Problemi di attribuzione

Numerosi sono i problemi di attribuzione ancora aperti. In questa sezione si propongono alcuni dei casi più interessanti e dibattuti tra gli studiosi.

Assisi: Giotto e gli altri.  La difficile ricerca di individuazione dei veri artefici degli affreschi nella Basilica Superiore di San Francesco. Gli enigmi ancora aperti.

Guidoriccio da Fogliano. Un recente restauro e interessanti scoperte sull'affresco per lungo tempo attribuito a Simone Martini.

Scoperto un nuovo Leonardo? Ancora sulla Dama di Leonardo.  Alcune osservazioni sulla controversa attribuzione del ritratto di Bianca Sforza.

 

 

 

Assisi: Giotto e gli altri

 


Giotto. La morte del Cavaliere di Celano. Affresco. 1297-1300.
Basilica Superiore di San Francesco. Assisi

 

Una delle opere più popolari, tradizionalmente attribuite a Giotto è il ciclo di affreschi con le Storie di san Francesco ad Assisi.
Secondo il Vasari, intorno al 1290 Giotto segue il maestro Cimabue ad Assisi, per eseguire la decorazione pittorica della Basilica Superiore di San Francesco.
Molti studiosi ritiengono che il ciclo pittorico sia il primo saggio artistico di Giotto, e segnerebbe il passaggio da un momento ancora acerbo di formazione alla prima compiuta manifestazione della sua arte.
In realtà non è ancora chiaro quali sono gli affreschi veramente eseguiti da Giotto.
I dubbi si riferiscono a gran parte delle Storie bibliche del registro superiore, ma anche ad alcuni episodi delle Storie di san Francesco. La base puramente letteraria rintracciabile nelle Vite del Vasari e nelle testimonianze dei cronisti del '300, non è sufficientemente attendibile come prova documentaria.
Anche il pessimo stato di conservazione rende parecchie scene troppo frammentarie e illeggibili per poter riconoscere con certezza gli apporti dei rispettivi artisti che hanno partecipato agli affreschi.

 


Giotto. Il dono del mantello. Dett. 1290-99. Affresco.
Assisi Basilica Superiore di San Francesco.



Il ciclo assisiate rappresenta un'impresa di tale impegno che ha coinvolto intere squadre di artisti, guidate da maestri di spicco, secondo la consuetudine medievale delle botteghe d'arte.  Nel medioevo le opere di grande portata erano lavori collettivi che richiedevano artisti molto abili e una grande organizzazione. Il Maestro concepisce progetta e dirige i lavori, ne esegue le parti principali e affida agli allievi, in base alle diverse inclinazioni e capacità esecuzioni di diversa natura e difficoltà.
Tra la consacrazione della Basilica, nel 1253 e l'intervento di Cimabue e Giotto, lavorano nel cantiere di San Francesco, in momenti successivi, parecchi artisti. 
Esistono ancora molte incertezze anche sulla datazione dell'intervento di Cimabue. Secondo gli studi più recenti sembra che il maestro sia giunto ad Assisi dopo un soggiorno a Roma e abbia lavorato nella Basilica tra il 1277 e il 1280. Cimabue dipinse, insieme ai suoi allievi, tutto il transetto e il coro con scene dell'Apocalisse, la Crocifissione, i Quattro Evangelisti sulla volta. Si tratta di affreschi molto rovinati. Dopo un'interruzione, il maestro torna ad Assisi, e stavolta tra i suoi allievi potrebbe esserci anche Giotto.
Molti altri artisti intervenuti nei dipinti sono ancora da identificare.

 


Maestro di Isacco (?). Isacco assiste Abramo.1295-97 ca. Affresco.
interno della Basilica Superiore di San Francesco. Assisi

 

Intorno al 1290 arriva una squadra di artisti romani, tra cui Jacopo Turriti e Filippo Rusuti. A queste date corrisponde l'esecuzione delle Storie di Isacco, ma l'attribuzione è incerta tra i maestri romani, Giotto o un altro maestro anonimo chiamato Maestro di Isacco.
Inoltre, a un attento confronto, risultano molte somiglianze nello stile tra le Storie di Isacco,  i mosaici del Cavallini in Santa Maria in Trastevere a Roma e le sculture di Arnolfo di Cambio, che non hanno ancora trovato una spiegazione.

In questa situazione ingarbugliata si trova il fondamentale nodo della formazione artistica di Giotto. Anche se è certo che abbia frequentato l'ambiente romano, come è evidenziato dalla componente classica della sua arte, non sono chiari i rapporti tra Giotto e i maestri di Roma.

Quesiti ancora aperti emergono anche dal confronto stilistico degli affreschi che fanno parte delle Storie di san Francesco.
Ad esempio, nella Morte del cavaliere di Celano, sicuramente giottesco e del 1297-1300, l'uomo col cappello e in abito rosso e il fraticello seduto a tavola, hanno visi con fisionomie molto particolari, sono ben individualizzati, tipizzati. Anche le espressioni e i gesti sono molto chiari. Confrontandoli con i personaggi del Dono del Mantello, eseguito nel 1297-99, le figure, più rigide e bloccate nei movimenti, sembrano appartenere ad uno stile più arcaico e aspro. Le fisionomie sono meno caratterizzate. Nonostante l'intensità degli sguardi e una forte carica umana, si possono notare i gesti un po' impacciati, i piedi che sembrano poggianti su un piano in discesa (come nelle rappresentazioni bizantine) e si avvicinano maggiormente allo stile romano del '200. Gli studiosi non concordano se attribuire questa scena alla mano di un Giotto ancora alle prime armi o a quella di un altro artista, forse il Maestro di Isacco. Nel Cavaliere di Celano, le forme sono più morbide, gli atteggiamenti più sciolti e naturali. Le figure sono più allungate. i panneggi sono più fluidi, cadono con naturalezza, come del particolare della donna che piange in primo piano.  Rispetto al Dono del mantello, più semplice ed essenziale, c'è anche più attenzione al dettaglio, come si vede nella natura morta del tavolo, apparecchiato con ordine, pronto per la festa.  Ogni personaggio ha una solida presenza fisica nelle forme anatomiche plastiche e ben strutturate, nei piedi ben piantati per terra, o addirittura nel particolare realistico del piede di san Francesco, che nell'alzarsi di scatto calpesta il proprio saio troppo lungo. 
Da questo confronto si ricavano forti differenze. ciò può significare due cose: O si tratta di due artisti diversi ma vicini (per esempio appartenenti alla stessa bottega), o se il presunto Maestro di Isacco è sempre Giotto, vuol dire che tra le prime sei scene dipinte e il resto c'è stata un'interruzione del lavoro, per poi riprendere dopo un importante cambiamento, con uno stile molto arricchito.

A. Cocchi


 

Bibliografia

E.Bacceschi L'opera completa di Giotto. Classici dell'arte Rizzoli. Milano 1966
Antonio Pucci. Il Centiloquio, Firenze 1373
A. Magistà. Così ne parlano i contemporanei, in: Il romanzo della pittura. Giotto e i maestri del Trecento. Suppl. a La Repubblica del 26/10/1988
S, malatesta. L'uomo che parlava la lingua dei mercanti, in: Il romanzo della pittura. Giotto. Suppl. a La Repubblica del 26/10/1988
A. Tomei. Giotto. La pittura. Dossier Art Giunti, Firenze 1997
C. Semenzato, A. Angoletta Berti. Giotto e i giotteschi a Padova. Arnoldo Mondadori editore/ De Luca edizioni d'arte. Milano/Roma 1988 
La Nuova Enciclopedia dell'Arte, Garzanti, 1986
G. Cricco, F. Di Teodoro, Itinerario nell’arte, vol. 1, Zanichelli Bologna 2004

 

  

 

 Guidoriccio da Fogliano

 


Affreschi del Palazzo Pubblico di Siena, Sala del Mappamondo. Dopo il 1328
Il Guidoriccio è dipinto nella fascia superiore.

 

Questo affresco, attribuito già con molti dubbi a Simone Martini, si trova nella parete opposta rispetto alla Maestà firmata da Simone Martini, nella Sala del Mappamondo del Palazzo Pubblico di Siena.
L'opera presenta segni di rifacimento, è stato sfregiato, soprattutto in corrispondenza della faccia del cavaliere, cancellato, e al suo posto era stato applicato un gigantesco mappamondo girevole, eseguito da Pietro Ambrogio Lorenzetti. All'inizio del Quattrocento, perduto anche il mappamondo, l'affresco è stato ridipinto. 
Si tratta di un'opera di carattere celebrativo, è riferito alla sottomissione dei castelli del contado senese da parte di Guidoriccio. Sia dall'analisi stilistica, sia per la qualità inferiore e per gli indizi storici che presenta, risulta eseguito più tardi rispetto al 1328 (datazione tradizionale) da un autore anonimo.

 


Simone Martini e Duccio di Buoninsegna (?) Uomini illustri e castello.
Prima del 1328. Affresco. Siena, Palazzo Pubblico.


Negli anni in cui si colloca l'attività di Simone Martini la città di Siena, organizzata in una repubblica, viveva un periodo di inquietudine politica. Da parte dei cittadini si avvertiva il diffuso timore che con un colpo di stato, i capitani delle guardie potessero rovesciare le sorti di Siena impadronendosi del potere.  Per questi motivi, sembra piuttosto incongruente che, proprio in quel momento, il ritratto di un capitano delle milizie fosse effigiato nella sede del governo, come a volerne indicare l'autorità.

 


Anonimo. Guidoriccio da Fogliano. Dett. del cavaliere. Dopo il 1328. Siena, Palazzo Pubblico

 


Anche il castello a sinistra presenta caratteristiche architettoniche che non appartengono all'epoca di Guidoriccio, ma vanno collocate intorno al 1470. I simboli araldici sulla gualdrappa e sulle vesti del cavaliere non trovano riscontro con lo stemma araldico di Guido Riccio trovato in un manoscritto a Padova. Gli altri stemmi, quello con le bande bianco e nero e quello con il leone rampante, sono le insegne della Repubblica di Siena, si vedono nella bandiera del castello a destra e sulle tende dell'accampamento.

 


Anonimo. Guidoriccio da Fogliano. Dett. del castello a destra.
Affresco. Dopo il 1328. Siena, Palazzo Pubblico

 


Inoltre nell'affresco è presente anche un errore: in mezzo alle tende dell'accampamento militare sulla sinistra si vedono delle coltivazioni di viti. L'anonimo autore, leggendo la storia di Guidoriccio aveva letto che il capitano era provvisto di 'vinea' ed aveva tradotto la parola in: 'vigna', come se i soldati coltivassero l'uva. In realtà la vinea era una macchina da guerra, simile alla testuggine usata dagli antichi romani. Nel trecento, durante un'assedio, l'esercito senese usava guastatori per distruggere i vigneti, non li coltivava.

 


Anonimo. Guidoriccio da Fogliano. Dett. dell'accampamento con le vigne.
Affresco. Dopo il 1328. Siena, Palazzo Pubblico

 

Dal punto di vista dello stile, molti sono gli elementi che allontanano l'esecuzione dalle mani di Simone Martini, in particolare non c'è traccia della sapiente sintesi compositiva tipica del maestro.
A sostegno di queste analisi, dovute soprattutto agli studiosi americani Gordon Moran e Michael Mallory, durante i restauri eseguiti nel 1980, è stato scoperto sulla stessa parete, sotto a questo, un altro affresco, molto bello, in cui viene rappresentata la consegna di una fortezza che si era arresa, a un rappresentante della Repubblica di Siena. Secondo alcuni studiosi, tra cui Federico Zeri, Briganti, Moran, Mallory e Sgarbi, è proprio quello sottostante il vero affresco di Simone Martini, mentre la fortezza sulla destra forse rappresenta il castello di Giuncarico in Maremma e probabilmente è stato affrescato dall'anziano Duccio di Buoninsegna.


Il Guidoriccio e gli affreschi del Sodoma
.

 


Veduta della parete con il Guidoriccio e gli affreschi di Sodoma
(a destra Sant'Ansano, a sinistra San Vittore)
Sala del Mappamondo. Siena, Palazzo Pubblico.

 

Un altro enigma è rappresentato anche dagli affreschi che si trovano immediatamente sotto al dipinto del Guidoriccio. Si tratta dei due santi protettori della città di Siena: Sant'Ansano e San Vittore, dipinti dal Sodoma nel 1529. Lo stesso artista, nel 1533 ha anche realizzato il Beato Bernardo Tolomei che si trova sulla parete di fianco.

 


Interno della Sala del Mappamondo. Siena, Palazzo Pubblico.

 


E' anche da tenere presente che nonostante abbia subito importanti ridipinture quattrocentesche, l'affresco del Guidoriccio  sporge per più di un centimetro su quelli del Sodoma e su questa parete sono stati rilevati ben quattro strati sovrapposti che non sono mai stati riportati alla luce, nonostante le richieste degli studiosi.

 

 


Sodoma. San Vittore. 1529. Affresco. Siena, Palazzo Pubblico, Sala del Mappamondo.

 


Osservando inoltre le composizioni del Sodoma, Moran ha notato anche la strana mancanza dell'architrave nell'architettura classicheggiante in cui l'artista ha inserito le sue figure. Anche considerando la libertà interpretativa dell'artista rispetto alle regole vitruviane sugli ordini classici (abbastanza frequente tra gli artisti del Cinquecento) sembra che questo affresco sia tagliato nella parte superiore.

 

 
A. Cocchi. Schema di confronto. A sinistra: Andrea Palladio. Ordine Corinzio;
al centro: Sodoma, San Vittore; a destra: Andrea Palladio, Ordine Composito.


Confrontando uno degli archi dipinti di Sodoma con le regole di Vitruvio, riportate nei Quattro libri dell'architettura di Andrea Palladio, da un mio studio risulta che l'artista Vercellese ha introdotto nei suoi archi una serie di variazioni. 
Interpretando il canone vitruviano ha creato un suo ordine particolare che fonde insieme grandezze appartenenti al composito e altre appartenenti al corinzio. Infatti:

 


A. Cocchi. Schema di confronto. Sovrapposizione grafica
tra l'Ordine Corinzio di Andrea Palladio e il San Vittore di Sodoma.

 

- Ha dato all'altezza delle paraste dieci moduli, come nel composito vitruviano;

- La larghezza, o luce, dell'arco misura sei moduli e mezzo, come nel corinzio (anzichè sette moduli e quindici del composito)

- Per la larghezza del pilastro ha scelto i due moduli del corinzio, anzichè la proporzione più robusta del composito (corrispondente alla metà della luce dell'arco).

- Anche i capitelli sembrano una libera interpretazione tra i due ordini.

- La variazione più importante operata dal Sodoma rispetto alla norma di Vitruvio, secondo me è nella eliminazione della cimasa, con la costruzione dell'arco tangente a quella che dovrebbe essere la prima fascia dell'architrave. Qui mi sembra che ci sia una leggera deformazione sulla curva dell'arco, che non è perfettamente semicircolare, ma appena modificata per "allungare" l'arco di circa mezzo modulo. La variazione non si nota perchè è mascherata dalla prospettiva.

- A questo si aggiunge la completa assenza della trabeazione, come aveva già notato lo studioso americano.

A. Cocchi


 

F. Zeri No, non è di Simone questo brutto Guidoriccio. in: Il romanzo della pittura. Giotto e i maestri del Trecento. Supplemento a La Repubblica, Arnoldo Mondadori, Verona, 1988 
M. Mallory, G. Moran. The Guido Riccio Controversy in art history. Brian Martin Editor, Albany, NY, State University of New York Press. 1996
P. Torriti. Simone Martini. Dossier Art  n. 56, Giunti, Firenze, 1991
G. Sacchi. Il caso Guidoriccio. Notizie d'Arte Editrice, Siena, 2009
P. L. L. De Castris. Simone Martini. Federico Motta Editore.
La Nuova Enciclopedia dell'Arte, Garzanti, 1986
G. Cricco, F. Di Teodoro, Itinerario nell’arte, vol. 1, Zanichelli Bologna 2004
AA.VV. Toscana. in: L'italia. Touring Club Italiano, Milano 2005.
G. Moran, M. Mallory. L'identità storica di Siena, e la controversia su Guido Riccio. Redazione Centro delle Arti. Siena, 2010

 

   

 

Scoperto un nuovo Leonardo?

Posted by: geometriefluide on: dicembre 21, 2009

 


Leonardo da Vinci (attribuzione controversa).
Ritratto di Bianca Sforza. 1496 ca. Collezione privata.

 

L'esperto canadese Peter Paul Biro, ha recentemente effettuato un'attenta analisi di un ritratto fiorentino del '400 acquistato da mister Peter Silverman in un'asta da Christie's nel 2007 a New York. Il dipinto, che mostra un profilo femminile, sembra assegnabile a Leonardo da Vinci. L'attribuzione a Leonardo deriva da alcune prove rilevate attraverso una tecnica d'indagine particolarmente sofisticata. Mediante strumenti fotografici e spettrografici, Biro ha scoperto un'impronta digitale in un angolo del quadro, corrispondente ad un'altra già rintracciata nel San Girolamo dei Musei Vaticani. La datazione, desunta dall'analisi del carbonio-14 è stata trasmessa dall'Istituto di Fisica di Zurigo, ma è meno precisa, perchè colloca l'opera in un periodo compreso tra il 1440 e il 1650. Un'altro elemento che gioca a favore dell'identificazione della mano di Leonardo è invece offerta dal tratteggio realizzato a penna e inchiostro, la cui inclinazione rivela l'esecuzione di un mancino (come era Leonardo), e molto simile a quella riscontrabile su altri disegni dell'artista. Anche Martin Kemp e Carlo Pedretti, tra i maggiori esperti leonardisti contemporanei, concordano nell'attribuzione dell'opera a Leonardo. Lo stesso Kemp afferma che si tratta del ritratto di Bianca Sforza, figlia di Ludovico Sforza e della sua amante Bernardina de Corradis. L'effigata mostra un'età tra i 13 e i 14 anni e l'opera dovrebbe risalire al 1496, anno del matrimonio della fanciulla con il capitano di ventura Galeazzo Sanseverino. Gli approfondimenti su questo importante ritrovamento verranno pubblicati su un libro che Martin Kemp sta scrivendo insieme a Pascal Cotte, del Laboratorio del Louvre. Nell'attesa del volume dei due studiosi, ammiriamo, almeno in foto, l'inedito di Leonardo, sperando di trovarlo un giorno esposto in pubblico.

Uno degli elementi che lascia maggiore perplessità è l'assenza in questo dipinto di quel dinamismo vitale così caratteristico dell'opera di Leonardo. La posa così rigida potrebbe essere giustificata se si trattasse del bozzetto per una medaglia.

 

A. Cocchi

 

Fonte: C. de Seta Codice da Vinci due: L'impronta di Leonardo, in: Il Venerdì di Repubblica 18/12/2009

 

Ancora sulla Dama di Leonardo

 

Posted by: geometriefluide on: febbraio 5, 2010

Attraverso un commento inviato alla nostra redazione, ci è giunta notizia che sull'importante scoperta del "Ritratto di dama" di Leonardo da Vinci il professor Ernesto Solari, studioso leonardesco di Como, aveva già dichiarato (fin dall'inizio di gennaio del 2009) che l'opera potesse raffigurare Bianca Sforza, primogenita di Ludovico il Moro. L'identificazione da parte di Solari avrebbe quindi preceduto quella del professor Kemp, che comunque condivide l'idea che l'effigiata sia la figlia dello Sforza.

 

  

 

Loading…