suppl. a La Repubblica del 26/10/1988
A. Tomei. Giotto. La pittura. Dossier Art Giunti, Firenze 1997
C. Semenzato, A. Angoletta Berti. Giotto e i giotteschi a Padova. Arnoldo Mondadori editore/ De Luca edizioni d'arte. Milano/Roma 1988
La Nuova Enciclopedia dell'Arte, Garzanti, 1986
G. Cricco, F. Di Teodoro, Itinerario nell’arte, vol. 1, Zanichelli Bologna 2004
R. Bossaglia. Storia dell'Arte. Volume 1 Dall'Antichità al Gotico internazionale Casa Editrice Principato. Milano 2003
C. Bertelli. La storia dell'arte. Vol 2 Dal Romanico al Gotico internazionale. Edizioni scolastiche Bruno Mondadori Arte. Milano-Torino 2010

 

 
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